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Siracusa


Testo

I luoghi del mito

SIRACUSA, teatro greco, Orecchio di Dionisio e...

Dopo la visita al Teatro Greco, adagiato sui fianchi del colle Temenite di Siracusa, scendiamo dalla sua sommità, ancora ebbri per la visione di mirabile bellezza di cui abbiamo goduto. Brevi e sinuosi tornanti ci sprofondano in un giardino ricco di variopinti oleandri, immersi tra i profumi di alcune piante, tipiche della flora mediterranea. I rami degli oleandri tra l'altro, disposti da ambo i lati come una guardia d'onore, sfiorandosi in alto sembrano descrivere una piccola galleria vegetale che ci avvolge con il suo respiro caldo e voluttuoso. Dopo poche decine di metri giungiamo ad una piccola radura. 
L'impatto visivo suscita immediatamente una piena e profonda suggestione.

Ventitre metri di altezza per sessantacinque di lunghezza ed una larghezza che va restringendosi gradatamente dagli undici metri iniziali ai sei finali incidono profondamente la parete a strapiombo che si para di fronte ai nostri occhi. 

Il nostro sguardo s'innalza per potere ammirare per intero questa fantastica visione, che assume le sembianze di una ferita nel tessuto verticale della tenera roccia sedimentaria.

Di colpo si è come proiettati indietro nel tempo con la sensazione precisa, se non fosse per il continuo via vai dei turisti, di vedere apparire da un momento all'altro sulla soglia il gigante Polifemo alle prese con l'astuto Ulisse.

Tutto si presta a questa omerica illusione, soprattutto il breve respiro del luogo, chiuso da alte pareti che lo rendono cristallizzato nel tempo e che hanno impedito la sua profanazione da parte dei profondi cambiamenti che hanno interessato, invece, le zone prospicienti il sito archeologico.

Nella sua arcaica e naturale bellezza questo luogo risplende, perciò, di un forte valore evocativo.

La nostra stessa ammirazione dovette colpire Caravaggio che nel 1608, nel corso della sua breve vita e durante il suo tormentato vagabondare, si trovò a visitare questo luogo, definendolo per l'evidente somiglianza antropomorfica l' "Orecchio di Dionisio", dando fiato così alla leggenda del famoso tiranno. 

Si tratta, infatti, di una fenditura apparentemente naturale, tanto sembra armoniosamente inserita nel contesto ambientale, adornata all'esterno da piante di capperi e capelveneri. Le pareti che già si intravedono dalla radura antistante sono lisce, come levigate dalle mani di un gigante. Esse si snodano sempre lisce e sinuose, dando origine ad un movimento plastico di notevole e piacevole effetto estetico, conferendo a questo luogo fascino e mistero.

Questo "tempio" dove la Storia sembra richiudersi per celebrare i suoi miti e le sue leggende, può essere considerato a pieno titolo un monumento perché (e sveliamo un piccolo segreto) esso rappresenta in effetti l'aspetto finale di una cava dalla quale i Siracusani, in tempi successivi, hanno tratto il materiale servito loro per la costruzione di templi ed edifici pubblici e privati, la maggior parte dei quali splendono ancora di storia nei numerosi angoli della città. 

Man mano che il lavoro di scavo ha proceduto e i materiali ottenuti sono stati portati via il piano inferiore della cava si è sempre di più abbassato, fino al livello attuale. 

Chiunque lo ammira non può che condividere la definizione del pittore lombardo. L'aspetto esterno è di un enorme padiglione auricolare e il percorso interno assomiglia, per analogia, al tratto tortuoso che conduce al nostro timpano.

Ciò che ha sempre stupito e affascinato, oltre la forma, è stato l'effetto acustico che si produce all'interno della grotta, nata per azione dell'Uomo. Grazie alla disposizione curvilinea delle sue pareti (che si fondono alla sommità), all'altezza, alla profondità e alla natura delle rocce si ottiene un effetto acustico di notevole suggestione che amplifica ogni piccolo rumore. Perfino un brusio, un piccolo mormorio diventa chiaramente udibile a distanza. 

Chi scrive, ricorda da adolescente il fragore simile ad un colpo di cannone, provocato dal battere del tocco di bronzo sulla base fissa, anch'essa dello stesso materiale, posti sul portone di legno massiccio che negli anni Cinquanta e nei primi anni Sessanta limitava l'accesso al sito. 

L'intero complesso archeologico, a dir la verità, era un luogo molto frequentato da studenti e non solo per motivi culturali. Alunni di diverse scuole e classi si ritrovavano, spesso, qui per bigiare in un luogo sicuro, al riparo da sguardi di genitori e insegnanti o meglio da "minacciate" interrogazioni o da compiti di greco e di matematica che non si sarebbe saputo come svolgere. 

Secondo la leggenda il tiranno Dionisio faceva rinchiudere qui i prigionieri politici. Approfittando della particolare acustica s'era fatto costruire una casetta il cui pavimento era in comunicazione con la volta superiore della grotta. Ciò per ascoltare i loro discorsi e sventare eventuali complotti. 

In effetti, una casetta esiste alla sommità del Teatro Greco, che sembra quasi evocare la leggenda, ma essa è solo l'ultima testimonianza di una serie di mulini che nei secoli passati utilizzavano la forza motrice dell'acqua del canale Galermi, sorgente a pochi passi da essi. Ricordiamo che essa alimenta dal V secolo a.C. fino ad oggi l'acquedotto di Siracusa. 

Abbiamo detto in apertura che Michelangelo Merisi, detto il Caravaggio, con la sua fantasia lo definì l'Orecchio di Dionisio, avvalorando l'immagine di un tiranno crudele e molto sospettoso. 

Parlare di questo monumento ci da quindi l'opportunità di tratteggiare la figura di Dionisio I, il Grande, tiranno di Siracusa a cavallo del V e del IV sec a.C. e più in generale su quest'ultimo termine, usato quasi sempre in maniera dispregiativa, come di persona caratterizzata da una profonda visione antidemocratica, uccisore delle libertà e della partecipazione popolare al governo della città. 

Indubbiamente, tutti coloro che operarono per imporre la loro signoria erano mossi da una grande sete di potere. Molto ricchi e in grado di condizionare gli umori della plebe, avvalendosi di alleanze con altri potenti vicini, essi in genere comparivano quando la situazione democratica della città si deteriorava. 

Molti, come purtroppo è avvenuto tante volte in seguito, auspicavano a questo punto la comparsa di un uomo forte che mettesse fine a disordini e degenerazioni, oltre che a rivendicazioni in ordine alla distribuzione delle terre e alla ricchezza più in generale. 

Spesso i disordini erano provocati dagli stessi aspiranti tiranni. 

Su Dionisio molto è stato scritto e io non pretendo certamente di esaurire un argomento così vasto, descrivendo in poche righe una figura così importante e complessa della storia siracusana. Egli compare al seguito di Ermocrate, quando questi aveva cercato nel 408 a.C. di penetrare con la forza in Siracusa, in seguito a rivalità con Diocle. 

Ermocrate venne però ucciso e i suoi compagni banditi, tranne Dionisio ritenuto morto. Tre anni dopo le alterne vicende della guerra contro Cartagine, sprofondano Siracusa in una situazione di grave pericolo. Dionisio assume il potere grazie a dei mercenari e riorganizza la struttura politica dello Stato, favorendo all'inizio gli amici che lo avevano sostenuto. 

Cinge di opere difensive la città, costruendo alte mura attorno ad Ortigia, l'isola che diventò la sua residenza fortificata. Appena pronto si mosse per riaffermare il dominio siracusano lungo la valle dell'Anapo, attaccando e distruggendo Erbesso (presso l'attuale Buscemi), spina nel fianco degli insediamenti greci, specialmente della fortezza di Acre (Palazzolo Acreide). 

Con la politica del bastone e della carota tranquillizzò i suoi vicini, alleandosi nel frattempo con Sparta. Nell'anno 401 a.C. presso un santuario posto alle pendici sud-occidentali dell'Etna, fondò un insediamento militare che chiamò Adrano (Adernò). 

Prevedendo la sicura reazione cartaginese con grande celerità si dedicò alla costruzione del Castello Eurialo, cioè a forma di chiodo, imprendibile fortificazione posta alla sommità dell'Epipole, un colle che, distante pochi chilometri da Siracusa, domina per lunghi tratti le coste e la bassa valle dell'Anapo. 

Ancora oggi esistente, esso rappresenta una delle opere più ingegnose di arte militare, geniale esempio di difesa delle città greche. 

Resa sicura la città, si dedicò ad un nuovo programma espansionistico. Grazie alle invenzioni dei suoi consiglieri militari, in particolare della catapulta, in grado di scagliare sassi a notevole distanza, e la costruzione delle quinqueremi, vere e proprie corazzate più sicure e veloci delle triremi, si sentì pronto per ridare a Siracusa prestigio, potenza e splendore. Dopo essersi assicurato alleanze o neutralità da parte delle principali città siceliote, dichiarò guerra a Cartagine nell'anno 397, riconquistando a Siracusa tutto il territorio precedentemente perduto. 

Non pago di questo risultato continuò nel suo progetto imperialista e nel periodo immediatamente successivo conquistò parecchi punti strategici del Tirreno (tra cui l'isola d'Ischia) e dell'Adriatico (debellando i pirati), rendendoli mari sicuri e sotto il dominio delle flotte siracusane. 

La vita di Dionisio andrebbe raccontata con maggiore approfondimento, perché ricca ancora di numerosi avvenimenti. Morì a 63 anni e la sua tirannia durata per ben 38 (405-367 a.C.) rappresenta il culmine della potenza siracusana, un periodo importante anche per la storia delle altre colonie greche in Italia. Siracusa, grazie a lui, divenne la più potente città della Magna Grecia. 

Prototipo del tiranno crudele, la sua figura è stata nei secoli molto maltrattata: da Timeo a Cicerone, fino a Dante è un susseguirsi di accuse. Non ammetteva nessuno alla sua presenza che non fosse stato prima perquisito dalle sue guardie. A questa regola non sfuggivano nemmeno figli e nipoti e persino le mogli. Si faceva radere solo dalle figlie. 

Non esitò a ordinare la morte di molti nemici, anche suoi concittadini, giustificando questi atti come doverosa sottomissione alla ragione di Stato.

So di essere sembrato troppo lungo a descrivere la sua figura ma sono sicuro che la visita dell' "Orecchio di Dionisio" evocherà ai più sensibili i palpiti di un'epoca irripetibile, per certi versi lontana dalla nostra sensibilità moderna ma, sicuramente, carica di fascino e di profonde radici culturali con le civiltà del passato.

Dionisio non riuscì a sconfiggere definitivamente Cartagine ma ne rallentò l'espansione, consegnando idealmente a Roma il compito di annientarla. Nel III sec a.C., infatti, Roma riprese con vigore la lotta contro i Punici, fino all'epilogo finale che tanto sarebbe piaciuto a Dionisio: Cartago delenda est e Cartagine delenda fu.

Tino Insolia




Il teatro greco di Siracusa

Sulla sommità del Teatro, secondo Cicerone, c’erano i santuari di Demetra e Kore e delle Muse. Eschilo vi rappresentò Le Etnee ed I Persiani. Ha un diametro di circa 140 metri e 67 ordini di gradini divisi in 9 settori da 8 scalette e, orizzontalmente da due ambulacri. Fu opera dell’architetto Damocopos, detto Myrilla. La parte più alta della cavea anzicché essere scavata nella roccia fu costruita con blocchi di pietra che, in seguito (XVI secolo) furono portati via per essere utilizzati in altre costruzioni. Il Teatro disponeva di alcuni tipi di macchine di scena.

I teatri greci più antichi che presentano una struttura simile a quello di Siracusa furono, in Grecia, quello di Eleusi e quello di Torico, entrambi del VII secolo a. C. In seguito si svilupparono forme più evolute: quale il teatro di Dioniso di Atene.


Le Latomie

A Siracusa esistono diverse cave di pietra calcarea che si cominciarono a scavare, probabilmente, poco dopo la fondazione greca della città e quindi dal 732 circa a. C. in poi. La parola latomia deriva da due parole greche: las= pietra e tèmnein= tagliare. Le latomie di Siracusa si trovano tra il Teatro greco e la Latomia dei Cappuccini. I blocchi di pietra che furono tratte da esse, per circa cinque milioni di metri cubi, vennero impiegati nella costruzione di templi, di opere di fortificazione e di edifici di uso civile. Dalla lettura di Tucidide apprendiamo che queste cave furono usate anche come carceri, infatti vi furono tenuti, in condizioni terribili, gli Ateniesi catturati nel 413 a. C., durante la guerra fra Atene e Siracusa. Tucidide racconta così le sofferenze di quei prigionieri ateniesi:
Nelle cave di pietra i Siracusani nei primi tempi trattarono duramente i prigionieri. Essendo all’aperto, in molti tra le pareti ripide di un luogo ristretto, in principio li tormentava ancora l’afa e il sole; e viceversa, sopraggiungendo le notti fredde di autunno, questo sbalzo li disponeva a malattie. Per mancanza di spazio soddisfacevano i loro bisogni nel medesimo posto; e inoltre, ammucchiandosi lì stesso l’uno sull’altro i cadaveri di chi moriva per le ferite e per il cambiamento di stagione o cause simili, ne derivava un fetore insopportabile. S’aggiunga la sofferenza della fame e della sete, poiché a ciascuno di loro davano per otto mesi una cotila di acqua (=1/4 di litro ) e due cotile di grano.
Non fu insomma risparmiato loro nessun malanno che, una volta caduti in simil luogo, potesse affliggerli. Poi, tranne le truppe ateniesi, siceliote o italiote, tutti gli altri furono venduti.
Non è possibile dare con esattezza il numero complessivo dei prigionieri, ma non furono meno di settemila.
Risultò, questa, l’impresa militare ellenica più imponente di questa guerra e, a me sembra, anche di tutte le guerre elleniche della tradizione: la più gloriosa per i vincitori, la più fatale per i vinti.
Schiaccianti sconfitte in tutti i campi, terribili sofferenze di ogni genere: fu proprio quel che si dice una distruzione completa, che inghiottì flotta, esercito e ogni cosa; e pochi di molti rimpatriarono.
Tale fu la spedizione di Sicilia
.” (da: Tucidide, La guerra del Peloponneso, trad. di P. Sgroi, Milano, Ispi)

La Latomia del Paradiso, a fianco del Teatro greco, comprende: l’Orecchio di Dionisio, la Grotta dei Cordari, la Grotta del Salnitro, la Latomia della Intagliatella e quella di Santa Venera. Non molto distanti si incontrano la Latomia Broggi e quella del Casale. Infine, molto vicino al mare, la Latomia dei Cappuccini.

L’“Orecchio di Dionisio” è un’ampia grotta artificiale di grandi dimensioni, profonda più di 60 metri, alta più di 20 e larga fino a circa 10 metri. Ha una sezione verticale di forma quasi triangolare ed una pianta che in qualche modo ricorda la chiocciola dell’orecchio umano. Nel punto più interno e più alto presenta un foro attraverso il quale, in virtù della particolarissima acustica capace quasi di amplificare i suoni, si tramanda che Dionisio origliasse per ascoltare quanto si dicessero i prigionieri che egli vi teneva rinchiusi. Sulla scorta di questa tradizione, sembra che il Caravaggio (che visitò Siracusa nel 1608) abbia assegnato questo nome alla grotta.

La Grotta dei Cordari è una grotta grandissima che si apre a pochi metri più a destra dall’entrata dell’Orecchio di Dionisio. E’ così denominata perché in essa, per secoli e fino a pochi decenni fa, questi artigiani vi hanno svolto il loro lavoro. Essa presenta un aspetto scenografico veramente suggestivo per la varietà di superfici e di spazi che nelle tre dimensioni dell’altezza, della profondità e della larghezza permettono alla luce di produrre degli effetti sorprendenti, soprattutto quando sul piano di calpestio si sia accumulata dell’acqua.

Seguono la Grotta del Salnitro sul cui ingresso è precipitato un enorme pezzo di roccia staccatosi dal fronte della volta della grotta stessa e la Latomia dell’intagliatella che presenta un pilastro roccioso di notevoli dimensioni; infine, ancora più ad est, troviamo la Latomia di Santa Venera, con le sue pareti interne ricche di nicchie votive. Queste ultime tre latomie, come anche le Latomie Broggi e del Casale, non sono al momento visitabili. Quasi al limite orientale del Parco archeologico si trova la cosiddetta Tomba di Archimede che sarebbe stata invece scavata in epoca romana per custodire nelle sue nicchie delle urne cinerarie.

La Latomia dei Cappuccini, chiamata così perché circonda la chiesa di questo Ordine religioso, è veramente molto estesa e caratterizzata da pareti altissime e di grande effetto scenografico. Anch’essa è attualmente chiusa al pubblico.

Quasi tutte le latomie, almeno quelle di proprietà del demanio pubblico, sono state o sono sottoposte a restauro a causa dei danni provocati dal tempo, da fattori meteorologici e persino da interventi sconsiderati degli uomini sul loro stesso territorio. Noi riteniamo non solo opportuno, ma anche doveroso che queste testimonianze materiali della storia della nostra Città siano restituite al più presto a noi cittadini ed ai turisti che desiderano visitarle.

V. Accarpio