I libri


Testo

Darete Frigio

LE ILIADI
LIBRO I.

regnava Pelia nel Peloponneso,
E avea fratello Esone, a cui per figlio
Toccò Iasone per virtù ben chiaro,
Al popolo diletto, ed ai Signori;
Ciocchè a Pelia non solo invidia fea,
E gelosia, ma quel, che maggiormente
Agitava il suo cor, era la tema,
Che un dì non fosse dal suo Regno espulso
Per opra del Nipote; onde a Iasone
Propose Pelia un dì, che v’era in Colco
Un aureo vello di monton, che degno
Era di sua virtù, Ch’indi rapito
Fosse recato nel suo Regno, e ch’egli
Quanto fosse bisogno a sì bell’opra
Tutto darebbe. Appena udì Iasone
Un tal progetto, acconsentì, com’era
D’un animo feroce, e di vedere
Quel paese era vago, e per desio
Della fama d’aver tolto di Colco
II vello del monton, e sol richiese
Forze, e compagni, ed una nave adatta
Al tragitto in quel luogo. Un architetto
Fece tosto venir Pelia, e commise,
Ch’edificasse la più bella nave,
Come a Iason saria meglio piaciuta
Già l’opra si comincia, e già la fama
Divulgava per Grecia il nuovo legno
Pria non veduto ancor, che destinato
Era in Colco a portar Iason, a fine
Di rapire di là quel vello d’oro.
Molti amici a Iason, molti compagni
Gli vengon dalla Grecia, e la lor opra
Gli offron in quella gran spedizione;
Ei tutti li ringrazia, e grato accetta
L’amichevole offerta; e poi li prega,
Che tornassero a casa, e apparecchiati
Stassero all’uopo, e quando al termin suo
Fu la gran Nave, a cui fu d’Argo il nome
Imposto, egli avvisò tutt’i compagni,
Che di seguirlo in Colco avean promesso,
E tutti radunati, al lor bisogno
Pelia provvide, e fece i più grandiosi
Preparativi d’ogni sorta; e dati
A tutti salutevoli consigli,
E confortato ognun d’usar coraggio,
E ad effetto tirar la grande impresa,
Onde ad essi, alla Grecia, e grande onore,
E fama eterna ne verria, partiro.
A me non par, che sia del mio soggetto
I compagni indicar qui di Giasone;
Gli Argonauti leggendo, ognuno i nomi
Conoscer può, chi mai, e quanti furo.
Dopo un felice navigar Iasone
In Frigia venne, e penetrò nel porto
Di Simeonte, e fe’ scendere a terra
Quell’esercito suo. Appen l’avviso
Ebbe però Laomedonte, il quale
Regnava allor nelle Trojane mura,
Ch’una gran Nave, ed ammirabil molto,
Che molti Greci giovani recava,
Era nel porto suo, se ne commosse,
E credendo per se, pel Regno suo
Periglioso, che i Greci accostumati
Si fossero a venir alli suoi lidi;
fece loro saper, che immantinenti
Sciogliessero di là, se dalle sue
Annate non volean esser cacciati.
A Iasone, e compagni assai dispiacque
La crudeltà del Re Laomedonte,
Al qual nessuna ingiuria avean recato,
Approdando a’ suoi lidi; e avendo inoltre
Timor, che quelli barbari raccolti
In gran numero avrian loro potuto
Guerra portare disuguale, e ingiusta,
Se disprezzavan del lor Re l’editto,
Risaliro sul legno, e sciolser tosto
Da quei lidi, e seguìto il lor cammino,
Giunsero a Colco, e conquistato il vello,
Ritornaro felici alle lor case.
Ercole allor, che ricevuto a male,
Ed a vergogna aveva un tanto oltraggio
A sè fatto, ed agli altri della Grecia,
Che Iasone seguian, dal Re Trojano;
A Castore, e Polluce, ed allo stesso
Iasone andò, pregandoli ad avere
Memoria dell’offesa, e vendicarla;
Poichè Laomedonte ingiustamente
Li avea da’ porti suoi quel dì cacciati,
Senza che offesa alcuna ei ricevuta
Avesse allor, per cui si convenìa
All’onor della Grecia un tanto affronto
Vendicare, e punir Laomedonte,
E che in sì degna, e decorosa impresa
Molti fautori avrebbero, e soccorsi
Da Castore, e Polluce Ercole ottenne
Favorevol risposta, e pronti A tutto
Quel ch’ei volea, s’offriro: indi partito
Venne da Telamone, acciò pur egli
Seco a Troja n’ andasse, e ‘l condiscese;
Indi a Peleo n’andò, E questi Ancora
Di seguirlo promise; arrivò poscia
Presso Nestore, e a lui fe’ manifesto
II disegno ch’aveva, e n’ebbe lode,
Ed ajuto da Nestore di Pilo.
Sì conchiusa la lega, Ercole tosto
Quindici legni radunò forniti
Di quanto bisognevole mai fosse
Al grand’uopo, e trascelti indi i soldati,
Scrisse ai compagni, ch’a seguirlo pronti
Si stean, ed imbarcati, avuto il mare,
Ed i venti propizj, in frigia furo
Trasportati ben presto, e là di notte
Al Sigèo s’accostaro. Ercole intanto,
Telamone, e Pelèo, fuori i soldati
Cacciati dalle navi, i Capitani
Furo all’impresa: a Castore, e Polluce;
E a Nestore lasciata delle navi
Fu la custodia. Avendo allora inteso
II Re Trojan, che i Greci eran venuti
Coll’armata al Sigèo, immantinenti
Co’ soldati a cavallo ei corre al mare,
Per opporsi allo sbarco de’ nimici;
Ma s’ingannò, chè gito Ercole a Troja
Era, per assalire all’impensata
La Città sprovveduta, e Laomedonte
Del disegno avvisato indietro volse
Il cammin, ed a lui fattosi incontro
Ercole, l’ammazzò; e quindi in Troja
Telamone entrò prima, ed ebbe in premio
Di sue virtù Esìona al Re figliuola,
Di Laomedonte gli altri figli uccisi,
Eccetto Priamo, il qual non era in Troja,
Ma nella Frigia, ove gli aveva il padre
Dato il comando di un’armata allora.
Ercole, e gli altri Capitani avendo
Fatta quindi gran preda, alle lor navi
La portaro, e felici in Grecia fero
Ritorno, Telamon seco portando
La rapita Esiona. A Priamo giunse
L’infausta nuova di suo padre ucciso,
De’ cittadini vilipesi, e Troja
Tutta sommessa al sacco, e data in dono
A Telamon la sua sorella Esiona;
Ed ebbe a grande vitupero, e scorno,
Che la Frigia così fosse dai Greci
Stata villanamente ingiuriata:
Quindi sen venne a Troja, e guidò seco
Ecuba moglie, e i figli veri Ettorre,
Alessandro, Deifebo, Eleno, e Troilo,
Andromaca, Cassandra, e Polissena;
Ed oltre a questi aveva altri figliuoli
Da concubine nati, e non pertanto
Della stirpe real diccansi soli
Da legittime nozze i figli nati.
Giunto nella Città, primieramente
Ampio le mura, e la Città più forte
Rese, ed inoltre un numero bastante
Di soldati vi pose, acciò non fosse
Senza forze sorpreso al par che accadde
Al padre suo. Drizzò un real palagio,
E in quello consacrò statua, ed altare
A Giove; intorno alla Città dispose
Sei porte, a cui diè li seguenti nomi:
Antenorida l’una, all’altra diede
Di Dardanida il nome, ed Ilia, e Scea,
E Cantubria, e Trojana: e quando il tempo
Gli parve acconcio a prendere vendetta
Del padre ucciso, e la rapita Esiona,
Chiama Antenore, e vuol, che in Grecia vada
Ambasciador delle di lui doglianze
Per le ingiurie da quelli ricevute,
Che vi sbarcaro, e gli ammazzaro il padre,
Saccheggiar la città, rapir la suora:
E che sebben si dasse pace alquanto
Del morto padre, e ‘l dirubato Regno,
Soffrir però non mai potuto avrebbe
Che resa non si fosse Esiona a lui
Antenore eseguì gli ordini suoi,
Ed imbarcato, in pochi dì pervenne
In Magnesia a Pelèo, che per tre giorni
Albergato, nel quarto a lui fe’ aperta
Del venir la ragione. Egli gli disse,
Che vel mandava Priamo, il quale avea
Giusta ragion di seco lui dolersi
Per l’ingiuria recata al suo paese,
Pel padre ucciso, e per la sua sorella
Dalli Greci rapita; e che se pace
Per tutt’altro si dava, era inquieto
Finch’Esìona a lui resa si fosse.
Pelèo l’udì, se ne sdegnò, gl’impose,
Ch’uscisse tosto di sua casa, e lesto
Da Magnesia partisse: e senza Indugio
Antenore partì per la Beozia;
E giunto a Telamone in Salamina
Del suo venir l’alta cagione espose,
E pregollo, che a lui di render piaccia
Di Priamo la sorella, essendo cosa
Disdicevole assai, che una figliuola.
Di Rege a schiavitù sia. sottoposta.
Telamone risposegli, che offeso
Ei Priamo non aveva, e che nissuno
Render sapria giammai ciocchè donato
Per virtù l’era stato; indi commise,
Che dall’Isola Antenore partisse:
Quindi venne in Acaja, ove trovati
I Fratelli Tindaridi, la stessa
Loro fece preghiera, ed essi ancora
Dissero, che non mai oltraggio alcuno
Recato avean a questo Re Trojano,
E che Laomedonte avea piuttosto
Essi offeso, cacciandoli di Troja,
E gli ordinaro di partir ben presto.
A Nestore di là sen venne in Pilo
Cui la stessa cagion fatta palese,
Nestore il rinfacciò, che non i Greci
Erano gli offensori, anzi gli offesi;
Ch’essi dalli Trojani i primi furo
A riportarne oltraggi, e villanie.
Per cui vedendo Antenore, che invano
Girato avea la Grecia, e che trattato
Priamo venìa si mal da tutt’i Greci,
Salito in nave ritornossi in Troja,
Ove arrivato, fece a Priamo noto
Come il trattare i Greci, ed egli il primo
Esortollo a portar guerra contr’essi.
Fece Priamo chiamar tosto i suoi figli,
Non che gli amici, Antenore, ed Anchise,
Enea, Ucalegon, Panto, e Talanto,
Lampato, e tutti ancor quegli altri figli
Da concubine avuti, e innanzi a tutti
Disse il Re, che mandato in Grecia avea
Antenore Legato, acciò coloro,
Che ucciso aveangli il proprio genitore,
Saccheggiata la patria, e via rapita
La sorella Esìona, almeno data
Gli avesser questa, e ritornava in pace;
Ma che Antenore invan gli avea pregati,
Ed ottenuta sol ne avea rimprocei,
Disprezzi, e villanie le più insultanti,
fino a cacciarlo dalli propri stati:
Che per ciò gli parea spedire in Grecia
Un esercito, affin che più scherniti
I barbari non fossero da quelli.
Esortò Priamo i figli, acciò l’impresa
Guidasser’essi, e soprattutto Ettorre,
Ch’era maggior d’età. Questi a suo padre
Disse, che manderebbe egli ad effetto
Il paterno voler, e che vendetta
Farìa dell’avo, e delle ingiurie fatte
Ricevute dai Greci, e sol temeva
Di riuscirvi, perchè poteano i Greci
Molti ajuti ottener; che nell’Europa
Eran troppo potenti, e in fatti d’anni
Forti, ed esperti assai; mentre che l’Asia
Languiva in ozio, e non aveva armate
Opinando Alessandro allor soggiunse
Fabricarsi un’armata, e che spedita
In Grecia fosse, e ch’ei sarebbe il Duce;
E se al Padre piacea, ei si fidava
Superare i nimici, e glorioso
Ritornar dalla Grecia, e ciò a motivo,
Che stando egli sull’Ida, in sogno vide,
Che per ordin di Giove innanzi a lui
Mercurio conducea queste tre Dee,
Giunon, Minerva, e Venere a motivo,
Ch’ei giudicasse qual tra quelle fosse
La più bella: e che Venere prescelta
Se da lui fosse, prometteagli dare
Per isposa una donna infra dell’altre
Greche bellezze la più bella. In questo
Sogno sperar il Re dovea, che fosse
Venere fausta ad Alessandro, e grata.
Piacque a Deifebo un tal consiglio, e inoltre
Assicurò, che i Greci avrien renduta
A questo patto sol la zia Esìona,
Se in Grecia si spedia tosto un’armata.
Eleno allor si oppose, ed a predire
Cominciò, che verrebbero li Greci
A rovina di Troja, e di suo padre,
E che i fratelli suoi sarieno uccisi,
Se Alessandro di Grecia in Troja avesse
Una moglie condotta. Era d’Ettorre
Assai Troilo minore, in gagliardia
Non cedeva però; questi derise
D’Eleno i vaticinj, e persuadeva,
Che si andasse alla Grecia, e un tal consiglio
Fu da tutti seguìto, e fu disposto
Prepararsi la flotta, e andarsi in Grecia;
Indi commise ad Alessandro istesso,
Ed a Deifebo Priamo di portarsi
In Paonia a raccogliere soldati,
E di poi fece il popolo adunare,
Per fargli udir qual gran cagione avea
Di portar guerra ai Greci, e quali fatte
Furo da questi ingiurie alli Trojani.
Gli narrò, che mandato aveva in Grecia.
Antenore a dolersi e del suo padre
Laomedonte ucciso, e del saccheggio
Dato a Troja, ed infin della sorella
Tenuta in schiavitù, e che soltanto
Questa gli fosse resa, ed in oblio
L’altre ingiurie mettea: e questa inchiesta
Fu mal dai Greci ricevuta, e male
L’ambasciador trattato, e non concessa
Esìona rapito, onde disposto
Avea, che andasse in Grecia a vendicare
Tanti torti un’armata, e ch’Alessandro
Ne fosse il Capitan. Indi commise
Ad Antenore il dir come trattato
L’aveano i Greci, e ripetè costui
Quanto a Priamo avea detto; ind’i Trojani
Incoraggì, facendogli vedere
Quanto possibil cosa era li Greci
Soggiogare alla fin. Priamo di poi
Disse, che se v’è alcun, cui questa guerra
Dispiacer possa, sua ragion ne dica.
Allora Panto a Priamo; e ai suoi vicini
Narrò quello, che aveva un di ascoltato
Per Euforbio suo padre. Egli dicea,
Che se Alessandro un dì porta da Grecia
La sua moglie, alla patria egli rovina,
Ed eccidio cagiona; e ch’era meglio
Vivere in pace, e non esporre al rischio
E beni, e patria, e libertate, e vita.
Ma il popolo sprezzò Panto, e ‘1 suo dire,
E chiese al Re, che ciocchè a lui piaceva
Si fosse fatto: e ‘1 Re, dato un editto,
Con cui prescrisse al popolo star pronto,
Per recider dall’Ida i legni adatti;
Il popolo gridò, ch’era ognun lesto,
Per eseguir quanto il suo Re voleva,
Priamo contento rese grazie a tutti,
E fe’ tagliar la selva Idea per l’uso
Delle navi suddette, e nella Frigia
Il suo Ettorre mandò, perché accogliesse
L’esercito a condurre, e ciò fu fatto.
Cassandra avendo del suo padre udito
II consiglio già preso, incontanente
A predir cominciò quanto ai Trojani
Avvenne poi, se avesse nella Grecia
Alessandro spedito. Infra di tanto
Venne il tempo, e le navi fabbricate
Furono, od i soldati anche arrivaro
Di Peonia; ed il tempo a navigare
Idoneo essendo, fe’ imbarcar la gente;
Fece Alessandro capitano, e insieme
Mandò Deifebo, Enea, Polidamante,
E impose ad Alessandro, acciocchè prima
A Sparta andasse a Castore, e Polluce;
Ivi trovati, avesse lor richiesta
La sua zia Esìona, e quando questi
Ricusato l’avrieno, allora avviso
Spedisse a Troja, acciò senz’altro indugio
Potesse in Grecia egli inviar l’armata.
Passò in Grecia Alessandro, avendo seco
La guida istessa, che nel tempo innanti
Con Antenore andò: pria che in Citero
Alessandro arrivasse, in mar s’avvenne
Con Menelao, che navigava a Pilo;
E questi avendo maraviglia dove
La regia flotta andasse, il suo cammino
Proseguì non sapendo e l’uno, e l’altro
Ove ciascun ne gisse. Erano andati
A Clitennestra Castore, e Polluce,
E menata la lor nipote Ermione
Ad Elena figliuola; ed in quel giorno,
Ch’Alessandro pervenne a Citerea,
Era in Argo la festa di Giunone:
Qui nel tempio di Venere i suoi voti
Sciolse Alessandro a lei, ed A Diana,
Offrendo ad ambe i sacrificj suoi.
Maraviglia si fean quegl’Isolani
Della flotta real, ed ai compagni
Chiesero d’Alessandro, e a quale oggetto
Eran venuti, e chi fossero mai.
Gli fu risposto, ch’Alessandro il figlio
Di Priamo Ambasciador venia dal padre
Spedito in Sparla a Castore, e Polluce,
Or Alessandro essendo in Citerea,
Elena moglie a Menelao desio
Ebbe vederlo; che venuta essendo
Elena alla Città Elena detta,
Arrivò sopra mare, ove un bel tempio
Ad Apollo, e Diana è consacrato,
In cui disposto avea d’offrire ai Numi
Elena i sacrificj: e risaputo
Anche avendo Alessandro essere al mare
Venuta Elena, a cui la fama innanti
Di bellezza volava, e leggiadria,
E desioso anch’ei di vagheggiarla
In Elena portossi, e la novella
Del suo arrivo veduta appena a lei,
Che corse a riscontrarlo; e non sì tosto
Si fur veduti insiem, che insiem restaro
L’un dell’altra invaghiti, e innamorati;
E spiegate tra lor le fiamme loro,
D’accordo stabiliro il loco, e ‘l tempo,
Per godere de lor mutui favori,
Alessandro ordinò, che tutt’i suoi
Fossero pronti in sulle navi, e quando
la notte venne, egli pigliò dal Tempio
Elena, e seco ancor cert’altre donne.
Quegli abitanti s’avvisaro appena,
Ch’er’Elena rapita, all’armi tosto
Correndo, l’assaliro, ed all’invano,
Ch’Alessandro fidato ai suoi compagni,
Ch’erano molti, e bravi, i suoi nemici
Vinse, e battè; molti ne uccise, e molti
Fe’ prigionieri; e poi spogliato il Tempio,
Sciolse dal lido, e diè felicemente
Le vele al venti col desio d’andare
Alla sua patria, ed arrivato al porto
Di Tenaro, e vedendo Elena afflitta,
E pentita di quel, che avea commesso
Alla patria, al marito, e d’Ermione
Dolendosi , bagnava i suoi begli occhi
Di caldo pianto, e amaro; ed Alessandro
Confortandola, a lei altra migliore
Patria offriva, e marito, e più bei figli,
Al nascere di cui soltanto avrebbe
Parte l’amore, e tenerezza eterna;
E non tardò un momento, e al padre scrisse
Alessandro, e narrò tutto il successo.
Il seppe Menelao in Pilo ancora,
E con Nestore in Sparta ei volò tosto;
Indi in Argo mandò chi pur l’avviso
Ne dasse al suo fratello Agamennone,
Pregandolo, che a lui tosto venisse;
Ma finchè Menelao s’affligge, e manda
Pel fratello, e gli amici avvisi, e messi,
Alessandro Arrivò carco di preda,
E con Elena a Troja, ove al suo padre
Coll’ordin suo narrò l’avvenimento,
Di cui lieto si fu Priamo, sperando,
Che per riavere i Greci Elena loro,
Reso gli avrian la sua sorella Esiona,
E quanto a Troja un dì essi rubaro;
Indi veggendo afflitta Elena assai,
E che di mala voglia ivi si stava,
La prese a consolar, e ad Alessandro
Indi la diè per moglie. Allor Cassandra
Svelò gli arcani, e palesò co’ suoi
Vaticinj il futuro, e quel che avea
Predetto pria, or confirmò di nuovo;
Ma Priamo sordo, e incredulo de’ Dei
Ai vaticinj, fe’ di là levare
La verace Cassandra, e mai creduta:
E chiuder fatta, le impedì il predire.
Agamennon venuto in Sparta al suo
Fratello, che trovò molto attristato
Per la rapita moglie, il prese prima
A consolar, di poi per Grecia tutta
Messi spedì, che dell’ingiuria atroce
Dolendosi, invitava ognuno all’armi,
Per vendicarla. E convenuti insieme
Patroclo, Achille, e Tlepolemo, e ancora
Diomede, a Sparta andaro, e di concerto
Fu risoluto vendicar l’affronto
Con aspra guerra da portarsi a Troja;
Dell’esercito dando il sommo impero
Ad ESSO Agamennon. Indi i Legati
Per la Grecia spediro, acciocchè armati
Guidi con navi ognun li suoi nel porto
D’Atene, affinchè insiem di là partiti,
S’andasse a Troja a vendicar l’oltraggio.
Aveano intanto Castore, e Polluce
Udito il ratto della lor sorella,
E saliti in un legno, al rapitore
Tennero dietro; ma sciolti da Lesbo
Una tempesta avendoli sorpresi
In alto mar, non più furo veduti;
Quindi si disse, che passare al Cielo
Fra li Numi immortali, avendo invano
Quelli i Lesbj cercato insino a Troja.
Darete Frigio, il qual di questa guerra
Scrisse la storia, e il qual fin che fu presa
Troja dai Greci, fu Trojan soldato,
Assicura, che tutte queste cose
Ha vedut’egli, e in tempo della tregua,
E nelli fatti d’armi, in cui è stato;
Ed oltre poi ha dai Trojani istessi
Egli udito, ed essendogli richiesto
Qual avean faccia Castore, e Polluce,
Disse, ch’eran tra lor simili in tutto
Biond’i capei, grand’occhi, e faccia pura,
Grandi di corpo, e ben organizzati:
Ch’Elena i somigliava, essendo bella,
Semplice di costume, e assai piacente,
Sode le gambe, e con un neo nel mezzo
Delle ciglie, e la bocca assai ristretta:
Che Priamo area bella la faccia, grande,
Dolce la voce, ed aquilino il corpo.
Barbosso Ettorre poi, candido, e rizzo,
Cogli occhi torti, e i membri suoi veloci,
II volto venerabile, e barbato,
Bellicoso, alma grande, e colli suoi
Cittadini clemente, e degno assai
D’esser da tutti amato. Eran Deifòbo,
Ed Eleno al lor padre assai simili,
Ma varj di natura infra di loro;
Deifòbo era gagliardo; Eleno poi
Clemente, ed indovino assai distinto.
Era Troilo poi grande, e forte assai,
Bello, d’età fiorita, ed amatore
Delle virtù. Era Alessandro poi
Candido, lungo, ed era pur gagliardo,
Begli occhi avea, molli i capelli, e biondi,
Gioconda faccia, e una soave voce,
Al cammin lesto, e vago assai d’impero.
Che rosso Enea, e ben formato fosse,
Affabile, fecondo, e nel Consiglio
Fermo, pietoso, e grato, e neri, e lieti
Avea i begli occhi. Antenore un po’ lungo,
E magro; i membri suoi veloci, e pronti,
Astuto, e accorto. Ecuba grande, e avea
Aquilino il suo corpo, ed era bella,
Avea mente viril, giusta, e pietosa;
Andromaca chiar’occhi, ed era lunga,
Candida, e bella, e savia era, e modesta,
Piacevole, ma casti i suoi costumi.
Cassandra avea mediocrità di taglia,
Candida, rossa, di rotonda bocca,
Con occhi risplendenti, ed indovina.
Polissena pur candida, ma grande;
Bella, di lungo collo, ed occhi vaghi,
Biondi i capelli e lunghi, degnamente
Composti i membri, avea rette le gambe,
Lunghe le dita, e i piè convenienti,
E nella sua beltà tutti vincea,
Semplice il suo bel core, e liberale.
Agamennone bianco, ed era grande,
E di robuste membra, ed eloquente,
Saggio, nobile, bieco: e Menelao
Mediocre avea la sua statura, e bello,
Grato, e giocondo: Achille il petto largo,
Le membra avea robuste, e vago il volto,
Gran forza nelle braccia, e molto vizzo,
Pietoso, è ver, ma in armi assai veemente,
Lieto di volto», largo, e liberale,
Ed i capelli avea color di mirto.
Era Patroclo bello, ed occhi vari,
Gagliardo, vergognoso, e liberale,
Retto, e molta prudenza il distingueva.
Era Ajace Oilèo poi ben formato,
Avea sode le membra, ed aquilino
Il corpo, era sagace, e forte insieme.
II Telamonio Ajace era gagliardo,
Di chiara voce, e di capelli neri,
Ma rizzi, aveva semplice il suo core,
Ma co’ nemici suoi poi troppo atroce,
Ulisse fermo, e ingannator, di faccia
Lieto, ma di statura assai mezzana,
Eloquente nel dir, saggio in pensare.
Gagliardo era Diomede, e ben formato,
Di volto austero, ma di corpo onesto,
Veemente nella guerra, e di gran voce,
Caldo di testa, impaziente, audace.
Era Nestore grande, e il naso lungo
Avea, ma largo, candido e prudente
Ne’ suoi consigli: poi Protesilao
Bianco di volto, onesto, e ‘l piè veloce,
Coraggioso, e talor pur temerario.
Era Pirro più grande, e più gagliardo,
Disdegnoso, barbosso, e di bel volto,
Era inclinato alquanto, e gli occhi tondi,
E l’aspetto talor dava del grave.
Palamede era lungo, e magro, e savio,
D’animo grande, ma piacevol poi.
Giust’era Podalirio, e ancor gagliardo,
Arrogante però, mesto di faccia.
Macaone era grande, era prudente,
Forte, paziente, e avea pietà d’altrui.
Rosso Merione, e di mediocre taglia,
Avea giocondo il corpo, era vizioso,
Pertinace, crudele, e impaziente.
Briseide bella, ma non alta, o bassa,
Bianca, e i capelli aveva biondi e molli,
Cangianti eran le ciglia, e vergognosa,
Ma semplice, e sensibile di core.