Testo

Le religioni in Cina

Le tre dottrine e la religione popolare

Non c'è e non c'è mai stata religione in Cina, se si intende per «religione» un insieme di credenze relative ad un dio (o a più divinità), in relazione ad una concezione del destino umano, espressa in una organizzazione ecclesiastica, con un rituale: la Cina non è il paese delle religioni, ma quello delle dottrine.

Si diceva spesso che i Cinesi avevano tre religioni: il taoismo (fondato nel VI secolo a.C. da Lao-Tse), il confucianesimo (le cui origini sono pressappoco contemporanee a quelle del taoismo) e il buddismo; in cinese, questi tre sistemi si chiamano le «tre dottrine».

Da molti secoli queste dottrine hanno soltanto un interesse storico, poiché il popolo cinese si forgiò nel corso dei secoli una religione popolare, che riunisce, alla rinfusa, credenze primitive, prestiti dalle «tre dottrine», culti ad eroi o a personaggi più o meno divinizzati, ecc. E, poiché non si è trovato mai, in Cina, un organismo centrale per codificare e unificare questa spumeggiante mistura, la religione popolare cinese non è stata, in effetti, che un immenso mosaico religioso e mitologico.

L'evoluzione religiosa fino all'epoca contemporanea.

All'inizio del XX secolo, nessuna delle tre dottrine aveva veramente dei fedeli: un cinese buddista poteva partecipare a cerimonie taoiste o popolari, così come, per esempio, un italiano del XX secolo può professare una filosofia atea, sposarsi in chiesa, battezzare i suoi figli e andare alla messa di mezzanotte a Natale.

C'era tuttavia, prima della rivoluzione e della costituzione della Repubblica Popolare Cinese, un clero importante: bonzi buddisti, religiosi taoisti, mandarini seguaci di Confucio. Questi monaci e chierici esercitavano tutte le attività sacerdotali classiche, sacrifici, invocazione degli antichi, erano profeti, guaritori, ecc., e, nell'insieme, le loro interpretazioni personali della dottrina, alla quale aderivano, erano profondamente influenzate dalla religione popolare.

Riassumendo, la domanda: «Quale era o quali erano le religioni dei cinesi prima dell'avvento del comunismo?» non può ricevere alcuna risposta soddisfacente; alcune statistiche indicavano 150 milioni di buddisti in Cina nel 1951; bisogna diffidare di esse: in realtà questi «buddisti» erano imbevuti di credenze popolari, partecipavano a culti taoisti, ecc. Con Mao Tse-tung la fisionomia religiosa della Cina è cambiata. La rivoluzione comunista ha estirpato le vecchie radici religiose della società feudale cinese; l'insegnamento nelle scuole - anche nelle campagne lontane dalle città - respinge, definitivamente, le superstizioni, l'idolatria, la stregoneria. Le sette buddiste e taoiste si sono rifugiate a Formosa e questo senza grande scandalo: la vita politica cinese, infatti, non ha mai strumentalizzato le forze religiose come in Europa o nei paesi musulmani. Lottando contro l'analfabetismo, Mao Tse-tung ha lottato anche contro le superstizioni della religione popolare.

Il Signore del cielo, il Dio del suolo e altre divinità

Anticamente veniva officiato un culto essenzialmente aristocratico. Le principali divinità erano il Signore del cielo, il Dio del suolo e gli antenati del re. Il Signore del cielo, chiamato in modo più completo Shangti («il supremo imperatore dell'augusto cielo»), è indicato nelle antiche scritture in forma umana, ciò che fa pensare ad una concezione antropomorfica del cielo. Il Signore del cielo, a volte indicato come un gigante che abita nell'Orsa maggiore, protegge gli stati ed i re, punisce i delitti, protegge e vendica gli innocenti, accoglie giuramenti e preghiere. Leggende, che risalgono ad epoche posteriori, presentano più signori del cielo che si aggiungono all'originario, tanti quanti sono i punti cardinali: un Imperatore bianco per l'occidente, uno verde per l'oriente, uno rosso per il mezzogiorno, uno nero per il settentrione e, da ultimo, uno giallo per il centro.

In contrapposizione al Signore del cielo, si trovano il dio del suolo imperiale (Hou t'u) ed i suoi subordinati, gli dei del suolo regionali e locali. Il dio del suolo era in origine un albero piantato sopra un tumulo in mezzo ad un bosco sacro; l'albero era un pino nel centro, una acacia a settentrione, una tuya ad oriente, un castagno ad occidente, una catalpa a mezzogiorno. Dal tumulo del dio del suolo imperiale si toglieva una zolla di terra destinata ad essere il nucleo del dio del suolo dei nuovi feudi creati dal re. Il dio del suolo è una divinità crudele alla quale si offrono anche sacrifici umani, in particolare al ritorno da guerre vittoriose; egli protegge i principi ed i re in tutte le attività connesse al loro potere, come giuramenti, guerre, occupazioni di nuove terre.

Il dio della morte (Se-ming) è un'altra divinità, che proprio per la sua stessa definizione, presiede al destino ultimo degli uomini. Altre divinità locali si riferiscono ai fiumi, ai laghi, ai mari, tra queste è da ricordare il Conte dei fiumi (Ho po), riferito al fiume Giallo, che prevedeva un rituale ogni anno con il sacrificio di una giovane sposa.

L'anima

Gli antichi Cinesi credevano che l'uomo avesse due anime: il p'o e il hun. Dopo la morte il hun saliva al cielo, alla corte del Signore del cielo; il p'o invece abitava con il cadavere nella tomba e si nutriva di offerte fatte al defunto. Queste usanze comportavano un curato e attento servizio per il nutrimento del defunto, altrimenti questi, affamato, poteva rivolgere la sua ira verso i discendenti.

Legato a questa credenza si sviluppò l'uso di seppellire schiavi, prigionieri e concubine insieme al defunto in modo che gli facessero compagnia durante il viaggio verso il cielo. Nelle tombe di An-yang, della dinastia Yin, sono stati trovati gli scheletri di oltre un migliaio di vittime con le teste tagliate e sepolte altrove: forse prigionieri di guerra.

I sacerdoti e la divinazione

I riti e le manifestazioni del culto erano, nell'antica Cina, privilegio del re, dei principi, dei funzionari e dei nobili. Tutti i riti prevedevano una serie di sacerdoti officianti secondo norme rigide: vi erano dapprima i priori (chu), i quali conoscevano i sacrifici che il re offriva al Signore supremo, e quelli che recitavano le preghiere dei morti.

Gli auguri erano destinati ad interpretare le risposte degli antenati interrogati sui più vari avvenimenti della vita: dal raccolto alle guerre. Essi si servivano di scaglie di tartarughe perforate che venivano avvicinate al fuoco e, secondo le screpolature prodotte, si deducevano le risposte dell'antenato.

Più semplice era il metodo di divinazione mediante cinquanta bastoncini di achillea, metodo sopravvissuto fino ai giorni nostri ed adottato anche in Giappone. L'indovino, per avere un responso, toglieva un bastoncino dal mazzo, ne faceva quindi due parti, una pari e l'altra dispari, e susseguentemente, ne sceglieva una a caso, scartando l'altra; se era pari segnava una linea spezzata, se era dispari una linea intera. Ripetuta l'operazione sei volte, otteneva così un esagramma, composto da sei linee spezzate o intere. Ad ognuno dei sessantaquattro esagrammi possibili, corrispondeva, secondo un libro che ci è stato conservato (I King), un'interpretazione.

Tra i numerosissimi operatori di divinazione esistenti nell'antica Cina, sono da annoverare gli interpreti dei sogni e dei fenomeni celesti, i musici ciechi che attraverso vari strumenti, campane, tamburi, flauti, comunicano a degli scribi, seduti loro accanto, i responsi degli antenati.

I sacerdoti non costituivano un corpo a sé; essi erano nobili che ricoprivano una carica speciale, cui adempivano solo in occasioni particolari.

I templi, i luoghi di culto e i riti religiosi

Il culto si svolgeva prevalentemente all'aria aperta: un altare rotondo, dedicato al cielo, ed un altare quadrato, dedicato alla terra, sorgevano a mezzogiorno della città capitale; il sole aveva un altare a levante e la luna una fossa a ponente della città. Le divinità celesti avevano altari rotondi su cui venivano bruciate le vittime: le divinità terrestri avevano invece delle fosse, in cui si seppellivano le vittime. Il tempio del cielo a Pechino può fornirci un'idea abbastanza vicina a quella dei più antichi templi della Cina.

Nella liturgia antica cinese si incontrano per primi sette inni sacri, che venivano cantati, durante le cerimonie, da bambini: il primo è destinato ad esseri trascendenti che giungono dal cielo su carri tirati da draghi volanti per assistere al sacrificio; il secondo descrive la discesa del Signore del cielo sull'altare; i quattro successivi si riferiscono ai quattro signori dei punti cardinali e delle stagioni corrispondenti; il settimo è un'invocazione dell'imperatore al Signore del cielo e al Signore della terra.

A primavera, il re dà inizio all'anno religioso con il sacrificio al Signore del cielo, cui segue la cerimonia dell'aratura primaverile dedicata al Signore della terra. Il re traccia nel campo sacro tre solchi cui fanno seguito cinque solchi tracciati dai ministri, nove dai feudatari.

Alla fine dei lavori agricoli, dopo i raccolti, i contadini celebravano una grande festa in onore dei Pacha, gli otto spiriti: il primo mietitore, il primo oratore, il primo costruttore di dighe, il primo scavatore di canali, il primo costruttore di capanne; in onore, altresì, degli spiriti dei gatti distruttori dei topi, delle tigri distruttrici dei cinghiali e degli altri spiriti propiziatori dell'abbondanza delle messi. Partecipavano alla festa i principi e i nobili, vestiti da contadini, e si mangiavano tutte le offerte in un grande banchetto.

Il culto degli antenati

Il culto degli antenati doveva essere continuo. Nel corso di ogni pasto, il padre di famiglia faceva una libagione ed offriva un po' di cibo agli antenati, una parte delle primizie secondo le stagioni. Si celebravano quattro grandi feste annuali in corrispondenza delle quattro stagioni, feste durante le quali si portavano le tavolette degli antenati al banchetto.

Il tempio degli antenati sorgeva all'interno delle case, al lato orientale della corte principale. Il tempio, nella sua costruzione, presentava caratteristiche differenti secondo il grado del proprietario della casa: per i re le colonne erano lucidate, per un principe soltanto squadrate e piallate, per un nobile solo squadrate.

La sala era divisa in sette cappelle per il re, in cinque per i principi, in tre per i grandi ufficiali, mentre i cittadini comuni ne avevano una sola. Nelle cappelle gli antenati occupavano diversi posti secondo il loro grado, ed ogni tavoletta di legno, che serviva quale dimora per lo spirito, era conservata in un cofano di pietra da cui veniva tolta soltanto nelle grandi cerimonie.

I primi vasi destinati al culto degli antenati erano in legno o terracotta, in seguito furono sostituiti da vasi di bronzo, che conservarono però la forma e l'uso di quelli più antichi. Le iscrizioni incise su questi vasi di bronzo costituiscono forse i più antichi documenti della letteratura cinese. I disegni rudimentali dei vasi più antichi fanno pensare ad una scrittura resa per immagini e testimoniano, per la loro forma primitiva, la nascita di una nuova civiltà. L'età dei vasi più antichi, di quelli adoperati durante la dinastia Shang-hin, si fa risalire al 1500 a.C. Una linea nobile ed elegante caratterizza le loro forme, che vanno da quella del bue per il vino nelle libagioni, a quelle a forma di corno di rinoceronte, quindi a forme di gufi, tigri ed altri quadrupedi, che fanno pensare ad emblemi dei clan.

Il culto degli antenati appare vivo soltanto nel medioevo dell'antica Cina, mentre nelle epoche successive va lentamente affievolendosi, sino a ridursi a semplice rituale, intorno al 200 a.C., riservato alle famiglie più nobili ed ai feudatari; la religione degli antenati, in altri termini, perde il suo contenuto dogmatico e sentimentale, sostituito dalle nuove dottrine: taoismo, confucianesimo e buddismo.

Origine e libri fondamentali

Lao-Tse è un personaggio leggendario che la tradizione fa nascere nel 604 a.C.; il nome stesso significa «il vecchio maestro» (certi autori pensano che sarebbe esistito un letterato chiamato Li-Ful, che avrebbe preso in seguito il nome di Lao-Tse). Questo personaggio avrebbe incontrato Confucio e gli avrebbe consigliato di essere più umile (ciò è puramente leggendario: ci sono nel taoismo idee che erano sconosciute al tempo di Confucio).  Divenuto vecchio Lao-Tse sarebbe partito verso l'Occidente a dorso di bufalo; prima di lasciare la Cina, avrebbe composto un piccolo libro di 5000 caratteri: il Tao-Tö-King («libro della via e della virtù») chiamato anche il Lao-Tse.

I libri sacri del taoismo. Oltre al Tao-Tö-King, di cui ignoriamo la data di composizione (forse il IV secolo a.C. ma gli eruditi non sono d'accordo su questo punto), due altri libri sono considerati fondamentali:

La dottrina

Tutti i paesaggi sono belli, solo l'uomo è vile. Il taoismo è all'inizio una filosofia scettica, e i taoisti sono spesso, nei primi tempi, eremiti, uomini che rifiutano la vita sociale. Certe massime di Yang-Chu o di Lao-Tse hanno un suono pessimista: perché vivere, se non si sa dove si va? Sembra che la ricerca dell'immortalità sia all'origine dell'alchimia taoista, di una ampiezza e di una complessità sconcertanti.

Il Tao è calmo come l'eternità stessa. L'io individuale relativo è disprezzabile; invece il Tao, cioè la totalità assoluta, la sostanza unica in cui tutto scorre, possiede una specie di «bontà» fondamentale e uno dei grandi principi del taoismo è di agire conformemente al Tao, conformemente alla natura, fino ad identificarsi nelle sue leggi. Come la filosofia stoica  il taoismo è un misticismo naturalista.

Wu-Wei. Poiché tutto, nella nostra esistenza, è relativo, un solo precetto è importante: «Non agire» (in cinese: Wu-Wei), ossia non fare niente che non sia secondo natura, al fine di penetrare i misteri di ordine naturale:

«In verità più si va lontano e meno si comprende: ecco perché il saggio sa
senza studiare, non fa niente, e tuttavia porta tutto a buon fine
» (Lao-Tse)

I primi testi taoisti lasciano trasparire tutti questo anarchismo filosofico molto diverso da quello dello yoga o dei guru moderni: il saggio, meditando sulla inesistenza delle cose, cerca di arrivare ad uno stato nirvanico, un certo statuto metafisico, mentre il seguace del taoismo vive la sua vita su di un piano concreto, ma con noncuranza. Nel ChuangTse, lo Spirito delle Nubi vuole guidare gli uomini e domanda a più riprese al Caos un consiglio; il Caosche va qua e là battendosi le cosce e saltellando come un uccello gli risponde ogni volta:

«pftt!... io mi diverto!... tuffati dunque nell'Oceano dell'esistenza,
libera il tuo spirito, diventa tranquillo come un oggetto inanimato!
»

Questo meraviglioso distacco non è durato. Il saggio taoista è divenuto cosciente del suo sapere e della sua importanza e ha cercato la potenza. Il primo dei «precettori celesti» fu Shang-Tao-Ling (I secolo a.C.) i cui discendenti ottennero dall'imperatore un vero feudo nel Kiang-Si (e lo possedettero fino al 1927), vero stato taoista racchiuso nell'Impero e dove si è sviluppata la setta chiamata Cheng-Yi (essa è ancora attiva a Formosa).

Così una delle dottrine più antistatali e anarchiche del pensiero orientale è diventata, con una svolta inattesa, una dottrina di governo e per di più feudale. Tuttavia essa ha largamente contribuito, per la forza delle sue concezioni relative all'autonomia individuale, a sviluppare nei cinesi l'individualismo e una certa «arte di vivere».

Pratiche

Nella sua rivalità con il buddismo e il confucianesimo, il taoismo ha utilizzato un vasto patrimonio mitico lasciato da parte da queste due dottrine: la magia. Tutti i sacerdoti taoisti (i taoshen ) espellono i demoni, fabbricano filtri ed elisir di lunga vita, praticano la veggenza e la divinazione. Alla base di questo occultismo sta l'opposizione di due forze nella natura: lo yang, principio maschile, e lo yin, principio femminile; il taoshen, con la sua conoscenza della proporzione ottimale dello yang e dello yin in un essere, può allora conferirgli una efficacia suprema.

Il taoismo insegna così che il mondo intero è sotto la dipendenza degli dei, in particolare di una trinità suprema, i «Tre Preziosi»; questa credenza si oppone al buddismo, religione atea che vede, nelle divinità, esseri inferiori ai Budda, cioè agli uomini che sono stati raggiunti dall'Illuminazione.

Filosofia cinese antica

Nella religione cinese antica non esiste una netta demarcazione tra pensiero filosofico e pensiero religioso: a differenza dei filosofi greci, lo studio e la ricerca dei problemi metafisici sono essenzialmente rivolti alla definizione di una morale sociale, della vita e dello stato.

Confucio

Confucio è il nome latinizzato di K'ung Fu-Tse (Maestro Kung), il più celebre dei filosofi cinesi; come per tutti i fondatori di religione, la tradizione ha abbellito la sua vita.

Le antiche leggende fanno risalire la nascita di Confucio al 551 a.C. nello stato di Lu, odierno Shantung, padre settantenne, e dicono che la madre, rimasta prematuramente vedova, lo allevò in condizione di ristrettezze economiche. Ricoprì diverse funzioni pubbliche, prima di abbandonare il suo paese con alcuni discepoli e iniziare un vagabondaggio nell'intero continente. Vecchio, tornato in patria, istituì una scuola e morì nel 479 a.C. circondato dai suoi discepoli.

Le sue idee, come quelle di Socrate, ci sono state trasmesse dai suoi discepoli. Il suo insegnamento comprendeva:

Formavano oggetto di studio presso la sua scuola anche i riti e le cerimonie pubbliche e private, il loro significato e la loro importanza, come si desume dal Li Ki , compilazione posteriore della sua scuola.

Confucio afferma di non voler insegnare niente di nuovo, ma solo trasmettere gli insegnamenti degli antichi. In questa sua attività, in effetti, egli integra e completa gli insegnamenti degli antichi con qualcosa di nuovo; non risolve i problemi religiosi, ma purifica la religione degli antichi cinesi e dà ai suoi concittadini un'idea semplice per guidarli sulla via dei doveri sociali. Secondo Confucio l'uomo nasce con una predisposizione al bene, sono i cattivi esempi ed i cattivi insegnamenti che gli trasmettono il male; occorre quindi una buona guida per giungere al bene seguendo gli esempi degli antichi. Ma gli antichi di Confucio sono piuttosto un'astrazione, sono cioè quelli che il filosofo immaginava che fossero riferendosi soltanto ai loro riti e credenze.

Si rimprovera una certa freddezza negli ideali di altruismo del filosofo, i cui insegnamenti non potevano essere capiti dalle classi subalterne non dotate di necessaria istruzione. La sua morale è certamente lontana dalla carità cristiana anche se le due religioni hanno in comune uno dei precetti fondamentali: «Non fare agli altri ciò che non vuoi sia fatto a te».

La dottrina

É un'arte di vivere, senza pretesti religiosi o metafisici.

Per essere felice, un uomo deve vivere in pace con sé stesso e coi suoi simili; per questo deve seguire la «via media», quella della moderazione che conduce alle virtù cardinali: pietà filiale, armonia affettiva familiare, equità, senso dell'onore, integrità, sincerità, cultura, pace universale.

Nel quadro di questa morale del giusto mezzo, si inscrive la prescrizione del culto degli antenati:

«Servire i morti come se essi fossero ancora vivi è la suprema pietà filiale»

dichiarava Confucio. Questo culto, non era nuovo in Cina e i relativi riti erano nel contempo il pagamento di un debito di riconoscenza verso gli antenati e verso la società che ne era il prodotto.

Confucio ammetteva d'altra parte l'esistenza di ciò che chiamava il Cielo (T'ien), conformemente alle credenze della religione popolare del suo tempo. Senza dubbio intendeva con ciò la natura, in quanto totalità assoluta delle cose, e forse una forza morale presente nell'Universo. Ma non vi è di più in Confucio: egli non si preoccupa di sapere da dove viene il mondo e quale possa essere il destino dell'uomo dopo la morte: Voi che non comprendete niente della vita, come potete comprendere la morte?.

La dottrina di Confucio è essenzialmente aristocratica, essa ha lo scopo di insegnare ai principi, ai nobili, agli studiosi, la gerarchia dei loro doveri, lo spirito di disciplina e sacrificio, che sono necessari per l'esercizio della funzione sociale loro affidata. Il popolo può seguire, anche senza capire, quanto gli viene proposto dall'aristocratico ed imitarne i riti necessari a raggiungere il bene.

Merito di Confucio e della sua dottrina è quello di aver dato un grande impulso alla religione cinese, allontanandola da credenze superstiziose e preparando il popolo a capire le dottrine filosofiche che si svilupparono nei secoli successivi.

Confucio, come il suo discepolo Mencio, credeva nella bontà di fondo dell'uomo e nella possibilità della instaurazione di uno stato stabile e felice, da dove sarebbero state bandite le guerre e l'ingiustizia.

La sorte del confucianesimo fu prodigiosa. Fino al 1905 in Cina si diventava mandarino, cioè alto funzionario, dopo aver superato un esame sui classici di Confucio; e, a partire dal 195 a.C. si rese a Confucio un culto quasi divino. Ancora nel XIX secolo, nei templi, la statua di Confucio troneggiava in una sala volta verso il nord, assieme alle statue dei «quattro discepoli» Yang-Hiung, Meng-Tse, Tchang-Tsai, Che-Tse.

Accanto a queste 5 statue fondamentali, vengono quelle dei «dodici saggi» (fra cui Shu-Fu-Tzu, che visse nel XII secolo), quelle degli antenati di Confucio e di un centinaio di letterati e di notabili confuciani.

Nel 1934 il maresciallo Chang Kai-shek, nel quadro della sua politica di restaurazione dei valori tradizionali, proclamò il 27 agosto, anniversario tradizionale della nascita di Confucio, festa nazionale della Cina. Nell'attuale Repubblica popolare cinese si è sviluppato un movimento di opposizione alla morale e alla dottrina di Confucio, i cui classici sono stati banditi.