Testo

Ebraismo

a cura della dott.sa Francesca Merlo

5. Le “Dieci parole” o “Dieci comandamenti”

Queste istruzioni hanno un prologo: Io sono il Signore tuo Dio, che ti ha fatto uscire dall’Egitto dove tu eri schiavo: prima di tutto Dio si presenta, ma non con una definizione astratta, bensì con un richiamo alla concretezza dell’esperienza. Prima di “dire” Dio ha fatto e il suo “fare” è stato una liberazione. Con questo spirito dunque si dovranno leggere le Dieci parole.

1. Non avrai altri dei di fronte a me. Non ti farai idolo né immagine alcuna… Non si tratta solo di non adorare gli dèi dei popoli vicini, è molto di più. Farsi un’immagine materiale comporta sempre anche un’immagine mentale, quello che noi chiamiamo un concetto: “Dio è questo”. Ma Dio è sempre al di là della mente dell’uomo, non sta in una specie di carta d’identità da tirar fuori al momento opportuno; e la fede è un rapporto, non un pacchetto di verità date, fisse. Farsi schemi mentali rigidi porta all’integralismo e questo non fa “vivere” un popolo.

2. Non pronuncerai invano il nome del Signore… Non strumentalizzare il nome di Dio adoperandolo in-vano cioè nel vuoto, dove non c’è. Guerre, punizioni, minacce e ricatti fatti in nome della religione (nella grande come nella piccola storia, anche familiare) trascinano Dio dove in realtà è l’uomo che vuole andare; i potenti che usurpano il nome di Dio per imporsi, in realtà non rispettano né Dio né l’uomo.

3. Ricordati del giorno di sabato per santificarlo… Si santifica il sabato con l’astensione dal lavoro che viene estesa anche ai sottoposti - familiari, schiavi, forestieri e lo stesso bestiame - per ricordare che l’uomo è più delle cose e dei beni materiali; sciogliendolo dalla fatica almeno per un giorno su sette, si lascia emergere che l’uomo è soffio divino, viene da Dio. In Esodo la motivazione è espressa così: fa’ come Dio che si è riposato nel settimo giorno, dopo la creazione. In Deuteronomio questo “fare come Dio” riporta l’Israelita alla liberazione dalla schiavitù dell’Egitto: Dio ha liberato i tuoi padri, tu nel giorno di sabato attualizza questa liberazione e falla giungere nel presente, a chi ti è vicino.

4. Onora tuo padre e tua madre o, più esattamente, “dà il giusto peso” (kabod) ai genitori nelle varie situazioni ed età della vita: da giovane li obbedirai, in età matura non li abbandonerai, vecchi e nel bisogno. Tener conto degli anziani, ascoltarne la sapienza aiuta un popolo a “vivere”.

5. Non uccidere; la norma è volta specificamente a difendere il debole, in una civiltà dove non esisteva il diritto moderno per cui i forestieri, gli orfani e le vedove, non potendo contare sulla famiglia o sulla tribù che li avrebbe vendicati, erano in balia di ogni prepotente. Come a dire: se non sarà la paura dell’appartenenza tribale a fare da deterrente, sappi che l’indifeso è parte della famiglia stessa di Dio.

6. Non commettere adulterio: rivolto alla donna sposata, alla quale era proibito qualsiasi rapporto fuori dal matrimonio.

7. Non rubare: si riferisce primariamente al furto della persona. Il comando nasce in età di nomadismo, quando l’unico bene posseduto era la propria persona; il rapimento e la riduzione in schiavitù erano piuttosto frequenti. Successivamente e per estensione il comando interessò anche i beni, in quanto possibilità di avere sussistenza e dignità personali. Questa norma non è né a favore né contro la proprietà privata, ma intende garantire quel bene intangibile e irrinunciabile che è la propria persona; “la libertà non dev’essere condizionata da circostanze che la diminuiscano”.

8. Non pronunciare falsa testimonianza: la legge ebraica richiedeva che in ogni processo ci fossero almeno due testimoni e la sentenza, praticamente, dipendeva dalla loro deposizione. Anche a quel tempo però i testimoni potevano essere comprati. Ne veniva minata così anche la fiducia che si poteva avere nella giustizia, nell’autorità.

9. (Esodo): Non desiderare la casa del tuo prossimo: non desiderare la moglie del tuo prossimo, né il suo schiavo, né la sua schiava, né il suo bue, né il suo asino, né alcuna cosa che appartenga al tuo prossimo. È proibito “desiderare” (ossia concretamente progettare) per avere indebitamente i beni di un altro; questi beni vengono elencati e al primo posto vi è la moglie, come un bene che fa parte della “casa”.
In Deuteronomio si registra un’evoluzione del costume per cui la donna viene citata a parte. Il 9° comandamento di Esodo qui si trova suddiviso in due, il 9° e il 10°:

9. (Deuteronomio): Non desiderare la moglie del tuo prossimo: è rivolto all’uomo, cui è proibito l’adulterio; egli poteva avere più mogli e concubine (poteva andare dalla prostituta, sebbene questo fosse considerato un male); non poteva però insidiare la moglie di un altro.

10. (Deuteronomio): Non desiderare la casa del tuo prossimo, né il suo campo, né il suo schiavo, né la sua schiava, né il suo bue, né il suo asino, né alcuna cosa che appartenga al tuo prossimo.
Rimane la proibizione di “desiderare” i beni di un altro.

Nell’insieme, queste istruzioni non sono che un esplicitare quello che per l’israelita è la fonte di tutti i comandamenti: l’ascolto di Dio nella storia (amore di Dio) e l’amore del prossimo.
Nel libro del Deuteronomio leggiamo: “Ascolta, Israele: il Signore è il nostro Dio, il Signore è uno solo. Amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutta la forza” (Dt 6, 4-5).
E nel libro del Levitico, dopo una serie di precetti relativi alla condotta verso il prossimo, si conclude: “Non ti vendicherai e non serberai rancore contro i figli del tuo popolo, ma amerai il tuo prossimo come te stesso” (Lv 19, 18).

Quello che noi diciamo “prossimo” traduce rea’ cioè “gli altri”: coloro che incontri o ti sono vicini, ma non fanno parte della tua parentela. C’è in questo vocabolo un’apertura universalistica anche se a volte, in alcuni testi (soprattutto Levitico e Deuteronomio) e successivamente, nelle interpretazioni giudaiche, è forte la spinta a restringere la cerchia dei prossimi ai soli “fratelli” israeliti.

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