Testo

Tibullo - Le catene di Venere

Versa vino schietto e col vino

scaccia i dolori che t'assalgono,

sì che premendo gli occhi di chi è stanco vinca il

sonno:

nessuno svegli chi ha la mente stordita dal vino,

finché l'angoscia dell'amore non si plachi.

Alla mia fanciulla è stata imposta una custodia spietata

e con una spranga di ferro, impenetrabile,

è sbarrata la porta. Ti sferzi la pioggia,

porta d'un intrattabile padrone,

ti colpiscano i fulmini scagliati

per volere di Giove. Porta, porta,

sciogliti ai miei lamenti, apriti per me, per me solo,

e girando sui cardini furtiva

schiuditi senza far rumore;

se nella mia follia ti ho lanciato male parole,

perdonami: sul mio capo pregherò che ricadano.

Non puoi non ricordare tutto ciò

che supplicandoti ti dissi,

quando ai tuoi stipiti offrivo serti di fiori.

E anche tu, Delia, inganna senza timore i guardiani.

Osare si deve: Venere stessa aiuta chi ha coraggio.

Se un giovane tenta per primo una soglia, lei

l'asseconda

e se una fanciulla coi denti di una chiave

socchiude la porta, è lei che le insegna

a strisciare furtiva dal morbido letto,

ad appoggiare il piede senza far rumore,

a scambiare davanti al suo uomo cenni eloquenti,

e a nascondere messaggi d'amore

in gesti convenuti. Ma non a tutti l'insegna:

solo a chi l'indolenza non l'attarda

o a chi il timore non gli vieta

di levarsi dal letto in una notte oscura.

Così per tutta la città

timoroso m'aggiro fra le tenebre

...

lei non permette che m'imbatta

in chi di ferro ferisca il mio corpo

o cerchi bottino rubandomi la veste.

Chi è in potere d'amore, in ogni luogo

può andarsene indenne e sicuro:

agguati non deve temere.

Non mi nuoce il freddo incombente

delle notti invernali e non la pioggia,

quando cade a rovesci: se Delia schiude la porta

e senza parlare mi chiama schioccando le dita,

non è, questa, fatica che mi pesa.

Fate finta di non vedermi,

uomini o donne, voi che m'incontrate:

Venere vuole celati i suoi amori furtivi.

Non spaventatemi col rumore dei vostri passi,

non chiedetemi il nome,

non avvicinate la luce ardente delle torce.

E se qualcuno per caso m'ha visto,

mantenga il segreto e per gli dei tutti

affermi di non ricordare:

facendone parola proverà

come Venere sia nata dal sangue

e dal mare impetuoso.

Tanto non potrà credergli

l'uomo che vive con te: cosí in verità

mi promise un'indovina coi suoi magici riti.

Dal cielo l'ho vista io trarre giú le stelle;

e può con gli incantesimi invertire

il corso rapido dei fiumi,

con la parola spaccare la terra,

evocare dai sepolcri le ombre,

strappare ai roghi fumanti le ossa;

ora con un sibilo magico

aduna le schiere infernali,

ora, aspergendole di latte,

al suo comando le disperde.

Quando vuole, spazza dal cielo imbronciato le nubi,

quando vuole, in piena estate fa scendere la neve.

Lei sola, dicono, possiede i filtri di Medea,

lei sola di Ècate sa domare i cani rabbiosi.

Le formule m'ha dettato con cui puoi allestire inganni:

pronunciale tre volte e tre volte sputa quando l'hai

dette.

A nessuno che ci denunci potrà credere il tuo uomo,

no, nemmeno a sé stesso,

se insieme ci vedrà in un letto morbido.

Ma tu non andare con altri: lui vedrà ogni cosa;

solo se sei accanto a me non s'avvedrà di nulla.

'Devo crederlo?' Certo: lei stessa in grado si disse

con filtri e incanti di sciogliere il mio amore;

con le fiaccole m'ha purificato

e una vittima nera per gli dei della magia

cadde in una notte serena.

E pregavo non tanto che s'annullasse l'amore,

ma che mi fosse ricambiato:

fare a meno di te non vorrei esserne capace.

Fu di ferro chi, potendoti avere,

preferí, come uno stolto, inseguire prede e armi.

Davanti a sé spinga pure in catene

le schiere dei cilici e sulle terre conquistate

pianti le sue tende di guerra,

inforcando a briglia sciolta un cavallo

per farsi ammirare tutto vestito d'oro e argento.

Se invece io potessi, mia Delia,

con te aggiogare i buoi e pascere le greggi

sul monte che sai, e mi fosse consentito

tenerti con amore fra le braccia,

dolce sarebbe il mio sonno anche sulla nuda terra.

Che vale distendersi su un letto di porpora

senza un amore ricambiato,

quando viene la notte e una veglia di pianto?

Nemmeno piume o coperte a ricami,

nemmeno il mormorio d'un placido ruscello

potrebbero indurti a dormire.

Forse con parole di fuoco ho violato il nume di Venere

e ora la lingua sacrilega ne sconta la pena?

o mi si accusa d'essere entrato con empietà

nel tempio degli dei

e d'aver strappato corone ai sacri focolari?

Se io lo meritassi,

non esiterei a prosternarmi nei templi

e a imprimere di baci la soglia sacrata,

a trascinarmi supplicando per terra, in ginocchio,

e a percuotere in tormento col capo

la porta consacrata.

Ma tu, che lieto sorridi delle nostre sventure,

attento a te per il futuro:

non colpirà uno solo la divinità.

Chi irrideva gli amori infelici dei giovani,

l'ho visto, vecchio, piegare il collo alle catene di

Venere,

ordire con voce tremante parole d'amore,

tentando con la mano

d'aggiustarsi i capelli bianchi;

non provava vergogna

d'attendere impalato davanti a una porta

o di fermare in mezzo al foro

l'ancella della donna amata.

Ragazzi e giovani gli si accalcano intorno

e ognuno sputa,

sputa nelle morbide pieghe della propria veste.

Fammi grazia, Venere: a te devota

è consacrata sempre la mia mente.

Perché, crudele, bruci le tue messi?