Testo

ADRANO. L'AVO DEI SICANI

Per comprendere la divinità del dio Adrano è necessario capire innanzitutto quali caratteristiche e quale concetto di divinità avesse il popolo che lo scelse per sé come dio. Per necessità di sintesi saremo costretti a dare molte tesi per scontate, avendole dimostrate in alcuni nostri precedenti lavori, la cui mole non è indifferente a motivo dei processi filologici che abbiamo dovuto seguire per decriptare il valore semantico di parole arrivate da quei lontani millenni fino ai nostri giorni con significato talvolta ambiguo, quando non addirittura opposto, a quello che doveva avere nella lingua originaria.

Per quale motivo crediamo che Adrano sia un dio sicano e non, come viene normalmente ritenuto, siculo? Sorvolando in questa sede sulle ragioni per le quali siamo convinti che Sicani e Siculi fossero in realtà due gruppi di uno stesso popolo migrato in Sicilia in differenti epoche, noi siamo convinti che Adrano sia un dio sicano a motivo della maggiore vetustà dei primi rispetto ai secondi e della presenza antichissima del culto del dio nell'isola, di cui si fanno portavoce gli storici antichi. Tucidide indica addirittura i Sicani come abitanti dell'isola cronologicamente antecedenti agli stessi Ciclopi. Questa vetustà, nonché il nome del dio, ci permette di collocare l'insediamento sicano in Sicilia nella stessa epoca in cui i Sumeri erano insediati nella Mesopotamia. I Sumeri chiamavano An o Anu il loro dio maggiore e lo identificavano col Cielo. La medesima radice "an" è contenuta nei nomi di altre dee mesopotamiche, quali Inanna, denominata regina del cielo. Ma i Sicani, oltre che in Sicilia, erano presenti anche nel Lazio, come apprendiamo dall'Eneide virgiliana, e guarda caso anche in quest'area geografica ritroviamo un dio, Jahno, il maggiore nel pantheon latino, il cui nome contiene la stessa radice. Trascuriamo, per ora, l'affinità cultuale tra Jahno ed Adrano, palesata dal fatto che il culto di Jahno era collegato alla porta, simbolo di accesso a forze extrafisiche, che risulta centrale anche nel culto di Adrano; secondo il racconto plutarcheo, l'apertura miracolosa della porta del tempio di Adrano avrebbe significato il consenso espresso dal dio al coinvolgimento degli adraniti in una guerra condotta dal condottiero di Corinto Timoleonte per la liberazione delle città siciliane, sottoposte al giogo dei tiranni greci.

Occorre a questo punto fare un altro passo in avanti, in attesa di trarre inusitate conclusioni. In primo luogo si noti che la toponomastica e l'antroponimia proprie dell'area nella quale si ergeva il santuario dedicato al dio Adhrano, riconducono ad una lingua nord europea: Innessa, da in-essen, ovvero dentro e cibo o messe, era la fertile città nella quale sorgeva il santuario del dio Adrano; Teuto, il cui nome richiama il popolo dei Teutoni, dei quali parla Pitea di Marsiglia nel suo viaggio del 380 a.C., era il principe di Innessa; Atina, nome di donna ancora comunissimo in nord Europa e Scandinavia, grecizzato in Aitna, era presumibilmente1 il nome della figlia di Teuto, oltre che del vulcano Etna; il termine Sicano potrebbe derivare da sich-an, che in lingua tedesca significa stanziarsi. Lo stesso nome Adhrano è di origine proto-germanica e deriva dall'accostamento dei lessemi dhr ovvero furore, come emerge dall'erudito studio di G. Dumezil sugli dèi germanici, e An o Anu che in antico alto tedesco significa Avo, antenato, nonno, cui corrisponde, con lo stesso significato, il tedesco moderno Ahne. Adhrano rappresentava dunque l'Avo capace di esprimere la furia divina, quel furore che i latini attribuivano al Vate, capace di captare il vento di dio. Anche il nome Odhino, corrispettivo germanico del dio sicano adrhano, era più propriamente un attributo conferito al dio germanico che significava il furioso, Odhr. Adhrano era dunque l'Avo, il primo uomo, il capo della stirpe, colui che, morendo, per primo era venuto a contatto con gli dèi, la cui sede era il Cielo, e dal Cielo, dimora degli dèi, proteggeva i posteri, i discendenti, i Sicani. Visto da tale angolazione potrebbe essere riconsiderato anche il significato del termine Sicano, senza per altro incorrere in contraddizione con quanto sopra affermato; infatti il sich-ano, letteralmente e avo, probabilmente era colui che, non senza orgoglio, avvertiva di essere il portatore, dentro di sé, dei valori culturali e spirituali dell'Avo.

La divinizzazione di Adhrano, l'Avo, il primo a nascere e a morire, è consequenziale rispetto al fatto che egli è il primo a varcare la porta dell'al di là; da qui il simbolismo della porta, ravvisabile nel culto degli dèi sicani Jahno e Adhrano. L'Avo viene invocato dai Sicani, oltre che per una protezione in terra, anche come guida per l'esperienza ultrafisica della morte poiché, avendo il dio compiuto per primo tale esperienza, indichi all'anima del defunto la "via" che conduce agli antenati. Il culto degli antenati fu, presso gli Indoeuropei, di vitale importanza, poiché garantiva la continuità della stirpe. La stirpe o la gentes rappresentava un rapporto dinamico tra il mondo e il sovramondo, un passaggio continuo di forze rinnovate, intrinseche nella stirpe, una sorta di auto-alimentazione, simile al continuo movimento delle placche tettoniche che non cessa mai di nutrire il nucleo magmatico della terra. Gli Avi sono dunque gli andanti, coloro che avanzano, che camminano tramite i loro discendenti: questo è il significato di gentes in senso ciceroniano. Si noti che gentes, la cui pronuncia originaria era gutturale (ghentes), è singolarmente affine al verbo germanico gehen, (anch'esso con pronuncia gutturale, ghehen), che significa camminare, andare, avanzare.

La città Innessa, che ospitava il santuario sicano di Adhrano, potrebbe essere paragonata alla greca Dodona o, se si preferisce, alla città cristiana del Vaticano o alla Mecca dei Musulmani. Inessa era l'ombelico cultuale dell'isola, nella quale venivano a celebrare i loro sacrifici i Sicani delle altre città siciliane. Nel racconto plutarcheo della vita di Timoleonte si constata infatti la presenza di uomini di città limitrofe durante il rito che si esercitava nel tempio di Adhrano, sito nella città di Innessa la quale, in quel frangente storico, aveva già mutato nome in Adrano, dopo aver assunto anche quello di Etna.

Quali fossero i riti esercitati nel tempio del dio Adrano non è dato sapere, ma crediamo che non fossero differenti da quelli esercitati da tutti gli altri popoli Indoeuropei. Particolarmente importante doveva essere il culto degli antenati, visto che proprio il nome del dio riconduce all'Avo, all'antenato per eccellenza, al padre della stirpe. Notevole è il fatto che il termine Ano, ovvero il nonno, l'Avo, l'Antenato, sia rimasto inalterato, a millenni di distanza, nel dialetto siciliano ed in particolare in quello adranita. In questo, infatti, nonno si dice nanno\u. La persistenza del lessema è dovuta al valore rituale e sacro dello stesso, legato non solo al significato ma anche al significante, al suono, che doveva avere un effetto evocatorio. Non a caso le esortazioni di Zarathustra nell'Avesta e i Veda raccomandano e ammoniscono di pronunziare chiaramente e con esatta dizione le parole rituali. Non si dimentichi che la balbuzie di Mosè determinò il suo impedimento ad esercitare il sacerdozio, che dovette pertanto cedere al fratello. Per questo motivo la città di Adrano, sede del culto primigenio dell'Avo, dove si veniva dalle altre città per trarre i responsi e sacrificare al dio per ottenerne i favori, conservò più a lungo la lingua sicana rispetto ad altre città dell'isola, più aperte all'influenza innovatrice dei Greci che, a partire dall' VIII sec. a.C., iniziarono a fondare colonie nelle coste sicane. In Adrano i sacerdoti Adraniti continuavano ad evocare il dio, utilizzando i loro immodificabili manthra. La lingua sicana ad Adrano, almeno in ambito religioso, dovette essere stata utilizzata senza modifiche linguistiche fino al 213 a.C., fino cioè al momento in cui i Romani, dopo aver consultato i libri sibillini, interpretati dai Decemviri, stabilirono la chiusura del tempio2 al pubblico culto. Il culto, dopo la chiusura ufficiale del tempio, dovette essere stato praticato in forma privata ancora per un secolo e poi scemato e confuso con quello di altre divinità, al punto da generare la coesistenza e sovrapposizione tra il dio Adrano ed il dio greco Efesto. In epoca cristiana, in seguito alla intolleranza per ogni forma di culto diverso rispetto a quello cristiano, tutti i culti pagani vennero aboliti.

Il fatto che il popolo più potente del mondo, il popolo Romano, temesse il dio Adrano al punto di decretare la chiusura del tempio al pubblico, induce a soffermarsi sul perché di una tale drastica scelta, effettuata dal popolo più tollerante che le civiltà antiche e moderne abbiano conosciuto, e a riprendere il concetto del significato della porta, sfiorato sopra, di cui i Romani conoscevano il significato rituale, celebrato attraverso il loro dio Jahno. Jahno (da jah veloce, repentino, dotato di destrezza, astuto e Ano e avo) era l'antenato divinizzato degli antichi Romani; il suo culto era caratterizzato, tra l'altro, dal fatto che in tempo di pace le porte del suo tempio rimanevano aperte, in tempo di guerra chiuse. Poiché la porta serve per fare entrare o uscire qualcosa, se ne deduce che, nel caso del dio, questo qualcosa non fosse altro che la potenza o furore divino dello stesso. Visto che i Romani aprivano la porta di Jahno in tempo di guerra, questo atto non può che interpretarsi in un solo modo: essi lasciavano uscire dal tempio il furore divino che era ivi contenuto a porte chiuse, per farlo riversare sui nemici; non a caso i Romani conoscevano una pratica rituale con la quale si consacravano ovvero immolavano gli eserciti nemici alle divinità infernali. Qualcosa del genere avveniva pure presso gli Ebrei visto che il dio di Mosè scendeva in campo contro gli Egiziani o presso i Troiani, il cui dio Apollo scendeva in guerra sulle pianure troiane contro i Greci. Il dio romano, con l'atto dell'apertura delle porte del suo tempio, veniva invitato dal suo popolo a sprigionare sul campo di battaglia la forza che da lui emanava. I Romani, alle prese con i siciliani, i quali erano sciaguratamente passati dalla parte dei Cartaginesi, avendo visto l'immane forza combattiva degli isolani ed essendosi convinti che questa derivasse dalla potenza del dio sicano Adhrano3, assimilato al loro Jahno, pensarono bene di contenere il furore del dio circoscrivendolo attraverso l'innalzamento di mura tutt'intorno al suo tempio. Era questo un gesto ancor più cautelativo di quello del semplice atto di chiudere la porta del tempio. L'aver innalzato delle mura tutt'attorno al tempio fu come l'aver posto il tempio di Adrano sotto una vera e propria campana di vetro, che doveva contenere la forza del dio, affinché neppure l'eventuale evocazione da parte degli Adraniti potesse indurlo a sprigionare il suo furore.

Il sacerdote del dio Adhrano dovette chiamarsi in origine Adranita e poi, per estensione, quando la città di Innessa venne denominata prima Etna e poi Adrano, da Dionigi il Vecchio, il nome si estese a tutti gli abitanti della città. Il termine Adhranhiti, che designava originariamente i sacerdoti, è composto dall'accostamento dei seguenti lessemi: dhr-an-hiti, ovvero furore divino-avo-evocare; gli Adrhanhiti erano dunque i sacerdoti, equiparabili ai Druidi celti, che evocavano il furore di dio o dell'Avo o del Cielo. La somiglianza tra il dio Adrano e Jahno non deve stupire né costituisce un caso isolato; si pensi che gli stessi Romani dovettero constatare la propria affinità con il popolo sicano (stessa affinità che Tacito avrebbe notato pure con i Germani). Cicerone avrebbe affermato in seguito che i Centuripini erano fratelli di sangue dei Romani ed infatti essi, confinanti con gli Adhraniti, avevano antichi vincoli di fratellanza con i cittadini di Lanuvio, contratti, secondo Cicerone, in epoca Troiana, in seguito alla venuta di Enea in Sicilia e al suo successivo stanziamento nel Lazio. I reperti archeologici rinvenuti nel sito del Mendolito, che si trova a circa due chilometri da Adrano, dove il re Teuto aveva probabilmente sviluppato una grande e ricca area commerciale, in particolare i simboli della spirale e della ruota del sole, scolpiti su due capitelli di colonne, ci hanno fatto intendere però che la cultura sicana e quella latina, tra loro apparentate, derivano da un'altra più antica; ma questa è un'altra storia4.

Prof. Francesco Branchina