Testo

Sofocle - Aiace

Personaggi del dramma:

Il luogo: prima lo spiazzo davanti alla tenda di Aiace, nel campo greco all'assedio di Troia; poi una radura isolata, sul mare, ombreggiata da cespugli.

Opera

Odisseo sta perlustrando il terreno davanti alla tenda. Atena è alle sue spalle.

ATENA

Ti fisso, Odisseo di Laerte, ora per ora: ostinato a scovare, carpire una pista contro chi odi. Come adesso, t'osservo sguinzagliato da tanto attorno alla tenda d'Aiace, all'imbarco, all'estrema trincea. l Calcoli i segni dell'uomo, l'ultima impronta, vorresti capire se c'è, là sotto, o non c'è. Ottima scorta per te il tuo puntare, ha buon naso: da cagna volpina, direi. Esatto, lui è là sotto, da poco. Colano, sudano faccia e mani guerriere assassine. Basta, non sforzarti a frugare là dietro l'entrata, con gli occhi. Di' la tua febbre, a che scopo t'impegni. Potresti imparare da una che sa.

ODISSEO

Grido d'Atena, la più mia degli dèi! Ah sì, mi si svela all'orecchio il messaggio - lei è indistinta, che importa - lo catturo, mi penetra: da metallica gola, quasi, di tromba perfetta. Come sempre m'hai scrutato a fondo, tu. Sì, sto puntando, accerchiando uno che detesta noi tutti, Aiace, l'uomo dello scudo. Certo, lui. Non un altro: lo pedino da un pezzo. Vedi, questa notte ci ha diretto contro un gesto assurdo. Sempre se è sua l'azione. Vedi, non c'è prova che inchiodi: si tenta, alla cieca. Allora mi offro, mi accollo io quest'impegno. Che massacro. Proprio un attimo fa lo scopriamo: un macello totale, per terra, delle bestie razziate, dei vaccari di guardia, là in mezzo. Colpo di mano. Circola voce che il criminale sia quello là dentro. L'ha intravisto un teste oculare e m'informa, chiarisce: tripudiava su e giù per lo spiazzo, solo, lui e la spada calda grondante. Di volo io scatto sui segni di passi: i suoi, qua e là, li decifro, su altri mi blocco, non ho elementi, chissà di chi sono. Perfetto, il tuo intervento: il tuo polso, lo sento, mi pilota costante nelle mie scelte di ieri, e in quelle future.

ATENA

L'ho capito, Odisseo. T'ho incrociato, per tempo, per esserti amica nella tua battuta.

ODISSEO

Di', tu che mi possiedi, mira preciso il mio sforzo?

ATENA

È così: questa è opera sua, del tuo uomo.

ODISSEO

E il motivo, del suo scatto demente?

ATENA

Rabbia. Rabbia pesante, per le solite armi di Achille.

ODISSEO

Ma su bestie..? Che è il suo piombare su bestie?

ATENA

Illusione, d'imbrattare le mani su di voi massacrati.

ODISSEO

Di', era impulso cosciente, proprio contro gli Argivi?

ATENA

Già azione concreta, se non ero attenta, io.

ODISSEO

Com'è esplosa la furia, l'istinto aggressivo?

ATENA

Losco, col buio, vi precipita addosso. Solo.

ODISSEO

Di', ci fu addosso, ormai sul traguardo?

ATENA

Già a contatto dei capi, là sulla soglia.

ODISSEO

E ferma il gesto omicida a mezz'aria. Che fu?

ATENA

Io. L'inchiodo. Nel cervello gli sferro visioni asfissianti, nella sua frenesia disperata. Lo dirotto su pecore e capre, poi sul bestiame di guerra, massa ancora comune, sotto vaccari guardiani. Cadde là in mezzo: tosatura di morte, folla di corna, gorgo, a schiantare le schiene. Per lui, ammazzava i due Atridi stretti sotto i suoi colpi: poi un altro, addosso, un altro dei capi d'armata. Illuso. No, ero io! Col suo cervello malato, ossessionato, io lo frustavo, l'affondavo nella trappola cupa. Alla fine la smise con quel suo ammazzare. Ora tocca alle bestie vive: le lega coi lacci e col grosso del gregge le tira al coperto. Nemici cattura, per lui' non la massa bovina! Anche adesso continua l'osceno supplizio delle bestie inchiodate, sotto la tenda. Vieni. Mostrerò anche a te la demenza di Aiace, lampante. Guardala bene, e gridala ai Greci del campo. Sta' calmo, resisti. Non prenderlo come una disgrazia tua, il contatto con lui: io faccio barriera al bagliore stravolto degli occhi. Non vedrà che sei tu.


(Atena si volge alla tenda)

Ehi, ehi tu che raddrizzi le ossa ai nemici tua preda con tratti di corda, fatti avanti, ti dico. Aiace, mi senti? Scopriti, esci!

ODISSEO

Che vuoi fare, Atena? No, no non chiamarlo.

ATENA

Silenzio. Riprenditi. Viltà è la tua meta?

ODISSEO

No, no o déi! Resti fermo là sotto. Mi basta.

ATENA

Che può capitare? Cos'è stato finora: un uomo.

ODISSEO

Pieno d'odio. Contro Odisseo, oggi come sempre.

ATENA

Ridere in faccia a chi odi. Ecco la risata più cara!

ODISSEO

A me basta, ti dico, se lui non si muove da là.

ATENA

Maniaco: ma uomo. E tu tremi, a vederlo, nel chiaro del giorno?

ODISSEO

Sì. Fosse sano non tremerei, non avre i cedimenti.

ATENA

Neanche così, non vedrà che sei tu, lì vicino.

ODISSEO

Davvero? Vedrà bene con gli occhi, gli stessi di sempre.

ATENA

Io gli annero la vista, lo sguardo sbarrato.

ODISSEO

Ah sì. Se trama un dio, può nascere tutto.

ATENA

Fermati, taci. Resta come ti trovi.

ODISSEO

Resto, va bene. Ma come direi: no, me ne vado!

ATENA

(Rivolta alle tende)

Aiace! T'ho già chiamato una volta. Che scarso interesse per l'amica di lotta. Perché?

AIACE

(Appare impugnando un sferza insanguinata)

Salute, salute Atena di Zeus. Sì, sì che compagna perfetta! Voglio proprio fregiarti di roba predata. Massa d'oro, a compenso di questa razzia.

ATENA

Belle parole. Basta. Rispondi, piuttosto. Hai tuffato intera la lama nei guerrieri greci?

AIACE

Trionfo onestissimo! Non smentisco: è così.

ATENA

Di', anche addosso agli Atridi, armi in pugno?

AIACE

Cancellare Aiace! Ormai non proveranno più.

ATENA

Tutti ammazzati, se collego bene.

AIACE

Morti, quei due. Mi strappino adesso le armi, le mie.

ATENA

Avanti, del figlio di Laerte che dici? In che stato l'hai messo? O t'è sfuggito?

AIACE

Canaglia dannata! Che ne è, mi chiedi?

ATENA

Esatto. Del tuo antagonista, di Odisseo parlo.

AIACE

Che delizia, o Potente: è assiso là sotto, inchiodato! Non mi piace che muoia così. Non è tempo... Sofocle Aiace

ATENA

Prima di decidere che? Che vuoi spremergli, ancora?

AIACE

Prima l'incateno al palo del tetto, dove abito io

ATENA

Poi? Che trattamento vile riservi a lui disperato?

AIACE

frustando gli arrosso la schiena. Dopo, morrà.

ATENA

No, non così osceno supplizio al disperato!

AIACE

Soddisfazione su tutto, Atena, io ti concedo. Ma lui no. Sconterà così, non con altro supplizio.

ATENA

Bene. Se è festa per te questa scelta, impegna le braccia, fa' ciò che hai mente, senza risparmio.

AIACE

Vado al mio compito. Questo, vorrei intimarti. Stammi qui a fianco. Sii per me la compagna di sempre.


(Aiace rientra nella tenda)

ATENA

Vedi, Odisseo, la durezza degli dèi, quant'è? Eccolo Aiace: di' trovavi uno più riflessivo, più bravo a scegliere a tempo le mosse?

ODISSEO

Io? No, non ho in mente nessuno. Ora è stravolto. Mi fa sempre pena, anche se c'era dell'astio, tra noi: lo schiaccia collare di Perdizione maligna! Rispecchia il suo caso, ma con esso il mio: lo vedo, noi esseri umani che siamo? Spettri, impalpabile ombra.

ATENA

Scruta il caso a fondo: non devi rivolgerti a dio con arroganza assurda; non farti crescere dentro la boria, se travolgi gli altri per potenza di braccia o per abisso enorme di beni. Pensa: la serie dei giorni sprofonda e libra di nuovo il cosmo umano. Gli dei adottano chi ha l'equilibrio, hanno orrore del male!


Atena svanisce, mentre Odisseo esce. A passo ritmato entra il Coro di marinai della nave di Aiace.

CORO

Telamonio, padrone di suolo costiero,

Salamina - il suo cerchio di acque -

è festa, per me, il tuo successo:

ma - chissà - se ti fulmina Zeus, o smanioso

stridente sparlare dai Greci t'assalta

angoscia mi blocca, incubo immoto

sguardo di colomba in volo.

E ora, in questa agonia della notte

chiasso tremendo c'inchioda.

Scandalo! Tu nello spiazzo

del folle galoppo, d'assalto

avresti disfatto bestiame di guerra

avanzo della razzia armata

- massacro col lampo del ferro.

Così circola voce: la sibila Odisseo

- da artista - ne riempe i cervelli.

Persuade chiunque: oggi il tema sei tu

e lui sparla suadente. Ed è festa più bella

per il pubblico che per lui narratore

calpestare il tuo spasimo.

Bersaglia protagonisti: non riesci

a fallire. Pensa se io fossi tema

di tali parole. Non uno ci crede!

Addosso a chi conta s'annoda Rancore.

Fragile gente divisa dai forti

diventa friabile muro di cinta.

Coi forti, chi non conta può nobilitarsi

e il forte si esalta, se chi è basso lo regge.

Ma è illusione istillare ai dementi

il senso del mio ragionare.

Gente così ti denigra, chiassosa.

Fronteggiare, far scudo: ci manca

la forza, sovrano, divisi da te.

Appena sgusciano via dal tuo raggio degli occhi

assordano, massa d'uccelli.

Ma c'è l'incubo, in loro, del grosso rapace:

basterebbe, di colpo, il tuo riapparire

ed eccoli muti, ingobbiti, sfiatati.

str.

Chissà se fu Artemide dei Tori

- rovello enorme, radice

della mia macchia -

a sferrarti sul gregge, sulla massa bovina.

Che vendichi prede senza frutto per lei?

O la truffa su spoglie preziose,

d'una caccia senza offerte di rito?

O è il metallico dio che deplora

fratellanza di lancia, e subdolo, nel buio

t'ha fatto scontare l'offesa?

ant.

No, mai. Non verrebbe dal fondo di te,

Telamonio, questo tuo delirare

fino al balzo sul gregge.

Certo, crisi giunta da dio. Può darsi. Argini

Zeus con Apollo il sinistro vociare del campo!

Se subdoli

contrabbandano storie i sovrani

o quello che viene dal ceppo dannato di Sisifo,

principe, oh, no, non caricarmi d'infamia

serrandoti fisso nella tenda marina.

ep.

Lascia il tuo covo. Da una vita

ti radichi lì,

nel ribelle abbandono.

E inneschi Flagello, cosmico incendio.

Non ha scrupoli l'arroganza nemica

dilaga per vallate ariose.

Crepita ghigno sonoro

una pena di piombo.

Rigido strazio, per me.

TECMESSA

(Appare uscendo dalla tenda)

Nerbo della nave di Aiace

ceppo d'Eretteo, l'Indigeno!

Tocca a noi sospirare, nel cuore

Telamone e la casa, oltremare.

Sì, l'enorme, tremendo, durissimo

Aiace ristagna nel gelo melmoso

d'una crisi improvvisa..

CORO

Che permuta greve di pena

tra il giorno sereno e l'ultima notte?

Di' tutto, figlia di Teleutante.

Preda guerriera, da letto,

Aiace, l'eroe

t'ha fatta sua, ti tiene per sé.

Non sei certo all'oscuro.

Interpreta, allora.

TECMESSA

Parlare maledette parole? Ah, non potrei!

A morte assomiglia lo strazio che udrai!

Ossessione, col buio, lo preda: e Aiace,

l'immacolato, è nel fango!

Cosa vedresti, là sotto la tenda:

carne sacrificata, sgozzata. Pozza cruenta.

Sacro festino di Aiace!

CORO

str.

Che notizia riveli

del forte, pieno di fuoco

- schiaccia, senza spiragli -

riecheggia tra i Greci tremendi del campo!

Chiacchiera enorme

la fa dilagare!

Ah, m'angoscia quanto si snoda. Spicca

evidente: Aiace morrà. Col pugno impazzito

coi neri fendenti

svelse bovi e bovari a cavallo.

TECMESSA

Aaah da là, sì da là se ne venne

cacciando davanti lo schiavo bestiame.

Nel chiuso qui macellava, sul suolo,

là squarciava le groppe in due tronchi.

Poi due caproni. Sospesi. Lampeggiare di zampe.

Decapita il primo, gli spunta la lingua. Mietitura

rabbiosa. Penzola l'altro, teso,

inchiodato sul palo. Lui impugna

una cavezza pesante, da stalla

e picchia. Striduli tonfi, d'alterne frustate.

Sputava pessimi insulti: dettati

da Inferno, non da voce terrena.

CORO

ant.

Qui il tempo è maturo

di cancellare col velo la faccia,

sparire correndo nell'ombra

o piantarsi sui banchi di voga, e di scatto

sferrare lo scafo sui valichi d'acque.

Che minacce ritmano i due,

i capi, gli Atridi

su di noi! Che incubo: morte a sassate feroci

crivellati con lui,

che vicenda scontrosa incatena.

TECMESSA

Ora basta: cessa l'incendio di lampi,.

come raffica tesa, affilata, si spegne.

Ora ragiona, ma l'invade uno spasimo strano.

Scorgere chiaro ch'è tuo, solo tuo il patire

- nessuno ha spartito la colpa con te -

accumula, gonfia gigantesco dolore.

CORO

Se la crisi s'è ormai acquietata, è ottimo segno, direi. Quando il male è fuori, per strada, svanisce il rovello.

TECMESSA

Pensa di avere davanti due vie. Che scegli: solitaria gaiezza a tormento dei tuoi, o spartisci lo strazio, e ti leghi a chi più t'è legato?

CORO

Per me, se si sdoppia il malanno s'aggrava.

TECMESSA

Prendi noi. Non c'è crisi, per ora. E ci sentiamo perduti.

CORO

Come parli? Non connetto il discorso.

TECMESSA

Lui, là dentro. Finché aveva l'attacco, solitario gioiva del suo stato malato; infinita tristezza a noi - menti lucide - era stargli vicino. Ora è riemerso quieto dal male, respira; ma una fitta maligna lo strema, lo annienta. Noi ugualmente, nulla cambia da prima. Lo vedi: da singolo, il male raddoppia.

CORO

Anch'io lo dico. Che sia qualche mazzata, da un dio? Ho sospetto. Com'è che, placato, non si sente sereno più che sotto la crisi?

TECMESSA

Questo è lo stato: analisi obbligata la tua.

CORO

Che preludio di crisi aleggiò su di lui? Svelalo a noi, partecipi al caso dolente.

TECMESSA

Devi sapere ogni gesto. Sei coinvolto. Ecco. Culminava la notte. Già i falò della sera non bruciavano più. Brandì spada affilata, sgusciò per un'azione esterna, a vuoto. Una pazzia. Io lo fermo, dura, gli dico: «Che hai in mente, Aiace? Non c'è appello - niente staffette a chiamarti, né sveglia di tromba - e tu tenti un assalto, perché? Poi l'armata al completo è nel sonno.» Ribatté secco, macchinalmente: «Donna, star zitta fa perfetta la donna.» Lo conosco. Lasciai stare. Scappò fuori da solo. Non so dire le miserie, là fuori. Rientrò sotto cacciando una fila di bestie, allacciate, di cani da mandria, una folla di corna razziate. Cominciò a spaccare le gole; altri capi, inarcati, macellava e squartava. Torturava, umiliava quelli legati, come persone. Una furia, addosso alle bestie. Finì con un salto, di scatto, oltre l'entrata. Rivolto a qualcosa, ad un'ombra, si cavava da dentro parole riottose contro gli Atridi e cose su Odisseo. Intercalava schianti di risa: che rivalsa bestiale aveva riscosso, da loro! Un altro balzo, a ritroso, sotto, al coperto: e a strappi, a momenti riacquista coscienza. Non so come. L'occhio fruga l'ambiente, e scorge che gronda rovina. Che pugni, sul capo! Che urlo potente! Seduto, spezzato tra i pezzi di morte, nella pozza di quel mattatoio. Impugna, s'artiglia i capelli con strette feroci. Passarono eterni momenti, seduto così, senza voce. Poi cominciò a dirmi paurose, orribili cose se n on gli chiarivo, a fondo, che caso tremendo l'aveva colpito. Domandava a che punto s'era ridotto. O mia gente! Io tremavo. Gli dissi ogni cosa, ogni gesto, sì, quanto sapevo. Di colpo, urlò ululi rochi che da lui non avevo mai udito in passato: era un dett o dei suoi che solo un degenerato, uno con l'anima in pezzi poteva gridare così. Non era chiasso, il suo, di singhiozzi taglienti, ma chiuso, lungo sospiro, da toro che rugge. Ora è là, nel suo povero stato, fermo, digiuno, troneggia là dove piombò, nel cerchio di bestie macellate col ferro. Freddo. Ma è chiaro che ha in mente qualcosa di brutto: è smanioso. A sentire le parole che dice, la nenia... non so. Ecco il motivo che m'ha spinta fuori. O amici, fate qualcosa, se potete, andate là sotto, da lui. È di quelli che se sente parole dai suoi si convince.

CORO

Tecmessa, figliola, che dici: strana, ostinata ossessione l'ha invaso, nata da offesa.

AIACE

(Da sotto la tenda)

Aaaah!

TECMESSA

S'aggrava, purtroppo, di colpo. Lo sentite, sentite che grido sta urlando?

AIACE

(Dall'interno)

Aaaah!

CORO

È una crisi, direi. O sentirsi addosso - straziante contagio - gli attacchi di prima.

AIACE

(Dall'interno)

Aaaah, figlio!

TECMESSA

Ah, che disgrazia! Vuole te, Eurisace. Che spasima, dentro? E tu, dove sarai? Ah, che disgrazia!

AIACE

(Dall'interno)

Teucro, chiedo! Dov'è Teucro? Che fa, passa la vita a cacciare? Qui mi sento morire.

CORO

Pare lucido? Svelti ad aprire. Una forma di pudore l'avrà, se mi vede.

TECMESSA

Attento, spalanco. Hai sotto gli occhi il lavoro di Aiace. E anche lui, a che punto è ridotto.


(La donna apre la tenda. Dall'apertura s'intravede Aiace)

AIACE

str.

O gente mia, della nave. Soli dei miei

soli aggrappati alla legge retta, leale

vedete che marea su di me,

che raffica rossa

tenaglia di gorghi!

CORO

(A Tecmessa)

Che disgrazia! Fosti teste troppo sincera. Quanto fa, prova la sua allucinazione.

AIACE

ant.

Siete la mia famiglia, abile nerbo

della mia nave, imbarcata a ritmare la voga

là sull'abisso: ti fisso,

tu sei unico scudo al dolore.

Collabora, ammazzami!

CORO

Zitto, sta' zitto! Farmaco folle per la tua follia. Non darlo, aggravi la pena della tua perdizione.

AIACE

str.

L'eroe, l'uomo di fegato, eccolo qui!

Sangue freddo negli scontri di morte!

E ora? Bravo, a colpire domestica preda!

Ridicolo, noooh! Ah, sì, squilibrato patire!

TECMESSA

No, Aiace signore, non parlare più, ti scongiuro.

AIACE

Sparisci, svia indietro i tuoi passi.

Aaaah!

TECMESSA

Dio mio, piegati, ragiona con calma.

AIACE

Storta fatalità. Lasciarsi schizzare dal pugno

impuniti d'Inferno

e crollare su tori ondeggianti

su splendidi arieti

fiumana di buio sangue.

CORO

Che senso ha disperarti, per i gesti compiuti? Non è dato che lo stato attuale si muti.

AIACE

ant.

Occhio che spia, ordigno

d'ogni bassezza, Odisseo di Laerte

sudicia morchia dei Greci

dilaga il tuo ghigno, ci godi!

CORO

Dio ritma per tutti sorrisi e sospiri.

AIACE

Potessi vederlo, anche perduto così come sono!

Aaaah!

CORO

Non dire enormità. Guarda quanto sei in basso!

AIACE

Zeus, capostipite mio

dammi modo: ammazzare lo scaltro

intruglio schifoso, la coppia di re

e alla fine

la morte, per me.

TECMESSA

Quando imprechi così, mischia voto di morte anche a me. Vivere è assurdo, se sei morto tu.

AIACE

str.

Aaah!

Buio radioso!

Sotterra, incendio di raggi, per me!

Fatemi, fatemi ospite vostro

fate me che non merito più

d'avere visioni divine

o d'uomo, creatura che tramonta.

Non servirebbe.

La figlia di Zeus, Forza divina

mi devasta,

m'annienta.

C'è scampo? C'è una meta,

a placarmi, se si sfascia il mio io

stremato tra i resti

dell'allucinata razzia.

Ora l'armata m'ammazza,

colpo su colpo.

TECMESSA

Che disgrazia! Udire discorsi così da quest'uomo, vero uomo. Ah no, non ne era capace in passato!

AIACE

ant.

Aaah!

Rotte, rauco mare

anfratti salmastri, prato rasente la spiaggia

quanti, quanti lunghissimi anni

nel vostro abbraccio, qui sotto Troia!

Basta, è finita. Soffio di vita

più non avrò: chiaro senso, a pensarci.

Scamandro,

rivoli porta a porta,

partigiani dei Greci

eccomi, non rivedrete quest'uomo

uno - sarà assurdo il mio grido -

senza pari tra chi accorse alla guerra

sotto gli occhi sbarrati

di Troia.

Ora sono nessuno

in ginocchio.

CORO

Ti chiudo la bocca, ti lascio parlare? Ignoro che fare. Troppo in basso piombasti.

AIACE

Aahiaahi! Chi poteva pensarlo: come armonizza questo mio nome con la mia miseria! Col nome, sillabo, gemo il mio ritornello: aahiaahi! Tanto in basso è il mio stato! Io! Non mio padre! Fu campione in questo suolo di Troia, si prese fiore di preda e al ritorno arricchì la sua casa di gloria. Io sono suo figlio. Sono calato su questo stesso punto di Troia. Il mio nerbo è pari. L'azione del braccio non ha sfigurato. Ed ecco, non sono nessuno per i Greci del campo, non sono più niente! Pure, ancora, barlume di chiara coscienza mi resta: se Achille viveva, e lui assegnava le armi col puro criterio del primato guerriero, nessuno poteva brandirle. Io, solo io! Eh no. Gli Atridi le passano a uno, una testa capace di tutto. Uno schiaffo alla forza di Aiace! Ah se lo sguardo, la mente in delirio non si fosse divelta dal mio impulso cosciente, non avrebbero certo colpito due volte con decreti votati a quel modo. Ma no. La figlia di Zeus, la truce, inviolata, mentre già drizzo il colpo su loro, mi confonde, m'infligge frenesia allucinata. Finisce che insanguino il braccio nella carne che vedi. Quelli sono fuori pericolo, ormai, e fanno sarcasmi. Non era il mio desiderio: ma se un dio ti contrasta, perfino l'infame sfugge al più grande. Che posso decidere, ormai? Ho addosso - è lampante - rancore divino. Sono in astio all'armata. Troia, questi luoghi mi sono nemici. Che faccio, rientro valicando l'Egeo, tradisco la squadra ancorata, mi sottraggo agli Atridi? Con che faccia, in che luce compaio a mio padre, a Telamone? Mi frugherà, con gli occhi. Non reggerà alla mia nudità che gli brilla davanti, senza fiore di preda. Lui lo seppe far suo, quel fiore, fregio enorme di fama. No, è un agire assurdo. O corro alle torri di Troia, scateno duelli, uomo contro uomo, compio un gesto grandioso e finisco cadendo sul campo? No, darei allegria agli Atridi, lo sento. Assurdo. Devo sforzarmi di trovare un passo, degno, per far luce al padre anziano: che io vengo da lui, e non è senza fegato, no, questa mia tempra. Non è bella l'ansia d'esaurire la vita, se c'è solo vicenda ostinata di mali. Cadenza di giorni. Accellera e proroga insieme la fine. Può esserci gioia in tutto ciò? Non darei peso all'uomo che si crogiola nell'illusione vuota. Chiara vita. O chiaramente morire. È legge per chi ha sangue eletto. Ora sai la mia logica, a fondo.

CORO

Aiace, nessuno può dire ipocrita il tuo ragionare. Nasce da te, dal tuo io. Ma devi piegarti. Lascia che chi ti è vicino domi il tuo impulso. Snoda la tua fissazione.

TECMESSA

Padrone, mio Aiace. Non esiste miseria peggiore nel mondo del destino che stringe. Il mio ceppo è da libero padre: solido come nessuno per grandezza di mezzi, tra i Frigi. Eccomi schiava. Fu per scelta divina, protagonista il tuo braccio. Proprio per questo da quella notte, allacciati nel letto, io amo il tuo mondo. Ti scongiuro. Su Zeus della Casa, sulle notti d'amore, sul nostro legame, non accettare ch'io soffra, infangata da quelli che odii, vittima offerta a chiunque di loro. Pensa a questo: con la tua scomparsa - finendo tu, io sono sola - quel giorno stesso mi ghermiranno i Greci, a forza. Me, col piccolo tuo. Comincerà la schiavitù. Ci sarà qualcuno, un padrone, che mi dirà sarcasmi brutali. Squarcerà, con la lingua: «Ecco lì, la donna da letto, quella d'Aiace, il campione, il fiore guerriero. Che crollo: tanto invidiata, ora che vita da serva!» Lo diranno, vedrai. Per me, sarà una frustata del fato. Per te, per i tuoi saranno una macchia queste voci offensive. E tuo padre. Abbi pudore, non disfarti di lui. Lagrima, è vecchio. Anche per tua madre devi avere pudore. Ha addosso patrimonio di anni. Quante volte implora gli dèi che tu rimpatri salvo! Pietà, principe, per il tuo figlio: potrebbe mancargli il calore nei suoi primi anni. Lascialo, e sarà per lui pesante trafila di patrigni estranei. Vedi, lo voteresti a una miseria estrema, con la tua morte, e me con lui. Non ho più prospettive: mi resti tu. Tu hai cancellato il mio paese col ferro. Diversa fatalità m'ha predato la madre ed il padre: morti ospiti, giù nell'Abisso. Sei tu la mia terra, il tesoro. Che avrò se mi manchi? Il mio futuro è in te, tutto intero. Prova a considerare anche me. È giusto, fa parte dell'uomo ricordare i cari momenti, se mai ne ha provati. Affetto è figlio d'affetto. Chi fa dileguare il ricordo d'un beneficio avuto, non merita stima di persona eletta.

CORO

Aiace, se tu ti commuovessi, dentro, come anch'io mi sento: accoglieresti il suo parlare.

AIACE

Potrà anche toccarle un elogio, da me: basta che trovi la forza d'eseguire fino in fondo un comando.

TECMESSA

Sì, Aiace. Qualunque cosa. Sarò pronta.

AIACE

Bene. Fa' venire mio figlio. Voglio vederlo.

TECMESSA

L'ho messo al riparo, sai, nell'incubo...

AIACE

Durante la crisi? Questo vuoi farmi capire?

TECMESSA

...d'una disgrazia, che restasse travolto, ucciso.

AIACE

Degno finale della mia maledizione.

TECMESSA

Ma lo protessi io, l'allontanai dal rischio.

AIACE

Apprezzo ciò che hai fatto. Hai già previsto tutto.

TECMESSA

Lo stato è questo. Dimmi, che posso fare d'altro?

AIACE

Fa' che m'appaia, innanzi a me, e che gli parli.

TECMESSA

È qui fuori. Al sicuro. C'è chi gli sta intorno.

AIACE

Ritarda, non è ancora qui. Perché?

TECMESSA

Piccolo, tuo padre ti vuole.


(Rivolta al servo)

Custode che lo reggi per mano, accompagnalo qui.

AIACE

Sente, si sbriga, o trascura il comando?

TECMESSA

Qui, s'avvicina. Ecco il servo col bimbo.


Appaiono il custode ed Eurisace.

AIACE

Prendilo, su, dallo a me: non avrà brividi, sai. Occhi chiari su questa pozza calda mortale, se è mio, se è sincera la vena paterna. Ah bisogna imbrigliarlo subito il piccolo, con le regole rudi del padre. Che si ricalchi su me la sua tempra. Figlio, deve toccarti successo migliore del padre. Il resto identico. Non saresti da poco. Pure, già ora ho motivo d'invidia per te: non hai sentimento della mia miseria. Non possedere un io che pensa; ecco l'età più cara! Finché non sperimenti godere e soffrire. Ma toccherai quell'istante, e allora sarà tuo assoluto dovere chiarire, in mezzo a chi odii, da che padre, che tempra è la tua. Per ora, assapora le brezze sottili, palpita, vibra nel cuore bambino, conforto a tua madre, che è qui. Non uno dei Greci - è sicuro - potrà calpestarti con perfide offese, anche se io mancherò: che scolta ti lascio, di ronda davanti alla soglia! Teucro, lui! Farà tutto, per te, senza esitare, anche se oggi s'aggira lontano, sempre a predare nemici.


(Rivolto al Coro)

A voi compagni, mio equipaggio m armi! Tutti insieme vi ordino, vi prego, trasmettete a quell'altro lontano il comando: deve prendersi il figlio, qui, e farlo vedere a Telamone, laggiù nella casa, e alla madre, a Eribea, capite? Deve sfamare la loro vecchiaia fino alla fine, finché caleranno nel baratro, dal dio dell'abisso. Per le mie armi non ci sarà concorso. Niente giudici di gara, né quell'altro, che fu la mia morte.


(Porgendo a Eurisace lo scudo)

Questo, figlio, è per te. C'è dentro il tuo nome, Eurisace, Vastoscudo. Reggilo, guidalo con la cinghia cucita robusta. Ha sette strati, senza crepe, lo scudo! Le altre armi restino mie, con me sottoterra.


(A Tecmessa)

Svelta, più svelta, prenditi il figlio. Serra forte la tenda. Niente lagrime, gemiti sordi lì sulla soglia. Esagera sempre col pianto, la donna. Su, sbarra la porta. Il medico bravo non mugola lagne, se urge amputare la piaga.

CORO

Tremo, a sentire il tuo scatto ostinato. M'inquieta la tua lingua temprata.

TECMESSA

Aiace, signore, che hai deciso in te?

AIACE

Non frugarmi, non farmi processi. Limitarsi è una dote.

TECMESSA

Mi sento morire! Su tuo figlio, sugli dèi vengo a dirti: non lasciarci così!

AIACE

Esageri, ora. Gli dèi. A quelli non devo più nulla. Dovresti saperlo.

TECMESSA

Zitto. Non maledire.

AIACE

A chi è docile parla.

TECMESSA

E tu, non vuoi sentire?

AIACE

Chiacchieri troppo.

TECMESSA

Sono smarrita, Aiace.

AIACE

Sprangate, che aspettate?

TECMESSA

Dio mio. Sta' quieto!

AIACE

Deliri, se ora sogni di agire su me coi tuoi modi materni.


Aiace, con Tecmessa e il bimbo, scompare nella tenda.

CORO

str.

Salamina superba tu posi

tra folate salmastre beata:

spicchi agli occhi del mondo.

Io no. Mi strema il mio scorrere d'anni

da quando - catena infinita di notti,

di mesi - mi radico ai pascoli verdi

dell'Ida. Mi sfibra, l'attesa.

Trepido, fisso terrore: piombare

nell'ostico, torbido Abisso.

ant.

Ora Aiace. Caso disperato, pronto

a darmi il colpo di grazia.

Ospita sovrumana ossessione.

Tu, isola mia, lo lanciasti anni fa

campione nel magico folle momento

del duello. Adesso, la mente

è un deserto vagare. Si disperano, i suoi!

L'eroismo, le azioni sublimi sprofondano

nella freddezza. Freddi gli Atridi, e ciechi.

str.

E lei, che spartisce la vita

con gli stanchi giorni

nell'età esangue, la madre

quando udrà della crisi che uccide la mente

ritornello ululato

getterà - non note d'usignolo desolato -

ma stridula voce, tripudio sonoro

di morte. Schianto

di colpi sui seni

strazio di capelli grigi.

ant.

Non ha sbocco la crisi. Il baratro cavo

deve scegliere, chi per sangue paterno

fu eroe tra i Greci induriti.

Si frantuma la base

della tempra nativa.

Delira isolato.

Padre esausto, che perdizione atroce

sta in agguato - del figlio - per rivelarsi!

No, nessuno di quelli di Eaco

l'ebbe nel sangue. Solo lui!


Riappare Aiace. Impugna la spada sporca di sangue. Lo segue Tecmessa.

AIACE

Il tempo, ritmo cosmico, immenso, germina mondi latenti. Un bagliore, e di nuovo li affonda nel nulla. No, nulla è escluso. Neppure il giuramento sovrumano si salva, o una fibra morale che pare d'acciaio. Io lo stesso. Con la mia disumana saldezza d'un tempo, come un ferro addolcito dal bagno, ecco ho perso il mio nerbo, a sentirmi parlare. Colpa di questa mia donna. Mi commuove lasciarla vedova in mezzo a chi odio, col figlio privo del padre! Ora scendo all'acqua pulita, alla radura, giù, della riva. Voglio sciacquarmi, scrostarmi lo sporco che ho addosso. Per sfuggire alla dea, alla sua cappa di rabbia. Ci sarà uno spiazzo inviolato. Mi metterò là. Voglio affondare il ferro che ho in mano, la lama più odiata. Una fossa, per terra. Nessuno deve vederla, laggiù. Buio d'Inferno ne faccia tesoro, giù nel profondo. Perché io, da quando l'impugno - Ettore, lui me la diede, il nemico - non ho avuto che gelo tra i Greci. Non mente il proverbio: «Se viene dall'odio, favore sfavore diventa. Non frutta.» Bene. Per il tempo che manca, sapremo inchinarci agli dèi, dare culto agli Atridi. Comandano loro: pieghiamo la schiena. Non dovrei? Anche le forze del cosmo, sovrumane, s'inchinano ai reciproci gradi. Inverni lastricati di neve s'arrendono al rigoglio d'estate. Rotola, sfuma la notte, monotona sfera, al galoppo abbagliante, quando il giorno s'incendia di luce. Maestrali tremendi diventano brezza, e cullano il lamento del mare. E Sonno, il gran lottatore: blocca, poi scioglie, non è fissa la presa. E la nostra ragione, può ignorare la norma? Ed io - ah, l'ho appena compreso: odiando giungiamo ai confini dell'odio, coscienti che un giorno può farsi rapporto d'amore; a chi amo, vorrò fare del bene, appoggiarlo, ma sapendo che l'amore non dura. Per troppi, nel mondo, l'intimità con un altro è porto insidioso. Si prepara un'ottima fine, per tutto. Tu rientra, donna. Implora gli dèi, che maturino, a fondo, le cose che il cuore sospira. O miei uomini, unitevi a lei, rispettate il comando. Ecco il messaggio per Teucro, se arriva: mostrare cura per noi, amicizia per voi. Bene. Io vado laggiù, dov'è la mia strada. Voi sapete che fare. Potreste sentire ben presto - anche se tutto mi è contro - che ormai sono in salvo, per sempre.


Aiace si allontana. Tecmessa rientra nella tenda.

CORO

str.

Spasimo, m'inebrio! Giubilo, mi libro!

Oh, oh, o Pan, o Pan!

Pan, Pan scivola sui flutti

brillaci innanzi, lascia l'incudine di gelo

del roccioso massiccio cillenio!

Potente! Creatore di danze celesti,

mischiati, facci vibrare

su ritmi di Misia

e Cnosso: mi danzano dentro!

Il mio solo pensiero è la danza.

Varca, Apollo, lo specchio Icario

splendi visibile, Delio

stammi vicino benigno, per sempre.

ant.

M'ha deterso dagli occhi l'incubo truce

Ares! Oh, sì! Oh, sì!

Ecco, bagliore di sole, di mattina allegra

torna finalmente a fasciare gli scafi

scorrevoli, pieni di scatto:

è acqua passata la pena d'Aiace!

Ecco, compie gli obblighi santi

con offerta totale, con dedizione eroica.

La forza del tempo soffoca tutto.

L'inesprimibile non c'è. L'affermo

da quando Aiace

all'improvviso è un altro:

senza violenze, né risse tremende coi capi.


Irrompe il Corriere inviato da Teucro.

CORRIERE

Soldati, amici, voglio informarvi. L'essenziale è questo: Teucro ritorna. Poco fa, dalle rocce di Misia. S'era fatto là in mezzo, alla tenda regale, ed è preso d'assalto dai Greci, una folla compatta. In lontananza riconoscono il passo fanno cerchio, un assedio senza spiragli. Rimbalzano insulti, non uno risparmia il suo colpo. Fratello del pazzo, di quello che mina l'armata: gli rinfacciano questo. Nulla da fare, cadrà stritolato, sepolto dai sassi. Erano al limite: già nella destra scattavano lame, dai foderi. Spinta al massimo, la tensione s'allenta. Sono pacieri, ragionando, gli anziani. Anzi, Aiace dov'è? Per spiegargli tutto. È bene chiarire ogni dettaglio, ai superiori.

CORO

Là sotto non c'è. È per strada, da poco. È cambiato: altri pensieri, al carro d'un carattere nuovo.

CORRIERE

Aaah! Ah sì, spedizione tardiva, questa cui m'hann o spedito. O il ritardo è chiaramente mio.

CORO

Dov'è l'insuccesso della tua premura?

CORRIERE

Teucro proibiva che l'eroe si mostrasse fuori, in pubblico, prima che arrivasse lui, in persona.

CORO

Non c'è più. Ormai punta a progetti fruttuosi. Cerca un'intesa con gli dèi, per le sue sfuriate.

CORRIERE

E impasto d'illusione enorme il tuo discorso, se Calcante è profeta cosciente.

CORO

In cosa? Sapresti di questa vicenda...?

CORRIERE

Fino a un certo punto, ne so. Ero lì anch'io. C'era seduta. Cerchio di capi. S'alzó Calcante, isolato, via dagli Atridi. Pose la destra sulla mano a Teucro. Un segno di calore. Batteva su questo: imprigionare Aiace in tenda, con qualunque mezzo, per l'intero giorno - questo che tuttora scintilla - non dargli libertà d'uscire, se aveva voglia di ritrovarlo incolume: solo per oggi lo sferzerà la rabbia della radiosa Atena. Così dichiarava. Squilibrati, creature senza futuro, precipitano sotto duri insuccessi venuti da dio. È il caso di quello - germoglio di fibra umana - che presume oltre l'umano. Predicava così l'indovino. Guarda lui. Affiorò subito la sua demenza, proprio quando si precipitava alla guerra, e il padre gli dava buone parole. Gli ripeteva: «Ragazzo, ama il trionfo guerriero, ma amalo all'ombra di dio!» Ribatté allucinato, con arroganza enorme: «Padre, anche uno zero arraffa il premio guerriero, se dio l'affianca. Io no. Faccio a meno di quelli. Credo in me stesso. Farò mio il primato che voglio.» A che punto! Che gonfio sparlare! Un altro momento, in faccia ad Atena radiosa - lei l'eccitava, eloquente, a puntare al nemico il braccio omicida - esclamò cose assurde, bestiali: «Potente, piazzati a fianco di altri. Non avrà crepe la mia resistenza!» Fu proprio la frase che accentrò su di lui la rabbia scontrosa di Atena. Presunzione immane! Basta che superi oggi, incolume. Potremo forse sottrarlo, se un dio ci assiste. Disse questo il profeta. Teucro subito, dal seggio, mi spedisce da voi, latore di questi comandi, che siano in vigili mani. Se abbiamo già fallito in questo l'eroe non c'è più, è perduto. Se Calcante è veridico.

CORO

Dolorosa Tecmessa, la tua parte è patire! Presentati, guarda che annuncio ci reca: rasoiata nel vivo! Amarezza totale.

TECMESSA

(Riappare dalla tenda con in braccio il bambino)

Soffro già tanto! Sedevo là dentro - pausa breve nei miei cronici mali - e voi mi scuotete, perché?

CORO

Devi sentire quest'uomo. Viene a dirci d'Aiace: uno stato che per me è rovello.

TECMESSA

Aaah, messaggero, che dici? È finita?

CORRIERE

Non so la tua fine qual è. Per Aiace, se è oltre la soglia, non so... perdo speranza.

TECMESSA

Sì, è fuori. Sono in travaglio, non so cosa dire.

CORRIERE

Teucro comanda di serrarlo dentro, al coperto, non lasciarlo andare, solo.

TECMESSA

Dov'è Teucro? Su che basa il comando?

CORRIERE

È giunto ora. Sospetta che questa evasione d'Aiace porti dritta alla morte.

TECMESSA

Aaah, che disgrazia! Da che bocca l'ha appreso?

CORRIERE

Da quello di Téstore, il profeta. Questo giorno che scorre è carico di morte - o di vita - per lui.

TECMESSA

Ah, amici. Fate scudo, mi stritola il fato. Presto, presto: voi fate che Teucro sia subito qui; voi seguite la curva del mare, chi al sole che sorge, chi verso il tramonto, sui passi dell'evasione sinistra. Ora comprendo: lui non ha fatto che illudermi. Mi ha espulsa dalla sua dolcezza.


(A Eurisace)

Creatura mia, che decido? Qui immota no. Devo correre, fin che resisto. In marcia, via la pigrizia. L'ora d'agire culmina, se vogliamo salvo un uomo in corsa per la morte.

CORO

Eccomi, sono già in marcia. Capirai che non è pura intenzione. Seguirà scatto d'azione e di passi.


Tecmessa parte. Il Coro si divide in due semicori che dileguano dalle ascite
di destra e di sinistra. La scena muta. Spiaggia deserta. Arbusti.
Aiace, assorto, contempla la spada conficcata in terra con la punta in alto.


AIACE

Il mio boia. Stabile, a piombo. Lavora meglio il filo - se fosse calma l'ora ... da ragionarci sopra. Omaggio d'eroe, di Ettore: il socio d'armi più amaro, ostico agli occhi. Ora fa blocco con la zolla troiana, suolo di guerra: caldo di cote, mola golosa di ferro. L'ho affondato io. Ho curato i dettagli. Ora mostri il suo affetto a quest'uomo: e sia morte veloce! La nostra parte è fatta. Ora, Zeus, tocca a te sostenermi. Tu per primo: è scontato. T'imploro, e non grande è la fortuna che voglio. Spedisci uno che avvisi, fallo per me, latore del brutto messaggio a Teucro: dev'essere il primo a compormi, dopo lo schianto sul ferro rosso grondante. Non mi adocchi, furtivo, uno che odio, non mi scagli - carcassa riversa - a cani e rapaci. Per questo mi rivolgo a te, Zeus. Ed anche esclamo: «Ermes che scorti all'abisso, cullami tu!» col petto - scatto fulmineo, senza sussulti - spaccato dalla punta arrotata. A darmi manforte, chiamo anche le eterne, le vergini, scrutatrici ostinate della vicenda umana, le sante Erinni dalla falcata tesa! Sappiano come mi annienta - ne soffro! - la mano dei figli di Atreo. Li predino insieme: infamia su infami che incarnano morte. Ora vedono me cadere suicida: suicidio riflesso li sterminerà, per mezzo dei cari, dei più stretti di sangue. Erinni della vendetta, sferratevi svelte, sentite il sapore della carne greca, senza risparmio, senza eccezione! Sole, che scali al galoppo le altezze celesti. Sole se avvisti la terra dei miei, frena le briglie di luce, di' quanto mi tocca, la mia dannazione, al mio vecchio, a lei che mi crebbe, alla madre! Piangerà! Dal dolore, lo sento, quando udrà la notizia, spargerà nel paese balbettio lamentoso. Basta. Non serve quest'insulsa nenia. Bisogna cominciare, e presto. O Morte, mia Morte, fissa me, adesso, fatti vicina; non importa se ti starò accanto in eterno, di là, e potrò sempre parlarti. A te mi volgo, lampo che inondi di luce, Sole che cavalchi nell'aria! È la fine, non esiste futuro. Chiaro cielo! Terra di casa mia, Salamina adorata, spiazzo del mio focolare! Bella Atene, sangue fraterno. E voi, sorgenti, correnti - vi vedo - praterie della terra troiana, anche a voi, una parola: m'avete dato da vivere, addio! Questo è l'ultimo suono dalla bocca di Aiace. È per voi. Da ora, parlerò nell'abisso, alla gente laggiù.


L'eroe si getta sulla spada. Gli arbusti celano la sua agonia.


I due semicori rientrano da parti opposte.

SEMICORI

I

Stracciato. Mi straccia lo strazio.

Strada. Strada su strada:

quanta ne ho fatta?

Ogni angolo è muto. Nessuna notizia.

Attenzione

odo come un rumore!

II

Noi della ciurma, amici della nave.

I

Novità?

II

Passo passo la rada occidentale.

I

Risultato?

II

Lavoro enorme. Di concreto nulla.

I.

Neanche laggiù, da dove fionda il sole, non c'è schiarita per l'eroe, nulla.


Il Coro si riunisce.

CORO

str.

C'è tra i pescatori - gente innamorata

della fatica, degli agguati insonni -

tra le Ninfe delle vette olimpie, delle acque

scorrenti al Bosforo

chi sveli se gli lampeggi innanzi

sbandato, quello spirito duro?

Amaro andare, il mio

alla deriva tra perenni pene,

senza incrociarlo sul filo del vento

l'eroe spossato. Buio totale!


Echeggia da dietro la cortina di arbusti un grido.

TECMESSA

Aaah, disgrazia!

CORO

Di chi il grido che sorge dal fitto fogliame?

TECMESSA

Di me disgraziata.


Tecmessa appare.

CORO

È lei, la sposa infelice, la preda, Tecmessa. Impasto stravolto di pianto.

TECMESSA

Sono morta, spezzata. Un rudere, amici.

CORO

Che capita ancora?

TECMESSA

Eccolo, Aiace, riverso. Caldo, nel sangue. Carne che fascia la lama, l'occulta.

CORO

Ah, come rimpatrio? Principe, hai dato sterminio anche al tuo equipaggio. O sposa dolente!

TECMESSA

Che fine ha avuto! Ora ulula «ahi»!

CORO

Ostico fato. Da che mano l'ottenne?

TECMESSA

Dalla sua. Suicida. Si vede. È teste la lama confitta, attrasse lo schianto.

CORO

Maledizione! Solitario assassinio!

Non han fatto quadrato, gli amici!

E io, ottuso, incosciente;

che leggerezza. Dimmi dove,

dov'è steso il brado

Aiace, dall'ostico nome?

TECMESSA

Via gli occhi, non devi! Voglio farlo sparire, sepolto nel cavo di questo mio velo. Nessuno, neppure dei suoi, può resistere a vederlo così! Bolle, s'annera per le narici il sangue, dallo scarlatto squarcio. Colpo suicida . Disgrazia! Che decido? Chi tra i tuoi potrà ricomporti? Teucro, dove sarà? Il momento è maturo, se arriva. Verrebbe a disporre quanto va fatto, per questa salma del fratello suo. Che brutta parte, Aiace! Tu, proprio tu, in questo stato! Hai diritto al compianto di chi t'odia, perfino! È destino!

CORO

ant.

Hai sofferto. Ma era fatale

- o mente quadrata - che un tempo

compissi la quota d'enorme patire.

Quante notti, quanti giorni lucenti

passasti a ringhiare sospiri rabbiosi

contro quelli d'Atreo

spasimando la morte?

Tremenda radice di male fu quando

per braccia d'eroi si fondò

quella gara. Premio: le armi.

TECMESSA

Aaah, mi dispero!

CORO

Capisco. Trafigge fondo lo strazio puro.

TECMESSA

Aaah, mi dispero!

CORO

Sposa, raddoppia il singhiozzo. Ti credo.

È il tuo uomo. Che uomo! E che perdita, tu!

TECMESSA

Tu a freddo l'affermi. Io spasimo dentro.

CORO

Capisco.

TECMESSA

Figlio, che collare ci aspetta

da servi. Che sgherri, su noi!

CORO

Profetasti col grido

- tacerli, dovevi - i decreti dei due,

degli Atridi sordi al dolore.

Dio, facci scudo!

TECMESSA

Non finiva così, senza mano di dio.

CORO

Gli dèi. Ci schiantano. Carico aspro di mali.

TECMESSA

È lei, la divina, Pallade enorme.

Spunta da lei la disgrazia. Per Odisseo, un favore.

CORO

Dentro, è occhiata dal buio. Tripudia

il campione capace di tutto.

Ride. Risate, sarcasmi

sulla crisi che strazia.

Ridono i due, Atridi reali

sentendo la storia.

TECMESSA

E ridano, facciano festa su questo mio povero uomo. Vivo, non spasimavano certo per lui. Può darsi che lo sospirino morto. Mancherà, la sua lancia! Gli spiriti ottusi non sanno se hanno un tesoro nel pugno: lo sprecano, prima. Ora e morto. Sia come sia: strazio per me, per loro allegria. Certo, per lui fu conforto: di una cosa era avido, ora ce l'ha, la morte, il suo sogno. Che senso ha il loro sarcasmo? Va agli dèi la sua morte. Non li riguarda. Continui pure Odisseo col suo attacco assurdo. Per quella gente non c'è più un Aiace. A me, sparendo, lascia eredità di pianto.


Tecmessa si apparta nella tenda. Da fuori scena, lontano, si odono voci di dolore. È Teucro che torna.

TEUCRO

Aaah!

CORO

Zitto. Mi pare d'udire Teucro che grida. Canto sonoro di morte. Rispecchia quest'ora maligna.

TEUCRO

(Irrompendo in scena)

O Aiace mio, o sangue mio! Che tracollo. Sarà solida, dunque, la voce che corre?

CORO

È scomparso l'eroe, Teucro, convinciti.

TEUCRO

Ah, cappa di piombo, fatale!

CORO

È un momento...

TEUCRO

Ah, quanto soffrire!

CORO

....che richiede gemiti rochi.

TEUCRO

Che strazio. Fulmina!

CORO

Purtroppo, Teucro.

TEUCRO

Ah, mi dispero. E suo figlio? Dove posso trovarlo, dove in questo paese?

CORO

Abbandonato laggiù, alla tenda.

TEUCRO

E ancora non corri? Portalo qui. Vuoi che uno, per odio, lo ghermisca, leoncino con la madre assente? Via, collabora, esegui. Sui morti, impotenti, tutti fanno sarcasmi. E godono.

CORO

Teucro, Aiace ordinava - era ancora tra noi - che tu t'occupassi del figlio, vigile come sei ora.

TEUCRO

Ah, che visione. Lacera, dentro, più d'ogni altra che ho avuto negli occhi! E che viaggio, per giungere qui! Spasimi dentro le ossa. Viaggio atroce, per me, o fratello, da quando sentii - seguivo, guardingo, la pista - che ormai eri segnato. Trapelò nelle schiere fulminea la voce - diffusione divina, diresti - che te n'eri già andato, tra i morti. Finché n'ero fuori, udendo celavo lo strazio cocente. Ma ora che vedo mi struggo. Aaah! Va', alzagli il velo. Voglio colmare lo sguardo col male. Ah, cosa s'affaccia! Riluttano, gli occhi! Acre eroismo! Ti spegni, ma che germi di pena mi lasci! Ah, sì. Non c'è più meta, non c'è più paese per me. E come potrei, io che non ti stavo al fianco nella tua agonia? Telamone, il padre, chissà se m'accoglie sereno, con la faccia allegra, se io ritorno e manchi tu. Già lo vedo. Assurdo. Quello non si schiarisce mai, neanche se torni in trionfo. Caverà fuori tutto. Quante cattiverie dirà, che sono bastardo, figlio d'una ruberia di guerra, che t'ho tradito per bassezza, perché non sono un uomo, Aiace, io che ti sento mio! O no, per calcolo losco, per avere io la tua parte di terra e di palazzo, se morivi tu. Dirà questo il vecchio rabbioso. Peggiora, con gli anni, ribolle per nulla, arriva alla rissa. Finirò bandito, scaraventato via dalla terra. Da libero, schiavo. Chiarissimo. Lui l'avrà proclamato. Questo a casa. Qui a Troia mille mi odiano. Il favore manca. Bella eredità, per me, dalla tua morte. Mi dispero. Che scelta ho? Come ti schiodo da questa zanna aspra, dai riflessi metallici, dal giustiziere, fratello, sotto cui spirasti? Hai visto? Passo passo, dall'al di là, Ettore t'ha sgretolato, minato. Destino! Dio mio. Contemplate il caso di questa coppia di esseri umani. Prima Ettore: col cinturone, sì, col regalo d'Aiace, fu incatenato alla ringhiera del carro al galoppo, carne sfrangiata, agonizzante. Poi questo:


(Indicando la spada)

ecco il dono avuto dall'altro, e da esso è finito distrutto. Schianto suicida. Non fu Vendetta a martellare la lama e l'Aldilà - fabbro brutale - la cinta? Io vorrei dire questo: qualunque caso, come ora il nostro, è un ingranaggio mosso da dio. L'uomo subisce. Chi non fa propria quest'idea, coltivi il suo sistema: io ho il mio.

CORO

Fermati con le parole. Concentrati, come calarlo nella fossa, Aiace, e come rispondere all'istante. Là, ecco, vedo un individuo odioso: forse è qui per divertirsi al nostro strazio. Un delinquente tale.

TEUCRO

Viene dal campo? Chi ti balena innanzi?

CORO

Menelao, a cui dobbiamo la traversata in armi. Te. Lo vedo. Senza fatica ormai si riconosce. È lui.


Entra Menelao, con a fianco un araldo militare.

MENELAO

Attento, proclamo questo: non alzare la salma, non porre mano. Lascialo come sta.

TEUCRO

Che spreco di parole. Che intento hai?

MENELAO

Motivi personali. E motivi del comandante in capo.

TEUCRO

Avrai una ragione. Avanzala, dilla.

MENELAO

Questa. Il morto, noi speravamo, salpando, d'averlo combattente fidato al capo greco, uno dei nostri. S'è smascherato, dando saggio di sé. Covava rancore, più del nemico! Per questo, fece piani di sterminio estremo e nelle tenebre aggredì l'armata, per cancellarla. Se un dio non gli smorzava il colpo, toccava a noi la fine che ora - per destino - è sua, saremmo noi disfatti, segnati da una morte oscena. E lui vivrebbe! Ma un dio sfalsò la sua barbarie, e fu schianto sul gregge, sul bestiame. Ecco i motivi: e non c'è campione al mondo capace, questo morto, di calarlo in terra. Rotolerà, spezzato, sulla sabbia d'alghe: semplice carne, per gli uccelli di scoglio. Non reagire, non scatenare resistenza pazza. Se non riuscimmo a dominarlo vivo, l'avremo in pugno totalmente, morto. Anche se tu non cedi: la forza c'è, per raddrizzarti. Lui pure non cedeva mai. Non c'era segno d'attenzione in lui, se io parlavo. Ed è criminale che uno qualunque, uno dei tanti, decida di abolire l'obbedienza ai sommi. No, no: va alla deriva il sistema di leggi, se Soggezione, dentro lo stato, non si radica salda. Non esiste armata dalla lucida guida, se manca bastione di Spavento e Umiltà. E un uomo - pure se ha muscoli immensi - s'aspetti il tracollo: può minarlo una crepa sottile. Soggezione e Pudore: se uno li ha dentro intrecciati, può essere incolume, sempre. Sta' certo. Ma dove squilibrio è di casa, dove ognuno decide a capriccio, lo stato veleggia, ma dopo, col tempo, sprofonda nel buio. Per me, Soggezione è la base: regolata, caso per caso. Niente illusioni: le ore destinate al godere costano, a saldo, ore di pena. Altalenare perenne. Ieri quest'uomo sprigionava squilibrio: ora io mi sento in trionfo. Perciò ti proclamo: non sotterrarlo. Se lo sotterri, rischi anche tu di piombare sotterra.

CORO

Idee sane, Menelao, veri pilastri. Quindi, adesso, non abusare tu, davanti a morte..

TEUCRO

Soldati, ora capisco la stupidità di chi non conta nulla, dell'uomo anonimo: già sbaglia tanto, con stupidi discorsi, chi passa per avere un nome, un sangue alto! Forza, ragiona, torna alla radice. Così tu parli d'averlo trascinato, tu fin qua, sostegno al campo greco? Che quando s'imbarcò non era padrone di se stesso, lui? Tu capo suo? In che? Su che, automaticamente, t'impossessi delle forze sue, da lui guidate qui, dalla sua terra? Sei qui principe di Sparta, non padrone nostro. Non hai basi legali al tuo comando, perché tu metta in riga lui, più che lui te. Capo in seconda tu approdasti qua: non assoluto capo, da inquadrare Aiace. Sei duce? Conduci. Ma i tuoi. Supplizia loro col tuo sonante tono.


(Indica Aiace)

Guardalo bene. Vieta pure, tu con l'altro capo. Io lo deporrò sotterra, è sacrosanto. Sgólati, io non tremo. Lui non s'è messo in marcia per la donna tua, come uno che s'ammazza di stenti. Suo motivo era il pegno giurato, cui era fedele. Tu no: per lui, un niente niente valeva. Perciò prenditi scorta più fitta, prenditi lui, il generale. Fa' pure chiasso. Non trasalirò nemmeno, finché sei tale e quale.

CORO

Non condivido questo tuo parlare, in tempo di morte. Lingua scabra azzanna, anche se più che equa.

MENELAO

Quello dell'arco non abbassa il tono, pare.

TEUCRO

Esperta abilità è la mia, non fatica bruta.

MENELAO

Come ti gonfieresti con lo scudo al braccio!

TEUCRO

Corázzati. Ti tengo testa nudo.

MENELAO

La lingua t'infervora il bollore. Fai spavento!

TEUCRO

Aver ragione legittima l'orgoglio.

MENELAO

Ragione? Che l'abbia vinta lui, il mio omicida?

TEUCRO

Omicida? Straordinario. Sei un morto vivo.

MENELAO

È per un dio se vivo. Per lui, ero già andato.

TEUCRO

Non infangare dio, se devi a dio la tua incolumità.

MENELAO

Io schernirei le norme dei Potenti?

TEUCRO

Ti presenti, vieti la sepoltura ai morti.

MENELAO

Che hanno fatto guerra a me: sarebbe bello?

TEUCRO

Aiace? Guerra? In armi contro te, ma quando?

MENELAO

Astio per astio: l'avrai compreso.

TEUCRO

Gli stornasti voti sottobanco. Trapelò ch'eri tu..

MENELAO

Nella giuria fu la sua sconfitta. Non in me.

TEUCRO

Mascheri bene la tua bassezza ladra.

MENELAO

Insulto che porta dolore, a qualcuno.

TEUCRO

Non più di quanto infliggeremo, credo.

MENELAO

Riassumo. Costui non va sotterra.

TEUCRO

Ti faccio eco: costui sarà sotterra.

MENELAO

M'è già successo di vedere un uomo, un leone, a sentirlo, pungere la ciurma perché s'andasse con il mare in furia. Una sillaba non la cavavi più da lui, avvolto dalla furia bruta. Spariva nel mantello. Lasciava che chiunque a bordo gli camminasse sopra. Così sei tu, con le raffiche che t'escono di bocca. Può scatenarsi da una nebbia lieve una ventata tesa, e spazza via questo tuo chiasso enorme.

TEUCRO

Anch'io l'ho visto, un uomo. Pieno di niente. Calpestava gente avvolta dal dolore. Finché l'adocchia un tale. Pare me. Stessa tempra nervosa. Press'a poco gli dice: «Ehi, tu. Non fare vigliaccate ai morti. Se lo fai, ti penti. Sei avvertito.» Parole chiare, a viso aperto, con quello straccio d'uomo. Lo vedo, in quest'istante. Se non mi sbaglio, sei precisamente tu. Non è un indovinello, no?

MENELAO

Parto. È smacco - se circola la voce - castigare parlando, se puoi schiacciare agendo.

TEUCRO

Sparisci. Anche a me è scorno grave sentire un pazzo che racconta fole.


Menelao si allontana.

CORO

Lotteranno le parti. Chissà...

Devi correre, Teucro. Su

scova ovunque una fossa per lui:

sarà tomba muscosa, perenne.

Eroica memoria nel mondo.


Entrano silenziosi Tecmessa e il bambino.

TEUCRO

Eccoli. Come l'ora chiede, appaiono qui il figlio dell'eroe e la sposa. Vestiranno il corpo, pronto per la fossa. Figlio, vieni vicino. Qualcuno l'accosti. Ora raccogliti, prega. Qua la mano, sul padre che ti fece vivo. Siedi. Abbandonati a lui. Stringi ciocche di capelli miei, di tua madre, ed infine dei tuoi: è possesso che fa ricco chi prega. Chiunque del campo volesse, brutale, strapparti dal morto, rotoli fuori confine, bandito, carne oscena oscenamente insepolta! Falciatura totale, dal ceppo, del sangue: come io adesso recido quest'anello di chiome.


(Si taglia una ciocca di capelli)

Unisciti a lui, piccolo. Veglia che nessuno ti svella dal morto. Chínati, sta' abbracciato.


(Al Coro)

Voi non fate le donne. Virilmente schieratevi intorno, fate da scudo, in attesa di me. M'occupo io della fossa, chiunque m'ostacoli.


(Teucro esce)

CORO

str.

Penso: c'è un termine? Quando

questa catena, vortice lento di anni

cesserà di vibrarmi ostinata

maledetti colpi, schianti di lame

su e giù per la Troade immensa

umiliante miseria di Greci?

ant.

L'avesse inghiottito lo Spazio

cosmico, il Baratro meta dell'uomo

chi scoperse alla Grecia la Guerra

nodo d'uomini, d'armi accanite.

Atavico ceppo di pene!

Demolì l'uomo, quell'uomo.

str.

Diademi fioriti. Fondi di coppe.

L'allegria che corre ed allaccia:

m'ha sottratto tutto quell'uomo,

i limpidi ritmi soavi

dei flauti, la placida festa

del sonno. Sia maledetto!

Cancellò l'amore!

Sì, l'amore!

Stagno inerte. La brina m'incrosta

macerando i capelli. M'avvisa:

«sei a Troia, singhiozza!»

ant.

Prima, mi faceva da torre

contro il panico buio, le lame nemiche

Aiace, l'eroe.

Ora va alla deriva. Appartiene

a Potenza sinistra. Potrò, dite,

potrò ritrovare il sorriso?

Fossi là, dove punta selvaggia

precipita in acqua, tra schiaffi di mare

all'ombra del Sunio, aereo pianoro!

«Salve», direi, a lei

alla sacra: ad Atene!


Rientra in scena Teucro seguito da Agamennone, con un araldo militare.

TEUCRO

Ho accelerato il passo, visto che il capo guerriero, Agamennone, a precipizio sarà qui tra noi. Arriva. Lingua del malaugurio: si scatenerà, vedrete.

AGAMENNONE

Tu, tu! Sei duro, mi dicono: sgangheri la bocca, ci attacchi allegramente, sparli, è spaventoso! Ehi, parlo con te, figlio della preda. Fossi cresciuto da una madre vera, di sangue buono, già vedo, che vertiginosa presunzione! Ringalluzzivi. Guarda come insorgi, ora che non sei nessuno, a difesa di chi esiste come puro nulla! Tu bestemmiavi che noi non siamo affatto i comandanti, in terra e in mare, dei Greci a Troia, e tantomeno i tuoi. Vociasti che Aiace s'imbarcava capo - è naturale - lui di se stesso. È vile, assurdo, lasciarlo dire a un inferiore! Arroganti schiamazzi. E per chi? Che razza d'uomo? Dove stette o andò senza ch'io fossi li, presente? Non hanno altri campioni i Greci, solo lui? Intossicò, parrebbe, quel nostro bando sull'armatura che fu d'Achille, se una nostra colpa - da qualunque lato - brillerà sempre, come Teucro dice; né a voi, neppure vinti, piacerà mai d'arrendervi a quanto piacque alla giuria, in maggioranza. Anzi, ci martellerete sempre, insultando, o trapanando furtivi. E siete voi i battuti. Indole tale non può essere base di nessuna legge, se degradiamo i vincitori di diritto, e ai primi posti promuoviamo gli altri. Un argine, ci vuole. Chi non scivola mai non è il colosso, con le spalle vaste: trionfano i cervelli, non c'è eccezione. Un bue dal dorso enorme - basta un frustino da nulla - marcia subito dritto, sul sentiero: ti ci vuole, una cura cosi. Passo, passo, lo vedo, ti cala addosso, se non acquisti barlume di coscienza. Il tuo campione non è più, è un'ombra: ti scaldi troppo, si sfoga la tua lingua, sconfini nella colpa. Saprai riequilibrarti? Guarda chi sei, di sangue. Vedi di convocare un altro, un cittadino, che interpreti davanti a noi i tuoi motivi. Finché ti esprimi tu, io non afferro. La tua parlata strana, è muta al mio sentire.

CORO

Vorrei vi ritornasse il sentimento, l'equilibrio, a entrambi! È la parola più utile che so.

TEUCRO

Ah si! Uno muore, e come sfuma stranamente, svelta, ogni grata memoria nel mondo! Tradimento flagrante, se quest'uomo, Aiace mio, non alimenta il tuo ricordo con uno straccio di parola: di te che tante volte penasti, per coprirlo col tuo stesso petto offerto al ferro. Tutte cose morte, briciole nel nulla.


(Ad Agamennone)

A te. Finora hai detto un mucchio di parole ottuse. Non t'è rimasto niente in testa di quando vi barricavate, in trappola, sulle soglie del nulla? Cedevate le armi, e apparve lui, liberatore solitario tra gli scoppi del fuoco che orlava i banchi delle vostre navi, con Ettore lì - un balzo, un volo sopra la trincea - che aggrediva gli scafi. Chi contrattaccò? Non l'ebbe lui lo scatto, lui che - parole tue - non avrebbe messo piede dove tu non c'eri? Dite voi: non fu doveroso quest'atto forte? E ancora, sempre da solo con Ettore a faccia a faccia. Andò al duello senza obbligo dall'alto. Per sorteggio! Che contrassegno mise in mezzo agli altri, un pugno di terriccio muffo, che si squaglia, o quello pronto a schizzar fuori primo, svelto ad affiorare dall'elmo guerriero? Guarda, l'autore di tante gesta. E al fianco, attivo, c'ero io, l'inferiore, quello venuto da una madre strana. Mi fai pena. Dove tieni la testa per sparlare tanto? Non sai che l'antenato, Pelope, padre del padre tuo, era un non Greco, un Frigio! Che Atreo, la tua radice, porse al fratello il più blasfemo piatto, pieno dei suoi propri nati? E tu? Tu spunti da una di Creta. Li colse il padre, lei e un intruso, e allora la calò - carne perduta - tra i taciturni pesci. Ma di che razza sei? E getti fango sulla mia semenza? Sono figlio, io, di Telamone: fiore guerriero, campione che ebbe nel letto mia madre, di sangue regale, nata da Laomedonte: premio eletto, un regalo dal figlio di Alcmena. Io sboccio eccelso da un'eccelsa coppia. Dovrei sfregiare chi ha il mio stesso sangue e che tu - in questo fondo di miseria - scacci brutalmente dalla fossa? E non avvampi a dirlo? Sta' attento, ora. Se spazzerete via costui, spazzerete via noi tre, al fianco suo, spossati, inerti. Stupenda morte, nella difesa estrema, limpida, aperta dell'eroe: meglio che per quella donna tua, del tuo fratello intendo. Ora pondera non il mio, ma il tuo vantaggio. Se mi colpisci, vagheggerai col tempo d'esser stato cedevole, con me, non così spietato.


Arriva Odisseo.

CORO

Principe Odisseo, arrivi giusto, se sei qui a risolvere, non a complicare.

ODISSEO

Che c'è soldati? Ho percepito da laggiù gli Atridi urlare sul corpo eroico.

AGAMENNONE

E come no? Odisseo, sovrano, quest'individuo ci bersaglia con parole sporche.

ODISSEO

Quali? Giustifico chi contrattacca con termini pesanti, se lo bersaglia infamia.

AGAMENNONE

Ha avuto ingiurie: è sua l'iniziativa.

ODISSEO

Che t'ha fatto da colpirti duro?

AGAMENNONE

Non lascerà senza fossa questo morto. Gli spetta, dice. E lui l'inumerà, schiacciando me.

ODISSEO

Con te, può uno dei tuoi parlare sincero, e poi restarti accanto, sulla stessa barca, come sempre?

AGAMENNONE

Parla: altrimenti avrei la mente guasta. Ti sento come il più vicino, in mezzo ai Greci.

ODISSEO

Odimi, allora. Sugli dèi, non essere inumano, non farne rifiuto non sepolto senza fossa, senza tomba. Non deve trascinarti la barbarie, fino ai limiti dell'odio, fino a strangolare la morale. Astio estremo correva anche tra lui e me,  da quando vinsi quel trofeo d'Achille. L'ammetto, era un rapporto d'odio, ma mi parrebbe rappresaglia infame non confessare ch'era lui il campione tra i campioni greci radunati a Troia. Eccetto Achille! Perciò non è legale se tu l'umili. Intaccheresti non il morto, ma le norme sante. Non è morale colpire un vero uomo, quando non sia più: neppure in caso d'odio.

AGAMENNONE

Con me ti scontri, per coprire lui?

ODISSEO

Io sì. Lottai contro di lui finché l'accanimento fu virtù.

AGAMENNONE

Eccolo in terra. E tu non vuoi passargli sopra?

ODISSEO

Atride, non festeggiare una conquista sporca.

AGAMENNONE

Non ha scrupoli il potere. Non scherza.

ODISSEO

Ma pondera i consigli degli amici.

AGAMENNONE

La persona proba ascolta i capi.

ODISSEO

Basta. Rimani capo anche cedendo ai tuoi.

AGAMENNONE

Medita che tipo favorisci.

ODISSEO

Un uomo, pieno d'odio. Ma uomo, uomo vero.

AGAMENNONE

Che ti succede? Scrupoli sull'odiato morto?

ODISSEO

Era eroe. E ciò cancella l'odio, in me.

AGAMENNONE

Una scossa, e si stravolge certa gente.

ODISSEO

E quanti, t'amano prima, poi s'accaniscono.

AGAMENNONE

Ti piace un tale amore, lo faresti tuo?

ODISSEO

Non mi piace lo spirito spietato, lo rifiuto.

AGAMENNONE

Noi rammolliti. È questo lo spettacolo che vuoi?

ODISSEO

Semplicemente umani, agli occhi greci.

AGAMENNONE

Insomma, il tuo appello è: lascia che lo si sotterri.

ODISSEO

Ah, sì. Anch'io arriverò a quel passo.

AGAMENNONE

Tutto normale. L'uomo è egoista, fa per sé.

ODISSEO

Per chi farei, se non per me? Sarebbe assurdo.

AGAMENNONE

La scelta è tua: non brillerà il mio nome.

ODISSEO

Fa' come vuoi. Tanto, ne esci sempre a fronte alta.

AGAMENNONE

Sforzati di capire: io, a te, sarei disposto a dare molto, molto di più. Ma questo morto incarnerà il mio odio, laggiù come quassù, non cambia nulla. Tu pensa a fare il tuo «dovere». Sei libero.


Agamennone si allontana.

CORO

Sei una mente buona, Odisseo. Dono di natura. È pazzo chi conoscendoti lo nega.

ODISSEO

Sento d'aggiungere qualcosa, per Teucro: quanto ieri gli sono stato contro, tanto oggi sarò suo. Collaboro alle esequie, l'ho deciso. Spartirò i disagi, non mancherò all'impegno che è doveroso offrire alle persone elette.

TEUCRO

Superbo Odisseo! Ti do consenso pieno, fermo, per i tuoi intenti. Tu hai fatto irreale la mia ansia. Tu eri il più accanito, in mezzo ai Greci: eppure fu pronto, a piene mani, solo il tuo sostegno. Tu non avesti l'impudenza pronta, tu vivo, d'umiliare brutalmente il morto: come l'alto comando, col suo accorrere ebete, ottuso, lui e il fratello, decisi a relegarlo oscenamente via dalla fossa. Per questo il Padre, signore delle altezze; Erinni, Vendetta che non scorda; Dike, Giustizia che matura tutto, sfacciano oscenamente i loro corpi osceni, come loro vollero infangare, cancellare il morto. Dubito per te, Odisseo di Laerte venerando, se farti sfiorare la fossa: forse è agire ingrato, ostico al morto. Per il resto dammi l'appoggio. Fa' partecipare al rito chi vuoi, del tuo campo: non ci darà noia. Curerò io ogni dettaglio. E voglio che tu sappia: tu sei per noi un uomo raro.

ODISSEO

Per me restavo. Ma se lo senti come un intervento estraneo, ti capisco. E vado.


(Odisseo esce)

TEUCRO

Il ritardo dilaga eccessivo. Su, via

dico a voi, lavorate con colpi veloci

affondate lo scavo nel suolo. Voi altri

coronate di fiamma il bacile elevato

ben adatto al lavacro di rito. Corteo

di soldati gli porti le armi d'eroe

che lo scudo ombreggiava.

Devi farcela, figlio. Sostieni le spalle

di tuo padre, se puoi: abbraccio di figlio,

in mio aiuto. Dalle vene accese tuttora

fiato nero sanguigno vapora,

vitale. Ora tutti, chiunque si dice

dei suoi, s'affretti a venire, s'adopri

dia tributo devoto, totale

al caduto, senza pari nel mondo,

ad Aiace: fin quando fu vivo, vi dico.

CORO

Ah, sì. L'essere umano comprende

se vede. Ma prima che veda, nessuno

indovina il futuro, che esito avrà