Entrano Pistetero ed Evelpide, portando rispettivamente una cornacchia e un gracchio.
(Al gracchio)
Dritto dici di andare, dove si vede quell'albero?
(Alla cornacchia)
In malora!
(A Evelpide)
Questa invece gracchia che bisogna tornare indietro.
Disgraziato, perché vagabondiamo su e giù? Continuando così ci rimetteremo la pelle, e senza frutto.
Povero me, che do retta a una cornacchia, e mi trovo a percorrere una strada che non finisce mai!
Povero me, che do retta a un gracchio, e mi trovo ridotte in polvere le unghie dei piedi!
Ora poi non so più dove siamo.
Di qua, sapresti ritrovare la nostra patria?
Di qua, non ne sarebbe capace neppure Esecestide.
Ahi!
Coraggio, prendi questa strada.
Bel lavoro ha combinato il venditore di uccelli, quel pazzo di Filocrate: ci assicura che questi due ci avrebbero indicato Tereo, l'upupa, l'uomo che diventò uccello; e ci vende per un obolo un gracchio piccino come un figlio di Tarralide, e la cornacchia per tre oboli. Invece non sanno far altro che beccare.
(Al gracchio)
Che fai là a bocca aperta? Ci vuoi portare di nuovo in mezzo alle rocce? Non c'è strada da questa parte.
Neanche un sentiero.
Ma la cornacchia? Sta dicendo qualcosa sulla strada?
Certo, gracchia diversamente da prima.
Ma della strada, che dice?
Dice...che mi sta beccando le dita, e se le mangia.
Ma non è assurdo che noi, che vogliamo andare...a quel paese, e abbiamo tutto pronto, non riusciamo poi a trovare la strada? Noi, cari spettatori, soffriamo di un male opposto a quello di Saca. Lui, che non è cittadino, lo vuole diventare per forza; noi che siamo cittadini di diritto, membri di una famiglia e di una tribù, senza che nessuno ci butti fuori siamo scappati via con le ali ai piedi. Non odiamo la nostra città, non neghiamo che sia grande e felice, e uguale per tutti nel riscuotere multe. Ma le cicale cantano sui rami un mese o due; gli Ateniesi cantano per tu tta la vita nei tribunali. Perciònoi percorriamo questo cammino e forniti di pentola, di canestro, di rami di mirto, cerchiamo un posto tranquillo dove stabilirci per vivere. Ora stiamo andando da Tereo per sapere se lui, nei suoi voli, ha mai visto una città del genere.
Senti!
Che c'è?
È un po' che la cornacchia indica qualcosa, in alto.
E il gracchio pure sta là col becco aperto come accennando in su qualcosa. Qui ci sono uccelli, senza dubbio. Se si fa un
po' di rumore, lo sapremo subito.
Sai cosa dovresti fare? Sbatti la gamba contro la roccia.
E tu la testa, così il rumore sarà doppio.
Coraggio, bussa con questa pietra.
Va bene. Ragazzo!
Che dici? Chiami ragazzo l'upupa? Chiamala piuttosto col suo verso.
Va bene; batterò un'altra volta.
(Fa il verso dell'upupa; esce il servo).
Chi è? Chi chiama il mio padrone?
Per Apollo, che becco spaventoso!
Povero me, ecco due cacciatori.
Hai paura? Senti, è meglio che ci spieghiamo.
Andate all'inferno.
Ma non siamo uomini.
E chi siete?
Io sono Tremarello, uccello libico.
Sciocchezze!
Guarda un po' cosa c'è ai miei piedi.
E questo che uccello è, vuoi dirmelo?
Il Cacasotto, della famiglia dei fagiani.
Ma tu, per gli dèi, che razza di bestia sei?
Un uccello schiavo.
Sei stato vinto in un combattimento di galli?
No, ma quando il mio padrone è diventato un'upupa, mi ha pregato di diventare un uccello anch'io, per avere un servitore.
E ha bisogno di un servitore, un uccello?
Lui sì; perché una volta era un uomo. Se ha voglia di mangiare acciughe del Falero, io prendo un piatto e corro a prendere le acciughe. Se ha voglia di un passato, e gli serve cucchiaio e pentola, io corro a prendere il cucchiaio.
Questo qui è un uccello corridore. Sai che dovresti fare? Vacci a chiamare il tuo padrone.
Ma è poco che si è addormentato, dopo un pasto di moscerini e di mirto.
Sveglialo lo stesso.
S'arrabbierà, lo so benissimo; ma per voi andrò a svegliarlo.
(Esce)
(All'indirizzo del servo dell'upupa)
Ti pigli un accidente! Mi hai fatto morire di terrore.
Povero me! Anche il gracchio è scappato, per paura.
Vigliacchissima bestia, tu l'hai fatto scappare, per paura.
E tu non hai fatto scappare la cornacchia, cadendo?
Io no.
Dov'è, allora?
È volata via.
Già, non l'hai fatta scappare tu. Come sei coraggioso!
Apri la selva: devo uscire.
Entra l'Upupa.
Per Eracle, che bestia è questa, con le piume e tre pennacchi?
Chi mi cerca?
I dodici dèi ti hanno mal ridotto, mi pare.
Mi schernite per via delle penne? Sappiate, stranieri, che una volta ero un uomo.
Non ridiamo di te.
E di che allora?
È il tuo becco che ci sembra ridicolo.
È colpa di Sofocle, che mi ha conciato così nelle sue tragedie. Sono Tereo.
Tereo? Ma sei un uccello o un pavone?
Un uccello.
E le ali?
Sono cadute.
Per qualche malattia?
No, d'inverno tutti gli uccelli perdono le piume e poi le rimettono nuove. Ma voi piuttosto chi siete?
Noi? Uomini.
Qual è il vostro paese?
La città dalle belle triremi.
Giudici, allora?
Tutto il contrario: anti-giudici.
Non se n'è persa la razza?
Cercando bene ne puoi trovare qualcuno, in campagna.
Che siete venuti a fare qui?
Vogliamo parlare con te.
Perché?
Primo, perché eri un uomo come noi, un tempo; facevi debiti come noi, un tempo; cercavi di non pagarli come noi, un tempo. Poi, presa forma d'uccello, volavi intorno per terra e cielo; e ora possiedi l'esperienza di uomo e quella di uccello, insieme. Siamo venuti da te, supplici, se potessi indicarci una città morbida, dove si possa sdraiarcisi sopra, come una pelliccia.
Cerchi una città maggiore di Atene?
Maggiore no, ma più adatta a noi.
Allora vuoi un paese aristocratico.
Neanche per idea: Aristocrate, il figlio di Scellia, non lo posso patire.
Qual è allora la tua città ideale?
Dove le preoccupazioni maggiori sono queste: la mattina un amico bussa alla mia porta e mi dice: «Per Zeus Olimpio, vieni da me oggi, dopo il bagno, coi bambini: do un pranzo di nozze. Non mancare: altrimenti non farti poi vedere quando mi trovo nei guai».
Eh già, vai in cerca di disgrazie grosse.
(A Pistetero)
E tu?
Mi va bene questo.
Cosa?
Un posto dove mi viene incontro il padre di un bel ragazzo e mi rinfaccia il torto che gli ho fatto: «Ma bravo Stilbonide! Trovi mio figlio che esce dalla palestra dopo il bagno, e non gli rivolgi la parola, non lo baci, non lo abbracci, non gli tocchi le palle...Eppure sei bene un amico di famiglia!».
Poverino anche tu, vai in cerca di guai. C'è una città felice, come voi dite: ma sta sul Mar Rosso.
No, sul mare non va bene. Non si sa mai che un giorno spunti la Salaminia con a bordo l'usciere. Non puoi indicarci una città greca?
Che ne direste di andare a Leprea, in Elide?
Mi fa schifo già prima di vederla, per via di Melanzio.
C'è anche la Locride Opunzia; potreste stabilirvi là.
Non mi farei Opunzio neanche per un talento d'oro. Piuttosto, che vita si fa tra voi uccelli? Dovresti saperlo bene.
Non brutta, a farci l'abitudine. Si vive senza borsa, prima di tutto.
E con questo hai tolto un bell'impiccio.
Ci nutriamo nei giardini di sesamo bianco, di mirto, papaveri e menta.
Una vita da sposi.
Ecco, vedo un grande disegno per la stirpe degli uccelli, una grande potenza, se mi date retta.
In che?
In che? Innanzitutto, non andate in giro da ogni parte col becco aperto: è una cosa poco bella. Se tra gli uomini chiedi di qualcuno che sfarfalla: «Che uccello è questo»? ecco Telea che risponde: «È un uomo uccello, instabile, svolazzante, infido, mai fermo nello stesso posto».
Il tuo rimprovero è giusto, ma che possiamo fare?
Fondate una città.
E che razza di città potremmo fondare noi uccelli?
Davvero? Hai detto parole dementi. Guarda giù.
Sto guardando.
Ora guarda in alto.
Sto guardando.
Gira il collo.
Perdio, ci guadagnerò molto, a farmi venire il torcicollo.
Hai visto nulla?
Nuvole e cielo.
E il cielo non è il polo degli uccelli?
Come?
Sarebbe come dire, il loro posto. Ma poiché gira attorno, e dentro ad esso tutto si muove, si chiama polo. Ma una volta che l'abbiate abitato e fortificato, avrete non più un polo, ma uno spazio politico. E avrete potere sugli uomini come sulle cavallette e farete morire gli dèi di fame, come gli abitanti di Melo.
In che modo?
Tra gli dèi e la terra c'è l'aria in mezzo. E come noi, quando vogliamo andare a Delfi, chiediamo il passaggio ai Beoti, così quando gli uomini faranno sacrifici agli dèi, se gli dèi non vi pagano tributo, non lascerete passare il fumo dell'arrosto.
Evviva! Per la terra, le tagliole, le ragne, le reti, non hai mai sentito disegno più acuto. Voglio fondarla con te, questa città, se gli altri uccelli sono d'accordo.
Chi potrebbe spiegargliela, questa faccenda?
Tu stesso. Io sono stato lungo tempo con loro, e, per quanto siano barbari, gli ho insegnato a parlare.
Puoi chiamarli qui?
Facilissimo. Entro nella macchia, sveglio l'usignuola e li chiamiamo insieme. Appena sentono la nostra voce, arrivano di corsa.
Allora, uccello carissimo, non indugiare; entra subito nella macchia, ti prego, sveglia l'usignuola.
(L'upupa esce di scena)
(Da dentro)
Suvvia, mia compagna, lascia il sonno; sciogli l'armonia degli inni divini che piangi dalla bocca stupenda sul tuo, sul mio Iti molto compianto, modulando nella gola acuta limpidi suoni. L'eco attraverso le fronde di smilace arriva pura al trono di Zeus, dove Apollo dall'aurea chioma risponde ai tuoi lamenti con la cetra ornata d'avorio, e guida le danze degli dèi. Dalle bocche immortali il sacro gemito dei beati risuona in accordo col tuo.
Si sente il canto dell'usignuolo.
Per Zeus, che voce ha l'uccellino. Ha reso dolce tutta la foresta.
Ssss...
Che c'è?
Vuoi starti zitto?
Perché?
L'upupa si appresta di nuovo a cantare.
Popoi popoi; venite qui, compagni alati; quanti abitate le fertili campagne, innumerevoli stirpi che vi cibate d'orzo e di sementi, dal rapido volo, dalla morbida voce. Quanti vi affollate a cinguettare sulle zolle con suono soave, tio tio tio, quanti nei giardini vi posate sui rami d'edera, quanti sui monti mangiate olive e corbezzoli; volate qui di corsa al mio richiamo. Trioto, trioto, totobrix. Quanti nelle valli paludose vi nutrite di stridule zanzare, quanti avete per casa le terre rugiadose e il fiorente piano di Maratona. Uccelli dall'ali variegate, francolini, francolini, e voi che sull'onde del mare volate assieme agli alcioni, venite, venite a sentire la grande novità. Qui chiamiamo a raccolta tutti gli uccelli dal lungo collo: è arrivato un vecchio ingegnoso con un piano inaudito, e pronto a osare imprese inaudite. Venite qui tutti a consiglio, torototix, chiccabau, chiccabau, torotorolilix.
(Rientra in scena)
Vedi qualche uccello?
No, per Apollo. Eppure guardo in cielo, a bocca aperta.
Non è servito dunque che l'upupa entrasse nella macchia a gemere, imitando il piviere.
Torotix.
Ecco un uccello che arriva.
È vero. Ma che uccello è? Un pavone, forse?
Ce lo dirà l'upupa.
(All'upupa)
Che uccello è questo?
Non è dei soliti che vedete sempre; questo è un uccello di palude.
Com'è bello, scarlatto!
Per forza: si chiama fenicottero, uccello dalle ali scarlatte.
(A Pistetero)
Ascolta: dico a te.
Perché strilli?
C'è un altro uccello.
Già; un altro uccello; e anche questo «viene di lontano». Chi è quest'uccello montano, questo strano cantore?
Il suo nome è Medo.
Medo? Per Eracle; come fa un Medo ad essere arrivato qui senza cammello?
Ed ecco un altro uccello col pennacchio.
Strano: c'è un'altra upupa, oltre a te?
È il figlio di Filocle, figlio a sua volta dell'upupa; insomma io sono suo nonno, come chi dicesse Ipponico, figlio di Callia, figlio a sua volta di Ipponico.
Allora quest'uccello è Callia? Come ha perso le penne!
È un animo nobile: si è fatto spennare dai sicofanti; ma anche le donne hanno contribuito a strappargliele.
Per Poseidone, ecco un altro uccello dipinto. Come si chiama?
Il ghiottone.
C'è un altro ghiottone, come non bastasse Cleonimo?
Ma se è come Cleonimo, perché non ha gettato via il pennacchio?
Che significano tutte queste creste d'uccelli? Sono venuti per fare la corsa?
Tengono le creste per ragioni di sicurezza, come i Cari.
(Entra il Coro)
Ma guarda, che incredibile accolta di uccelli!
Signore Apollo, è una nuvola: non si vede neppure più l'entrata, in mezzo allo sbattere d'ali.
Ecco la pernice.
Il francolino.
La querquedula.
L'alcione. Ma dietro all'alcione, chi c'è?
Il barb...
È un uccello il barbiere?
Già, non è Sporgilo?
Ecco la nottola.
Che dici? Portar nottole ad Atene!
La gazza, la tortora, l'allodola, l'elea, l'ipotimide, la colomba, il nerto, lo sparviero, il palombo, il cuculo, il capirosso, il piedirosso, il porfirione, il gheppio, lo smergo, l'ampelide, l'aquila marina, il picchio.
Quanti uccelli!
Quanti merli!
Come cinguettano, come strillano correndo!
Ma, ce l'hanno con noi, per caso?
Ahimè, hanno il becco aperto e guardano proprio verso di noi.
Sembra anche a me.
Chi-chi-chi-chi m'ha chiamato? Dove sta?
Eccomi: sono qui che vi aspetto, e non abbandono gli amici.
Che-che-che vuoi dirmi di bello?
Una cosa di comune interesse: sicura, giusta, utile, piacevole. Sono arrivati due uomini, due sottili ragionatori...
Dove? Come? Che dici?
Dico che sono arrivati due uomini, due vecchi, portando con sé le basi di un'impresa gigantesca.
Che dici, tu che hai combinato il maggior guaio che abbia visto da quando sono nato?
Non aver paura.
Che hai fatto?
Ho accolto due uomini, che amavano la nostra compagnia.
Hai fatto questo?
E ne sono pure contento.
Sono già tra noi?
Come lo sono io.
str.
Siamo traditi, ahimè; abbiamo subito un'empia offesa. Il nostro amico, che insieme a noi mangiava lo stesso cibo nei campi, ha violato le leggi antiche e i giuramenti degli uccelli. Ci ha attirati in una trappola e consegnati a una stirpe malvagia che da sempre ci è stata ostile.
Ma con lui faremo i conti dopo. Ora questi vecchi devono scontare il loro delitto; li sbraneremo.
Siamo spacciati.
Tu sei responsabile di tutto questo, tu solo. Perché mi hai portato qui?
Per avere compagnia.
No, perché io avessi da piangere.
Ecco una bella sciocchezza; come farai a piangere, se ti strappano gli occhi?
ant.
Addosso, addosso, all'assalto, portiamo un attacco nemico, mortale! Spieghiamo le ali dappertutto, circondiamoli.
Avranno dei guai, tutti e due; diventeranno cibo per il nostro becco. Né monte ombroso, né nuvola celeste, né mare spumeggiante li potranno salvare dal nostro inseguimento.
Ma non indugiamo più a spennarli, a beccarli. Dov'è il comandante? Faccia avanzare l'ala destra.
Ci siamo. Povero me; dove scappo?
Vuoi star fermo?
Già, per essere sbranato.
E come pensi di scappare?
Non lo so.
Te lo dico io: restiamo fermi e combattiamo con le nostre pentole.
E a che ci serve la pentola?
Beh, la civetta non si avvicinerà.
E questi con gli artigli?
Prendi lo spiedo e piantalo davanti a te.
E per gli occhi, come si fa?
Mettici a riparo una salsiera o un piatto. Sono là dentro.
Bravissimo, hai avuto una pensata da stratega. Per stratagemmi, ormai, sei meglio di Nicia.
Su, all'assalto, becco in resta, non bisogna aspettare. Tirate, spennate, battete, scuoiate. E per prima cosa rompete la pentola.
Bestie scelleratissime, perché volete uccidere, fare a pezzi questi uomini che non vi hanno fatto niente di male, e per di più sono parenti di mia moglie, e appartengono alla sua tribù?
Non c'è ragione di risparmiarli più dei lupi. Chi dovremo colpire allora, che ci sia nemico più di questi?
Per natura sono nemici, è vero, ma amici nell'animo. E sono qui per insegnarci qualcosa di utile.
Come faranno a insegnarci, a spiegarci qualcosa di utile questi, che già erano in guerra coi nostri avi?
Molte cose i saggi apprendono proprio dai nemici. La cautela, che è la migliore arma di salvezza, non l'impari da un amico, ma il nemico te l'insegna alla svelta. Dai nemici e non dagli amici le città hanno appreso a costruire alte mura e ad allestire le navi da guerra. E questo insegnamento ha salvato la casa, i figli, le sostanze.
Mi pare utile sentire prima il loro discorso: anche dai nemici si possono apprendere saggi consigli.
(A parte)
Sembrano allentare la loro furia. Arretriamo passo passo.
È giusto: dovete darmi atto di questo merito.
Ma non ti abbiamo mai ostacolato in niente!
(A Evelpide)
Ora vogliono fare la pace: deponi piatti e pentole; prendiamo la lancia (lo spiedo, voglio dire) e facciamo la ronda nel campo sorvegliando tutt'intorno la nostra posizione avanzata, la pentola. Non dobbiamo scappare.
Ma se morremo, dove verremo seppelliti?
Ci accoglierà il Ceramico; e per avere funerali pubblici diremo agli strateghi che siamo caduti combattendo in battaglia sull'Uccellina.
Tornate ai vostri posti, e ciascuno si curvi a deporre, come gli opliti,...l'ira e il coraggio. Sentiamo da costoro chi sono, da dove vengono e con quali intenzioni.
Upupa, voglio parlare con te.
Che vuoi sapere?
Chi sono costoro e da dove vengono?
Sono stranieri, abitano nella Grecia astuta.
E quale caso li ha portati tra noi, tra gli uccelli?
L'amore della vostra vita, la volontà di stare con voi, di stare qui sempre.
Che dici? E lo scopo di questo?
Una cosa incredibile, inaudita.
Ma che vantaggio credono di avere a fermarsi qui? Hanno fiducia di giovare così agli amici, o di battere i nemici?
Parla di una felicità grandissima, ineffabile, incredibile. Ci vuol convincere che tutto è vostro, qui, là; dappertutto.
È matto?
È in senno più che mai.
Ma il cervello, ce l'ha?
È una volpe: ha fior d'ingegno, astuzia, abilità...
Digli, digli di parlare: a sentire le tue parole, già mi sento levare in volo.
(A due servi)
Tu e tu, riprendete quell'armatura e appendetela al camino presso il treppiede, con auguri di buona fortuna.
(a Pistetero)
E tu spiega, di' loro per quale ragione li ho riuniti in assemblea.
No certo, per Apollo, a meno che non facciano con me lo stesso patto che fece l'armaiolo, quello scimmione, con sua moglie: non mordere, non tirarmi i coglioni, non sfondarmi...
Il...
Ma no, gli occhi.
D'accordo.
Giura.
Giuro, a patto che tutti i giudici e gli spettatori mi attribuiscano concordi la vittoria.
Va bene.
E se manco al giuramento, possa vincere con un voto solo di maggioranza.
Ascoltate tutti: gli opliti raccolgano le armi e tornino a casa. Daremo ulteriori istruzioni con gli avvisi: li tengano
d'occhio.
str.
Un animale ingannevole, sempre e a ogni modo, è l'uomo. Ma pure, parla: può darsi che tu riveli qualcosa di buono che è in noi, o una possibilità troppo grande per la mia mente ottusa. Di' a tutti quello che pensi, in pubblico: perché di tutti sarà il beneficio che credi di poter procurarci.
Ora parla: per quale ragione sei venuto tra noi? Di quale progetto vuoi convincerci? Abbi fiducia: non saremo noi a violare il patto per primi.
Ho proprio voglia di dirvelo: già il discorso è stato preparato, e ora sarà impastato. Ragazzo, porta la corona, e anche l'acqua per le mani. Presto!
Si va a pranzo?
È tanto tempo che voglio dire qualcosa, una parola grande, che colpisca il loro animo.
(Rivolgendosi agli uccelli)
Sono addolorato per voi, che una volta eravate re...
Noi? E di che cosa?
Di tutto ciò che esiste, di me, di lui, di Zeus. Voi siete più antichi di Crono, e dei Titani e della Terra.
Anche della Terra?
Sì, per Apollo.
Per Zeus, questa proprio non la sapevo.
Perché sei un ignorante, e non hai voglia di darti da fare: non hai studiato Esopo, che dice come l'allodola sia l'uccello nato prima di ogni altra cosa, prima della terra; quando le morì il padre di malattia, la terra ancora non c'era e così per cinque giorni il cadavere rimase esposto. Disperata, non sapendo che fare, lo seppellì nella sua scatola cefalica.
A Cefale è sepolto dunque il padre dell'allodola.
Se dunque gli uccelli sono nati prima della terra e degli dèi, e sono più antichi di tutti, non spetta loro giustamente il regno?
Sì, per Apollo: però sarà meglio che tu ti faccia crescere il becco. Non credo che Zeus avrà fretta di restituire il trono al picchio.
Non gli dèi dunque una volta avevano potere sugli uomini, ma gli uccelli, ed erano re. Di ciò sono rimasti molti segni.
Prima di tutto, il gallo: nei tempi antichi era il re dei Medi, assai prima di Dario e di Megabazo: tant'è vero che per il suo antico impero ancora lo si chiama uccello persiano.
Perciò ancora incede come il gran re e solo tra gli uccelli porta in testa, ritta, la tiara.
Ed aveva tanta autorità, era così grande e potente che anche ora, in forza della medesima autorità, basta che canti la mattinata, e tutti balzano in piedi e vanno al lavoro: fabbri, vasai, conciatori, calzolai, bagnini, mugnai, fabbricanti di cetre e di scudi...Tutti si mettono le scarpe e via, quando ancora è notte.
A me lo dici! Per colpa sua, ci ho rimesso un mantello di lana frigia. Una volta che ero stato invitato alla festa per la nascita di un bambino, avevo bevuto in città e mi ero addormentato quando ecco che lui, prima ancora di cena, si mette a cantare. Io credo che sia l'alba e mi metto in strada per Alimunte; appena uscito dalle mura un brigante mi dà una bastonata sulla schiena: casco a terra e prima di gridare aiuto, quello mi strappa il mantello di dosso.
Nello stesso tempo, il nibbio era re, e signore dei Greci.
Dei Greci?
Sì, e come re ha insegnato loro a inchinarsi ai nibbi.
Per Dioniso, una volta, vedendo un nibbio, sono rotolato per terra e mi sono ritrovato supino, con la bocca aperta: così ho ingoiato un obolo e sono tornato a casa senza soldi.
Il cuculo poi era re dell'Egitto e di tutta la Fenicia e quando faceva cucù, tutti i Fenici andavano al campo, a raccogliere fave.
Già; ecco perché si dice: su, gente arrapata, sotto con la fava!
E tanto potere avevano sulle città greche che accanto ai re, i vari Agamennone e Menelao, sul loro scettro stava un uccello che si pigliava parte dei doni portati ai re.
Oh, non lo sapevo; e perciò mi stupivo quando a teatro entrava Priamo con un uccello in mano. E quello stava a sorvegliare le bustarelle intascate da Lisicrate.
Ma ciò che più importa è che Zeus, il re di ora, sulla testa tiene un'aquila; sua figlia una civetta, e Apollo, suo ministro, un avvoltoio.
È vero, per Demetra; ma perché mai li tengono?
Perché nei sacrifici, quando secondo l'uso nelle mani degli dèi vengono messe le viscere, gli uccelli se le piglino prima di Zeus. E a quei tempi nessun uomo giurava sugli dèi, ma tutti sugli uccelli.
Lampone ancora giura sul pollo, quando vuole imbrogliare qualcuno.
Una volta dunque vi onoravano e vi rispettavano tutti; ora invece vi tengono in conto di servi sciocchi, e vi tirano sassi come ai matti. Perfino nei templi gli uccellatori mettono contro di voi lacci, trappole, panie, cappi, ragne, reti, tagliole.
E così vi prendono in massa e vi vendono, e altri uomini vi tastano e vi comprano. E come a loro piace vi imbandiscono arrostiti con formaggio grattato, olio, silfio, aceto, e fatta una salsa dolce e grassa la spalmano calda calda sui vostri cadaveri.
ant.
Parole tremende, terribili, uomo, ci hai detto. Piango la viltà dei miei padri, che non ci hanno trasmesso gli onori ereditati dagli avi. Ma tu, per buona sorte e per volere di un dio, vieni a salvarci. A te affido me stesso e i miei piccoli e qui mi stabilisco.
Dicci cosa dobbiamo fare: per noi non vale più la pena di vivere se in qualche modo non riusciamo a recuperare l'impero che avevamo un tempo.
Per prima cosa io dico che ci deve essere una città degli uccelli, e tutto il cielo in giro e tutto lo spazio vuoto bisogna recingerli con mura di cotto come Babilonia.
O Cebrione, o Porfirione, che terribile città
Poi, una volta costruita la città, si rivendicherà da Zeus l'impero. Se dice di no, e non si ravvede prontamente, proclameremo contro di lui la guerra santa, e proibiremo agli dèi di passare per la nostra terra, per andare a sedurre - tutti arrapati - le varie Alopi, Semele ed Alcmene. E se vengono lo stesso, gli va messo un sigillo sul cazzo, in modo che non se le possano più fottere.
Manderemo poi un uccello-araldo agli uomini, per informarli che d'ora in avanti dovranno sacrificare ai nuovi dèi, gli uccelli, e solo in subordine agli dèi. E bisognerà accoppiare convenientemente a ogni dio l'uccello che più gli si adatta.
Se si sacrifica ad Afrodite, sacrificare orzo alla passera, se si offre una pecora a Poseidone, offrire grano all'anatra; se il sacrificio è ad Eracle, al gabbiano spetteranno focacce col miele; e se a Zeus re viene immolato un montone, bene, re è anche il colibrì, e prima che a Zeus gli andrà immolato un moscerino, ma con due palle!
Bella, quest'idea del moscerino. E quanto a Zeus, lasciatelo tuonare!
Ma gli uomini come faranno, a crederci dèi e non gracchi? Abbiamo pure le ali, e voliamo!
Sciocco: il dio Ermes ha le ali e vola, e come lui molti altri. Vola la Vittoria con le ali d'oro, ed Eros pure: Omero rassomiglia Iride a una «trepida colomba».
A proposito di ali, Zeus tonante non ci scaglierà addosso il fulmine, che pure è alato?
E se gli uomini, ignoranti, non ci considerano, e continuano ad adorare gli Olimpi?
Allora si leverà un nugolo di passeri e cornacchie per beccare dai campi tutte le sementi; poi, quando avranno fame, ci pensi Demetra a fargli le razioni di grano.
Vedrai che non ne vorrà sapere, e troverà qualche scusa.
E, per prova, i corvi strapperanno gli occhi ai buoi, coi quali arano la terra, e anche alle pecore. Poi li curi Apollo, che è medico, ma si fa pagare caro!
Ti prego, non prima che io abbia venduto la mia coppia di buoi.
Se invece in voi vedranno il dio, la vita, la Terra, Crono, Poseidone, avranno tutti i beni del mondo.
Dimmene uno.
Anzitutto le cavallette non distruggeranno più i germogli di vite; basterà uno stormo di civette e di gheppi a sterminarle.
Non più bruchi e mosconi divoreranno le piante di fico; basterà una squadra di tordi a farli fuori fino all'ultimo.
Ma come faremo ad arricchirli? È quello che vogliono più di tutto.
Se richiesti di vaticinio, gli uccelli indicheranno attraverso gli indovini le miniere buone e i commerci vantaggiosi; così nessun armatore fallirà più.
Come mai?
Qualche uccello fornirà gli auspici sulla navigazione. «Ora non navigare: ci sarà tempesta»; «ora mettiti in mare: ci sarà profitto».
Allora non resto più con voi, prendo una nave e mi metto in mare.
E poi gli mostreranno i tesori nascosti dagli antenati. Loro li conoscono. Sai che tutti dicono: «Nessuno sa dov'è il mio tesoro, tranne qualche uccello, forse».
Allora vendo la nave, compro una zappa e mi metto a scavare anfore.
Ma come faremo a concedere agli uomini la salute, che sta presso gli dèi?
Se le cose gli vanno bene, non ti pare salute, questa?
Certo di nessuno si può dire che stia bene, se le cose gli vanno di traverso.
Ma alla vecchiaia come ci arriveranno? Anche questa sta sull'Olimpo. O dovranno morire bambini?
Scherzi? Gli uccelli aggiungeranno loro trecento anni di vita.
E da dove li pigliano?
Da sé: «cinque generazioni di uomini vive gracchiando la cornacchia», non lo sai?
Ohibò; come re questi ci convengono molto più di Zeus.
Molto di più, non è vero? Non dovremo costruire per loro templi di pietra, né munirli di porte dorate. Staranno sui cespugli e sui lecci; per i più illustri tra loro, il tempio sarà un ulivo. E non dovremo andare fino a Delfi o all'oasi di Ammone per sacrificare, ma stando in piedi tra corbezzoli ed oleastri, offriremo orzo e frumento, tendendo le mani e pregandoli di darci la nostra parte di bene. E l'avremo subito, solo gettando un po' di grano.
O tu, che una volta odiosissimo sei ora diventato per me il più caro dei vecchi, non sarà mai che di mia volontà io trasgredisca il tuo consiglio. Godo alle tue parole; giuro e minaccio: se tu che con noi hai stretto patti giusti, santi, leali, concordi, muovi contro gli dèi in accordo con noi, non molto tempo ancora gli dèi terranno il nostro scettro.
E per quanto bisogna agire, ce ne occupiamo noi, ma dove bisogna pensare, sta tutto in te.
Non è più tempo di dormire, o di temporeggiare come Nicia; bisogna far qualcosa subito. Venite qui, nel mio nido, tra le paglie e i fuscelli, e dite il vostro nome.
Volentieri; io mi chiamo Pistetero e il mio compagno Evelpide di Crioa.
Benvenuti ambedue.
Grazie.
Venite dentro.
Sì, ma guidaci tu.
Vieni.
Aspetta, bisogna fare un passo indietro. Come faremo a vivere con voi che avete le ali, noi che non sappiamo volare?
È facile.
Bada però a quello che racconta Esopo in una favola, come la volpe strinse un'infelice alleanza con l'aquila.
Non aver paura: c'è una piccola radice che, se la masticate, vi spuntano le ali immediatamente.
Allora muoviamoci.
(Ai servi)
Su, Xantia e Manodoro, prendete i bagagli.
(All'upupa)
Dico a te!
Che vuoi?
Questi due portali con te e dagli da mangiare; ma l'usignuola che canta come le Muse falla uscire e lasciala con noi, che ci allieti.
Dagli retta: fa uscire l'uccellino dai giunchi; fallo uscire, in nome degli dèi, che possiamo vederlo anche noi.
Va bene, se proprio volete. Vieni fuori, Procne, fatti vedere dagli ospiti.
(Entra l'usignuola)
Per Zeus, come è bello l'uccellino! Com'è morbido e candido! Sai che me la fotterei volentieri?
Quant'oro ha addosso, come una ragazza! Le vorrei dare un bacio.
Ma se ha un becco con due rostri!
Va be', vuol dire che bisogna prima toglierle dalla testa il guscio, come un uovo, e poi baciarla.
Andiamo.
Guidaci, tu, e buona fortuna.
(Escono)
Caro uccello canoro, il più caro fra tutti gli uccelli, usignuola compagna dei miei inni, sei venuta, sei venuta a mostrarti e a portare il tuo suono soave. Tu che sul canto della primavera moduli il flauto armonioso, dà inizio agli anapesti.
Uomini dalla vita oscura, simili alle stirpi delle foglie, deboli creature impastate di fango, ombre instabili, effimere, senz'ali, mortali infelici, vani come sogni; prestate attenzione a noi che siamo immortali, da sempre viventi, eterei, immuni da vecchiaia, e pensiamo eterni pensieri. Da noi saprete tutta la verità sulle cose celesti, la natura degli uccelli e degli dèi, dei fiumi, dell'Erebo e del Caos; e a Prodico da parte mia dite d'andare a farsi fottere. In principio era il Caos e la Notte e l'Erebo nero, e il vasto Tartaro; non c'era terra né aria né cielo. Nel seno infinito dell'Erebo la notte dalle nere ali generò dapprima un uovo infecondo. Da quello col volgere delle stagioni germogliò l'amabile Eros: sul suo dorso fulgevano ali dorate, era simile a un turbine ventoso. Eros, unendosi al Caos alato nel Tartaro, di notte diede vita alla nostra stirpe, e la portò alla luce per prima. Ma prima che Eros mescolasse gli elementi non c'erano dèi; dopo che l'ebbe fatto nacquero il cielo, l'oceano, la terra e la stirpe immortale dei beati. Ma di tutti i beati noi siamo molto più antichi.
Numerosi segni provano che siamo figli di Eros; voliamo e stiamo volentieri assieme agli innamorati; grazie a noi molti amanti s'incularono bei fanciulli nel fiore dell'età, che prima s'erano sempre rifiutati: ma bastò regalare una quaglia o un porfirione, un'oca o un gallo. Tutti i maggiori beni gli uomini li ricevono dagli uccelli: siamo noi a indicare loro le stagioni, primavera, inverno, autunno. Il momento di seminare è quando la gru stridendo migra in Libia, e dice al marinaio di appendere il timone e andare a dormire, e a Oreste dice di tessersi un mantello, per non trovarsi ad avere freddo e a toglierlo agli altri. Il nibbio indica poi un'altra stagione, quand'è primavera ed è tempo di tosare le pecore.
Quando appare la rondine, è il caso di vendere il mantello e comprare una veste più leggera. Siamo noi Zeus Ammone, Delfi, Dodona, Febo Apollo. Per ogni cosa vi rivolgete innanzitutto agli uccelli, per i commerci, le compere, le nozze. E tutto ciò che concerne i vaticini lo chiamate auspicio, perché dipende dagli uccelli: così la voce e lo starnuto, ma anche un incontro, un servo, un asino. Non è chiaro che il vero Apollo profetico, nei vostri riguardi, sono gli uccelli?
Se ci venerate come dèi, avrete in noi Muse profetiche dei venti e del tempo, dell'estate, dell'inverno, della mezza stagione. E non scapperemo per andare a sedere, altezzosi, tra le nuvole come fa Zeus, ma con la nostra presenza daremo a voi e ai vostri figli, e ai figli dei figli, ricchezza, salute, felicità, lunga vita, pace, giovinezza, riso, danze e latte di gallina. E sarete così ricchi da prendere a noia il benessere.
str.
Musa variopinta dei boschi, tiotiotiotinx, con te per le valli e sulle cime dei monti, tio tio tiotinx, posato su di un frassino frondoso, tio tio tiotinx, dalla mia gola acuta elevo inni sacri per Pan, e danze per la madre montana, tio tio tiotinx; di qui come un'ape Frinico coglieva il frutto di melodie immortali ricreandone canti dolcissimi, tiotio tiotinx.
Se qualcuno di voi spettatori vuole passare lietamente il resto della sua vita, venga da noi: tutto quanto è da voi considerato turpe, e vietato per legge, è da noi uccelli considerato bello. Se tra voi è un delitto percuotere il padre, bello è per noi farglisi incontro e colpirlo dicendo: «Vogliamo fare a botte? Alza lo sprone». Se qualcuno di voi è uno schiavo fuggitivo, marchiato, bene, tra noi non è altro che un francolino screziato. E se un altro è frigio, come Spintaro, sarà tra noi un fri...nguello della specie di Filemone. Ancora se c'è uno schiavo Cario, come Esecestide, si troverà degli avi tra le averle, e anzi un'intera famiglia. Se il figlio di Pisia vuole aprire le porte agli esuli, diventi una quaglia, vero figlio di suo padre: ma da noi non è vergogna s...quagliarsela.
ant.
Così i cigni, tiotio tiotinx, lodano Apollo con voce mista al battito dell'ali, tiotiotiotinx, posati sulle rive dell'Ebro, tiotio tiotinx; va il canto tra le nubi celesti e stupiscono le stirpi degli animali; nell'aria senza venti si spengono i flutti, tio tio tiotinx; ne risuona l'Olimpo e la meraviglia coglie i beati; nell'Olimpo acclamano le Grazie e le Muse, tiotio tiotinx.
Non c'è niente di meglio o più piacevole che avere le ali. Se qualcuno di voi spettatori le avesse...poniamo che abbia fame e sia stufo dei cori tragici: se ne vola a casa a pranzare e dopo aver pranzato ritorna a volo tra noi. Se qualcun altro, come Patroclide, ha un bisogno, non deve essudare nel mantello, ma si leva a volo, scorreggia e torna qui dopo avere ripreso fiato. Ancora, se uno ha un'amante e vede il marito che sta nelle prime file, con un colpo d'ali va a casa, se la fotte e poi vola qui di nuovo. Insomma, non vi pare che sia una gran cosa avere le ali? Diitrefe per ali ha solo le damigiane; eppure è stato eletto caposquadra e poi ipparco: era un niente e ora si dà grandi arie, che sembra un ippogallo fulvo.
(Rientrano Pistetero ed Evelpide)
Ecco fatto. Per Zeus, non ho mai visto cosa più ridicola.
Di che ridi?
Delle tue rapide ali. Sai a chi somigli? A un'oca dipinta per due soldi.
E tu a un merlo, col capo spennacchiato.
Paragoni degni di Eschilo. Come dice lui: «non dalle altrui, ma dalle nostre penne...»
Orsù, che c'è da fare?
Prima di tutto, dare un nome alla nostra città, grande e glorioso; poi, sacrificare agli dèi.
D'accordo.
Allora, che nome avrà questa città?
Volete che la chiamiamo col nome dei Lacedemoni, Sparta?
Per Eracle, dovrei mettere dello sparto nella mia città? Ma neanche nel letto! Mi basta una cinghia.
E allora che nome le mettiamo?
Uno preso di qui, dalle nuvole, dalle regioni celesti, un nome grandioso.
Ti piace un nome come Nubicuculia?
Sì, sì; hai trovato un gran bel nome, davvero.
Eccovi dunque Nubicuculia: qui sono le grandi ricchezze di Teogene e le sostanze di Eschine.
Sembra piuttosto la piana di Flegra dove gli dèi superarono a spacconate i figli della terra.
Magnifica città. Ma chi sarà il dio patrono? Per chi tesseremo il peplo?
Perché non mantenere Atena?
No, non può essere ben ordinata una città dove una dea, una donna, sta in piedi con l'armatura, e Clistene tiene la spola.
E chi presidierà il muro pelargico?
Un uccello.
Uno dei nostri? E di che razza?
Un gallo, che è il più coraggioso di tutti, si dice: un pulcino di Ares.
Pulcino, nostro signore!
È un dio adatto a stare tra le pietre.
(A Evelpide)
Intanto tu va su e aiuta i muratori. Porta la ghiaia, spogliati, impasta la calce, porta su il secchio, casca dalla scala, disponi le sentinelle, tieni acceso il fuoco, fa la ronda col campanello e resta a dormire sul posto. Spedisci gli araldi uno su, agli dèi, uno giù dagli uomini. Poi di nuovo qui subito, da me.
E tu resta tranquillo, e sarai mandato in culo...da me!
Su da bravo, va' dove ti mando. Nulla di ciò che ho detto si può fare senza la tua opera. Io faccio chiamare il sacerdote per la processione, e per compiere il sacrificio alle nuove divinità.
(Ai servi)
E voi portate il canestro e l'acqua lustrale.
str.
Consento, lodo, sono d'accordo. Ci siano grandi e solenni processioni in onore degli dèi, e per loro si sacrifichi qualche pecora. Si levi, si levi il canto pizio e Cheride l'accompagni.
(Al flautista)
Smetti di soffiare. Perdio, cos'è? Molte cose strane ho visto, ma un corvo con la museruola, mai.
(Entra un sacerdote)
È tuo compito, sacerdote, sacrificare ai nuovi dèi.
Lo farò. Ma dov'è il servo col canestro? Levate preghiere ad Estia, dea degli Uccelli, al Nibbio guardiano del focolare, a tutti gli uccelli, maschi e femmine dell'Olimpo.
Salve, signore pelargico, sparviero del Sunio!
...al cigno pizio e delio, a Latona madre delle quaglie, ad Artemide cardellina...
(Non più Colenide, quindi).
...al fringuello Sabazio, alla struzza madre degli dèi e degli uomini...
Grande signora, Cibele-struzza, madre di Cleocrito!
...concedano salute e benessere agli abitanti di Nubicuculia, e a quelli di Chio.
Toh, son contento: ci mancavano quelli di Chio.
...agli uccelli-eroi e ai loro figli, al porfirione, al pellicano; al picchio, la flesside, il tetrace, il pavone, l'elea, l'anatra, l'elasa, l'airone, lo smergo, la capinera, la cinciallegra...
In malora, smetti la tua filastrocca. Disgraziato! Per che razza di festino credi di invitare avvoltoi e aquile di mare? Non vedi che basterebbe un nibbio, uno solo, a portar via tutto? Vattene tu e le tue bende; il sacrificio me lo faccio da solo.
(esce il sacerdote)
ant.
Di nuovo per te, durante il lavacro, innalzerò un canto sacro e pio; e invocherò i beati: uno magari, se vi avanza qualcosa da mangiare. Queste vittime sono peli e corna, più che altro.
Facciamo sacrifici e preghiere agli dèi alati.
(Entra un poeta)
Cantami, o Musa, la città beata / di Nubicuculia negli inni tuoi.
E questo da dove salta fuori? Dimmi, chi sei?
Io? Canto dolci canzoni, e, come dice Omero, sono «servo sottile delle Muse».
Sei servo, e porti i capelli lunghi?
Tutti noi maestri siamo, come dice Omero, «servi sottili delle Muse».
E sottili sono anche le tue vesti, mi pare. Caro il mio poeta, perché sei venuto qui a cercare guai?
Molti bei canti ho composto per Nubicuculia, parteni e ditirambi e altro alla maniera di Simonide.
Hai fatto questo? E quanto tempo fa?
Da tempo, da tempo io canto la vostra città.
Ma se in questo momento sto facendo la festa per la nascita e le sto imponendo il nome, come a un neonato!
La voce delle Muse è veloce / come baleno di cavalli. Tu, padre, / tu, tu, fondatore di Etna, / che hai la santità nel tuo nome, / concedimi un dono, / quello che vuoi, col cenno del capo.
Questo ci darà delle grane, se non ce ne liberiamo dandogli qualcosa.
(A un servo)
Tu che indossi tunica e pelliccia, spogliati e dalle al poeta sapiente.
(Al poeta)
Prendi questa pelliccia: mi sembra che tu muoia di freddo.
Non controvoglia la nostra Musa accetta il dono. Ma tu nella tua mente accogli quel verso di Pindaro...
E non se ne va!
Va tra i nomadi Sciti, lontano / dalle genti, chi non possiede una veste / tessuta; e giunge ingloriosa / la pelliccia senza la tunica. / Capisci ciò che dico.
Capisco che vuoi anche la tunica.
(Al servo)
Cedigliela; bisogna pure aiutare il poeta.
(Al poeta)
Ora prenditela e vattene.
Me ne vado, ma partendo farò un altro canto per la vostra città.
Musa dall'aureo trono, / celebra la città che è scossa da tremiti / di gelo. Ho visto i piani innevati, / ricchi di strade. Addio.
(Esce)
Già, tu al gelo sei scampato, ora che hai preso la tunica. Però non me la sarei aspettata questa disgrazia, che venisse a sapere della città così presto.
(Al servo)
Tu, rifa il giro con l'acqua lustrale. Silenzio!
(Etra un venditore d'oracoli)
Non immolare subito il capro!
E tu chi sei?
Un venditore d'oracoli.
Vaffanculo.
Disgraziato, non disprezzare le cose degli dèi. C'è un oracolo di Bacide fatto apposta per Nubicuculia.
E allora perché non l'hai detto prima che fondassi la città?
Il dio me l'ha impedito.
Niente da fare: bisogna sentirli, questi versi.
Quando vivranno insieme lupi e cornacchie canute, / nello stesso luogo, che sta tra Corinto e Sicione...
E Corinto che c'entra?
Bacide intende il cielo. ...
allora bisogna prima di tutto immolare a Pandora un montone dal bianco vello / e a chi giunga per primo profeta della mia parola, / dare un mantello nuovo e dei nuovi calzari...
Dice anche dei calzari?
Guarda il libro.
E anche dargli una coppa, e riempirgli le mani di frattaglie.
Anche le frattaglie, dice?
Guarda il libro:
se tu, giovane, farai quello che dico, / sarai aquila tra le nuvole; se non lo farai, / non diventerai aquila, non tortora, e picchio neppure.
Pure questo c'è là dentro?
Guarda il libro.
Quest'oracolo è tutto diverso da quello che mi ha dettato Febo Apollo: «Quando senz'essere chiamato, arrivi un impostore a dar noia, / mentre si fa il sacrificio, e pretenda mangiare, / allora bisogna riempirlo di legnate in mezzo alla schiena...».
Sciocchezze!
Guarda il libro; «e non risparmiare né l'aquila in mezzo alle nuvole, / né Lampone, e neppure il grande Diopite».
C'è scritto anche questo?
Guarda il libro. Fuori di qua, alla malora!
(Lo picchia)
Povero me!
(Esce)
Vai a leggere oracoli altrove, via!
(Entra Metone)
Vengo da voi...
Ecco un altro malanno. Che vuoi? Con che intenzioni ti sei messo in viaggio? E questi coturni?
Voglio misurare l'aria, e dividerla tra voi.
Perdio, ma chi sei?
Sono Metone. Sono assai noto in Grecia, e anche a Colono.
E questa roba che è, mi vuoi dire?
Strumenti per misurare l'aria. Nell'insieme, l'aria ha la forma di un forno. E quindi io applico la squadra e dall'alto inserisco il compasso, capisci?
No.
Con la squadra faccio le misurazioni in modo da ottenere la quadratura del cerchio: in mezzo sta la piazza e le strade portano dritte ad essa, come da un astro sferico lampeggiano in ogni direzione raggi rettilinei.
È un Talete! Stammi a sentire, Metone.
Che c'è?
Sai che ti voglio bene. Perciò dammi retta: cambia strada.
C'è qualche pericolo?
Capita come a Sparta; che danno la caccia agli stranieri. Ci sono disordini e corrono botte per la città.
La guerra civile?
Neanche per idea.
Allora?
Allora, tutti assieme abbiamo deciso di fare a pezzi tutti gli impostori.
Forse è meglio che io me ne vada.
Per Zeus, non so mica se fai a tempo. Le botte sono già arrivate.
(Lo picchia)
Povero me!
(Esce)
Te l'avevo detto. Vatti a misurare da un'altra parte.
(Entra un ispettore)
Dove sono i prosseni?
Chi è questo Sardanapalo?
Sono venuto a Nubicuculia come ispettore, designato a sorte.
Un ispettore? E chi ti manda?
Uno sciagurato ordine di Telea.
Vuoi prendere il tuo compenso senza aver noie, e andartene?
Magari. Avrei dovuto restare in città, in assemblea, a curare delle faccende per Farnace.
Prendi e vattene. Il compenso è questo.
(Lo picchia)
Che fai?
Questa è l'assemblea per Farnace.
Vi chiamo a testimoni, che vengo percosso in qualità di ispettore.
Te ne vuoi andare e portare con te le tue urne? Ma è possibile che mi mandino in città gli ispettori, prima ancora che siano fatti i sacrifici?
(Esce l'ispettore, entra il venditore di decreti)
Se un nubicuculiese fa torto a un ateniese...
Quest'altro libraccio, che è?
Sono un venditore di decreti; vi porto leggi nuove.
Che?
I nubicuculiesi adopereranno gli stessi pesi e misure e le stesse norme di Olofisso.
E tu subito quelle di Otobusso.
(Lo picchia)
Che ti prende?
Portati via le tue leggi, o te le faccio sentire io.
(Rientrando)
Denuncio Pistetero per violenza, per il mese di Munichione.
Davvero? Sei ancora qui?
Se qualcuno caccia via i magistrati, anziché accoglierli come stabilisce la stele...
Povero me, sei ancora qui?
Ti rovino: ti faccio pagare diecimila dracme.
E io ti faccio a pezzi le urne.
Ricordi che una volta, di sera, hai sporcato la stele?
Ohibò, prendetelo. Oh, te ne vai? Andiamo dentro, al più presto, a immolare il montone agli dèi.
(Escono tutti tranne il Coro)
str.
A noi che tutto vediamo e tutto possiamo, sacrificheranno i mortali con suppliche e preghiere. Tutta la terra guardiamo e proteggiamo i prodotti della terra distruggendo le specie animali che divorano con bocca vorace, per terra o posati sugli alberi, i frutti in boccio. E anche eliminiamo chi fa violenza ai giardini profumati; rettili e roditori periscono sotto le nostre ali.
Di questi tempi è d'uso proclamare un bando: «chi di voi uccida Diagora di Melo, riceverà un talento, e chi uccide un tiranno (già morto) riceverà un talento». A nostra volta, anche noi vogliamo proclamare: «chi di voi uccida il signore dei passeri, Filocrate, riceverà un talento, e quattro se ce lo porta vivo; lui che infilza i fringuelli e li vende (sette per un obolo) e gonfia i tordi per metterli in mostra, e infila penne nel naso ai merli. E poi rinchiude le colombe e le costringe a fare da richiamo dentro una rete». Questo vogliamo sia noto: e se c'è tra voi chi tiene degli uccelli chiusi in cortile, gli intimiamo di liberarli. Se non obbedite sarete prigionieri degli uccelli e, messi in catene, farete voi da richiamo.
ant.
Oh felice la stirpe degli alati, d'inverno non hanno bisogno di mantello, e non ci brucia il raggio ardente della calura.
Abitiamo i prati fioriti e i recessi delle fronde, quando la cicala pazza di sole urla nel meriggio un suono acuto.
Passiamo l'inverno negli antri, giocando assieme alle ninfe montane, e a primavera gustiamo i vergini frutti del mirto e i giardini delle Grazie.
Qualcosa vogliamo dire ai giudici, a proposito della vittoria; se ce l'attribuiranno, daremo loro tanti benefici che i doni che ebbe Alessandro scompariranno al confronto. E prima di tutto, ciò che ognuno dei giudici desidera di più: le civette del Laurio non vi abbandoneranno; anzi abiteranno con voi, faranno il nido nelle vostre borse e dalle uova salteranno fuori...le monete. Poi le vostre case diventeranno templi: saranno coronate d'aquile come frontoni. Se avete un ufficio pubblico, e volete rubare un po', vi metteremo tra le mani un piccolo, veloce sparviero; se sarete invitati a pranzo, vi presteremo il gozzo. Ma se invece non ci fate vincere, pensate a fabbricarvi dei dischi di ferro come quelli delle statue; chi non ce l'ha e indossa una veste bianca ce la pagherà: lo ricopriremo di merda.
(Rientra Pistetero)
Il responso delle vittime è favorevole. Ma nessun messo è ancora arrivato a portarci notizie del muro. Ecco però che sta arrivando qualcuno di corsa: sembra che stia facendo l'Olimpiade.
(Entra un messo)
Dov'è, dov'è, dov'è il nostro capo Pistetero?
Sono qui.
Il muro è pronto.
Bene.
È un lavoro bellissimo e imponente. Sulla cima potrebbero passare quello spaccone di Prossenide e Teogene con due carri tirati da cavalli come quello di Troia, tanto è largo.
Per Eracle!
L'altezza l'ho misurata io: è di cento braccia.
Perdio, quanto è grande: e chi l'ha costruito?
Gli uccelli da soli; niente muratori egiziani, né tagliapietre, né falegnami. Da soli, in modo incredibile. Trentamila gru venute dalla Libia portavano nel gozzo le pietre per le fondamenta, e i ralli col becco le hanno squadrate. Diecimila cicogne hanno fabbricato i mattoni; i pivieri e gli altri uccelli di fiume hanno portato su l'acqua.
E la calcina?
L'hanno portata gli aironi coi secchi.
Ma come hanno fatto a metterla nei secchi?
Una bella trovata: le oche coi piedi, zampettando come avessero delle pale.
Cosa non sanno fare...i piedi!
Le anatre hanno indossato il grembiule e portavano i mattoni; sopra volavano le rondini con la cazzuola sul dorso, come i garzoni, e nel becco tenevano la calcina.
Chi ce lo fa fare, di ingaggiare manovali a pagamento? E le parti in legno, chi le ha fatte?
I pellicani, carpentieri abilissimi, hanno squadrato col becco le porte; e facevano un fracasso che sembrava di stare in un arsenale. Ora dappertutto ci sono porte con buone sbarre e ben custodite.
Passano le ronde coi campanelli, ovunque sono posti di guardia e fuochi sulle torri. Io vado a fare il bagno; tu pensa al resto.
(Esce)
Che fai? Ti sorprende che il muro sia stato costruito così in fretta?
Lo credo bene, perdio: non sembra vero! Ma ecco una sentinella, con un altro messaggio. Corre verso di noi, con un'aria bellicosa.
(Entra un altro messo)
All'armi! All'armi!
Che c'è?
È successa una cosa terribile. È arrivato un dio da parte di Zeus e ha passato le porte, sfuggendo alla sorveglianza dei gracchi, che fanno il turno di giorno.
Un fatto davvero terribile e indegno. Chi è questo dio?
Non lo sappiamo; ma ha le ali.
Dovevate inseguirlo subito, con le guardie.
Immediatamente abbiamo mandato i nostri arcieri a cavallo: trentamila sparvieri. E si sono mossi tutti gli uccelli muniti di artigli; gheppi, falconi, avvoltoi, poiane, aquile. Il cielo risuona della caccia al dio, dello strepito d'ali e della furia. Non può essere lontano.
Prendete archi e fionde. I servi tutti qui. Tirate, colpite, e qualcuno mi passi la fionda.
str.
È la guerra, guerra indicibile tra noi e gli dèi: sorvegliate il cielo nuvoloso, nato dall'Erebo, e nessun dio passi a nostra insaputa.
Guardatevi bene intorno. Ecco si sente un suono di turbine alato. È un dio che arriva dall'alto.
(Entra Iride)
Dove, dove vai? Statti tranquilla, ferma. Smetti di correre. Chi sei? Da dove vieni? Devi dirci da dove vieni, su.
Dall'Olimpo; vengo da parte degli dèi.
Come ti chiami? Sei una nave? O un elmo?
Sono Iride veloce.
Paralia o Salaminia?
Che significa?
Ma perché non le salta addosso un coglibrì, e se la prende?
Prendere me? Che storia è questa?
Avrai un bel guaio.
Ma è assurdo.
Maledizione, per quale porta sei entrata nella fortezza?
Non lo so affatto, per quale porta.
La sentite, come fa finta di nulla? Sei andata dai capi dei gracchi? Il sigillo delle cicogne, ce l'hai?
Che storia è questa?
Non l'hai avuto?
Ma sei sano di mente?
Ma il contrassegno qualche comandante degli uccelli te l'ha messo?
A me non me l'ha messo nessuno, cretino!
E così te ne vai come se niente fosse per l'aria, attraverso una città straniera?
E dove altro dovrebbero volare gli dèi?
Non lo so affatto, ma qui no di sicuro. Sei in torto. Lo sai che se ti prendevano e ti davano ciò che meriti, saresti stata l'Iride più morta tra quante sono al mondo?
Ma se sono immortale!
E morivi lo stesso. Sarebbe una cosa insopportabile per noi che siamo i signori del mondo, se voi dèi faceste i vostri comodi, non riconoscendo che è arrivato il vostro turno di piegarvi ai potenti. Ma dimmi, con quelle ali dove stai puntando?
Vado da parte di Zeus a dire agli uomini di sacrificare agli Olimpi agnelli e buoi sugli altari, e di far fumare le loro strade.
Che hai detto? Sacrificare a quali dèi?
Quali? Ma a noi, quelli del cielo.
E voi sareste dèi?
E chi altro se no?
Gli uccelli sono ora i veri dèi per gli uomini; a loro bisogna sacrificare, per Zeus, non a Zeus!
Folle, folle, non provocare la collera tremenda degli dèi, ché la giustizia con la zappa di Zeus non stravolga nella rovina la tua stirpe, che la vampa non assalga il tuo corpo e le stanze della tua casa con folgori licimnie.
Dammi retta, smettila con le spacconate e stai tranquilla. Credi di spaventarmi con questi discorsi, come fossi uno schiavo lidio o frigio? Se Zeus continua a dar noia io «incendierò le sue stanze e le case di Amfione con aquile infuocate». E gli mando anche su più di seicento porfirioni vestiti di pelle di pantera: e pensa che una volta un Porfirione solo l'ha messo nei guai. Quanto a te, Iride, che sei sua ministra, se mi secchi ti allargo le gambe e t'infilzo. Ti meraviglierai che, anche vecchio come sono, lo sprone si rizzerà tre volte.
Ma va al diavolo, tu e le tue parole.
Vuoi andartene, e anche di fretta, o le prendi?
Mio padre porrà termine a queste prepotenze.
Povero me, vuoi andartene a infiammare qualcuno più giovane?
(Iride esce)
ant.
Li abbiamo bloccati, gli dèi; non entreranno più nella nostra città, né mai più dalla terra qualche uomo farà arrivare ad essi il fumo delle vittime.
È strano però che non torni l'araldo che abbiamo mandato tra gli uomini.
(Arriva l'araldo)
Pistetero, beato, sapiente, glorioso, sapiente, illustre, beatissimo...permetti che smetta, te ne prego.
Che hai da dire?
Tutte le genti ti incoronano con una corona d'oro, e ti venerano per la tua saggezza.
Grazie. Ma perché?
Tu che hai fondato la grande città celeste, non sai quanta gloria ti tributano gli uomini e quanti amanti di questa città vi sono. Prima che tu la fondassi gli uomini erano maniaci per Sparta, portavano i capelli lunghi, erano sporchi e affamati sull'esempio di Socrate, portavano la scitale. Ora di colpo sono cambiati e hanno la mania degli uccelli; si dilettano a imitarli in ogni cosa. Alla mattina appena levati dal letto volano come noi al pascolo, calano a stormi sulle scartoffie e si cibano di pan...dette. La mania degli uccelli è diventata così appariscente che molti ora portano nomi di uccelli: un oste zoppo lo chiamano Pernice, Menippo Rondone, Opunzio (che ha un occhio solo), Corvo; Filocle Allodola, Teogene Oca, Licurgo Ibis, Cherefonte Pipistrello, Siracosio Gazza, Midia Quaglia; e infatti assomiglia a una quaglia che ha ricevuto una bastonata in testa. Per amore degli uccelli tutti cantano canzoni dove c'è la rondine, o l'anatra o l'oca o la colomba, o le ali, o un po' di penne comunque. Questa è la situazione di laggiù. Ti dico una cosa sola: arriveranno in più di diecimila a chiederti ali e artigli. Sarà bene rifornirsi di ali per i nuovi venuti.
Per Zeus, bisogna darsi da fare.
(Ai servi)
Tu va subito a riempire di penne ceste e canestri. Manete porti qua le ali: quando arrivano, li riceverò io.
str.
Solo che la fortuna l'assista, presto questa città si chiamerà ricca di uomini. L'amore per lei sta prendendo tutti.
Porta qua, presto.
Cosa manca qui di bello perché la si scelga a propria dimora? Saggezza, Desiderio, Grazia, Ambrosia, e il volto piacevole della Tranquillità soave.
(A un servo)
Quanto sei lento! Ti vuoi sbrigare?
ant.
Portate qui subito un cesto di penne.
(A Pistetero)
Ma tu sveglialo a forza di botte questo. È più lento di un asino.
È un buono a nulla.
Tu intanto disponi in ordine queste ali, qui quelle musicali, là le profetiche, là le marine; e attento a distribuirle con giudizio, quali spettano a ognuno.
(Al servo)
Per i gheppi, non ti farò più fare niente, tanto sei lento e inetto.
(Entra il giovane parricida)
«Oh diventassi aquila alta nel cielo, e levarmi sulla distesa gonfia del glauco mare infecondo!»
Non ha detto bugie il messaggero. Eccone uno che arriva cantando di aquile.
Non c'è nulla più dolce del volo. Mi piace stare tra gli uccelli, ne vado pazzo. Voglio volare e abitare con voi; mi piacciono le vostre leggi.
Quali? Ce ne sono tante.
Tutte, ma più di tutte quella che considera giusto mordere il padre e tirargli il collo.
Certo noi consideriamo un coraggioso colui che ancora pulcino percuote il padre.
Proprio per questo voglio stabilirmi qui; desidero strozzare mio padre e prendermi i suoi beni.
Abbiamo anche un'altra legge, noi, antica, scritta nelle tavole delle cicogne: «quando il padre ha allevato tutti i cicognini e gli ha insegnato a volare tocca ai figli, a loro volta, mantenere il padre».
Ah, ci ho fatto un bel guadagno, allora, a venir qui, se mi tocca mantenere mio padre.
Non so che farci. Ma poiché sei venuto qui spinto dall'amore per la nostra città, ti darò un paio d'ali adatte a un orfano.
E ti darò anche un buon consiglio, ragazzo mio, che io stesso ho ricevuto quando avevo la tua età: non percuotere tuo padre. Prendi ora ali e sprone, e una cresta di gallo: fa il soldato, monta la guardia e mantieniti col tuo salario. Tuo padre lascialo vivere. E se hai voglia di menar le mani, vola in Tracia: là c'è da combattere.
Per Dioniso, mi sembra che tu abbia ragione. Farò come tu dici.
(Esce)
E farai bene.
(Arriva Cinesia)
Volo all'Olimpo con ali leggere. / Volo per le vie del canto, / ora l'una ora l'altra percorro...
Questo ha bisogno di un intero carico d'ali.
Con corpo e cuore impavido, / batto una strada nuova.
Salute, Cinesia segaligno. Perché mai volgi qui in giro il piede ricurvo?
Voglio diventare uccello, / usignuolo armonioso.
Smetti di cantare e di' quel che hai da dire.
Voglio ricevere da te le ali, e levarmi alto a volo e tra le nuvole cercare nuovi preludi, mossi dal vento e pieni di neve.
Cercare i preludi tra le nuvole?
La nostra arte sta tutta appesa lì. Lo splendore dei ditirambi è aria, è buio, è luce cupa, è battito d'ali. Stammi a sentire e lo capirai.
Non ne ho nessuna voglia.
Ma sì; per te percorrerò tutto il cielo.
Forme alate che corrono nell'aria, / uccelli dal lungo collo...
Uffa!
Vagando sul mare, / voglio essere portato dai soffi del vento...
Ora la faccio finita io, con questi soffi.
Ora percorro il cammino dell'austro, / ora mi appresso a Borea, / fendendo il solco inospitale del cielo.
Hai avuto una trovata davvero ingegnosa, vecchio!
(Lo picchia con le ali)
Non ti piace «venire travolto dal battito d'ali»?
In questo modo tratti il maestro dei cori ciclici, conteso da tutte le tribù?
A proposito, vuoi restare tra noi e istruire per conto di Leotrofide un coro di uccelli della tribù cecropide?
Mi prendi in giro; ma sappi che non smetterò prima di avere le ali per attraversare l'aria.
(Esce; arriva un sicofante)
Che uccelli sono questi con le ali variopinte, / che non possiedono nulla? / Dimmelo, rondine screziata dalle ali distese.
Sono nati un mucchio di guai. Ecco, un altro che arriva canticchiando.
Ripeto: «rondine screziata dalle ali distese».
La canzone sembra per il suo mantello; e rondini ce ne vogliono tante, allora.
Chi è che dà le ali ai nuovi venuti?
Eccomi: dimmi cosa ti occorre.
Le ali, le ali subito. Non ho altro da dirti.
Vuoi andare a volo, dritto a Pellene?
Neanche per idea: sono ufficiale giudiziario addetto alle isole, e anche sicofante...
Bel mestiere!
E causidico anche. Ho bisogno delle ali per fare il giro delle isole con le mie denunce.
Perché, se hai le ali, le denunce ti vengono meglio?
No, ma a evitare che i pirati mi diano fastidio, me ne torno indietro con le gru tenendo nel gozzo, anziché le pietre, gli atti giudiziari.
Questo dunque è il tuo lavoro: giovane come sei, non trovi di meglio che denunciare gli stranieri?
Che posso farci? Non so zappare.
Ma ci sono tanti mestieri dignitosi con cui un uomo robusto come te può guadagnarsi onestamente da vivere, piuttosto che intrigare in tribunale.
Ti ho chiesto ali, non consigli.
E io te le sto dando, le ali.
A parole?
Tutti gli uomini prendono il volo grazie alla parola.
Tutti?
Non hai mai sentito dai barbieri cosa dicono i padri dei propri figli? «È straordinario come Diitrefe ha dato ali alla passione di mio figlio per i cavalli». Un altro dice che suo figlio ha dato ali all'amore per la tragedia e la sua mente si è levata in cielo.
Allora, le ali si mettono a parole?
Sì. È grazie alla parola che la mente s'innalza e l'uomo si solleva. Così anch'io vorrei darti le ali con buone parole e indirizzarti a un lavoro onesto.
Non voglio.
E che vuoi fare, allora?
Non posso tralignare dalla mia famiglia; il mestiere di sicofante mi viene dagli avi. Dammi dunque ali leggere e veloci, di sparviero o di gheppio, in modo che possa denunciare gli stranieri, e poi tornare indietro di volo.
Capisco. Lo straniero si trova condannato prima di aver messo piede sul posto.
Hai capito benissimo.
E mentre lui naviga verso qua, tu già stai tornando indietro, per impadronirti dei suoi beni.
Perfettamente. Devo essere una specie di trottola.
Capisco. Per fortuna ho proprio qui queste bellissime ali, che vengono da Corcira.
Povero me, hai preso la frusta.
Ecco, queste sono le ali con cui oggi ti farò girare come una trottola.
(Lo picchia)
Povero me!
Vola subito via di qua. Via, maledetto! Vedrai che ti costerà cara l'arte di stravolgere la giustizia. Su, riprendiamoci le ali, e andiamo via.
(Escono il sicofante e Pistetero)
str.
Molte cose nuove e meravigliose abbiamo visto nei nostri voli, molte cose strane. C'è un albero assurdo, molto lontano da Corleone. Si chiama Cleonimo, non serve a nulla, ma è grosso e vigliacco. A primavera mette fior di delazioni, d'inverno perde...lo scudo.
ant.
E c'è un paese, verso le tenebre, senza luce, dove gli uomini vivono insieme agli eroi, e pranzano con loro. Ma a sera, no, non è prudente incontrarli a quell'ora; chi avesse a che fare di notte con l'eroe Oreste si troverebbe nudo e pieno di bastonate sul fianco destro.
Entra Prometeo
Povero me, che non mi veda Zeus! Dov'è Pistetero?
Che c'è? Chi è quest'uomo velato?
Per caso hai visto qualche dio, alle mie spalle?
No, ma tu chi sei?
Che ora è?
È passato da poco mezzogiorno. Ma tu chi sei?
È l'ora di sciogliere i buoi, o ancora più tardi?
Comincio ad averne abbastanza di te.
E Zeus che fa? Raduna le nubi, o le disperde?
Va al diavolo.
Ora mi tolgo il velo.
Caro Prometeo!
Sss...Non gridare.
Che c'è?
Non chiamarmi per nome. Mi rovini, se Zeus mi vede qui. Ma se vuoi che ti racconti tutte le cose di lassù, prendi quest'ombrello e reggilo alto, che gli dèi non mi possano vedere.
Una bella pensata: fa onore al tuo nome. Vieni qui sotto, e ora parla, coraggio.
Stammi a sentire.
Parla: ti ascolto.
Zeus è finito.
Finito. E da quando?
Da quando avete fondato la vostra città nel cielo, nessun uomo sacrifica più agli dèi, e da allora il fumo delle cosce arrostite non sale più fino a noi. Senza sacrifici, noi digiuniamo come fossimo alle feste Tesmoforie. Gli dèi barbari, affamati, strillano come Illiri, e minacciano la guerra contro Zeus, se non fa riaprire i mercati d'importazione delle
viscere.
Ci sono altri dèi lassù, barbari?
Chi altro vuoi che sia, per esempio, il dio protettore della famiglia di Esecestide?
E si chiamano, questi dei barbari?
Triballi.
Capisco; ecco perché si dice «tribolare».
Appunto. Ti voglio dire una cosa: arriveranno ambasciatori da parte di Zeus e dei Triballi per trattare la pace; ma voi non fatela se non a condizione che Zeus restituisca lo scettro agli uccelli e ti dia in moglie Regina.
Chi è Regina?
Una donna stupenda che amministra il fulmine di Zeus e le altre cose: il buon consiglio, il buon governo, la saggezza, i cantieri, la calunnia, il cassiere, i soldi...
Tutta questa roba?
Certo. Se tu la ricevi dalle sue mani, hai tutto. Perciò sono venuto ad avvertirti. Il mio affetto va sempre agli uomini.
Già, è per merito tuo, e di nessun altro dio, se arrostiamo le carni.
Gli dèi li odio tutti, come sai.
Lo so; li odi da sempre.
Né più né meno di Timone. Ma ora ridammi l'ombrello, che torno indietro: così anche se Zeus dall'alto mi vede,
sembrerà che segua una canefora.
Prendi pure anche lo sgabello e portatelo via.
(Esce Prometeo)
str.
Presso gli Sciapodi c'è un lago dove Socrate - nemico del bagno - evoca i morti. Là venne Pisandro, per vedere la sua anima, che già da vivo l'aveva abbandonato. Portava come vittima un agnocammello, gli tagliò il collo e come Odisseo si trasse in disparte; ma da sotterra volò a succhiare il sangue del cammello quel pipistrello di Cherefonte.
(Arrivano gli ambasciatori degli dèi)
Ecco la città di Nubicuculia, dove andiamo a compiere la nostra ambasciata.
(Al Triballo)
Ma che fai? Porti la tunica avvolta a sinistra? Spostala a destra, disgraziato, che sembri Laspodia. Democrazia, democrazia, dove andremo a finire, se gli dèi eleggono un tipo simile. Vuoi star fermo? In malora, sei il dio più barbaro che io abbia mai visto.
(A Eracle)
Eracle, che vogliamo fare?
Te l'ho già detto: voglio strangolare l'uomo che ha eretto il muro, tagliando fuori gli dèi.
Ma lo sai che siamo stati eletti dagli dèi per trattare la pace.
In tal caso lo voglio strangolare due volte.
(Ai servi)
Datemi la grattugia, portatemi silfio e formaggio. E tu attizza il fuoco.
Salute a te, uomo. Ti salutiamo noi tre, che siamo dèi.
(Ai servi)
Intanto io grattugio il silfio.
Queste carni che sono?
Uccelli riconosciuti colpevoli di rivolta contro il governo democratico.
Ah. E tu ci grattugi il silfio?
Oh, sei tu, Eracle. Salve. Che c'è?
Veniamo in ambasceria da parte degli dèi per trattare la fine delle ostilità.
(Ai servi)
Non c'è olio nell'ampolla.
E invece gli uccelletti devono essere unti bene.
Noi dalla guerra non ricaviamo nessun vantaggio. Quanto a voi, se siete nostri amici, avrete acqua piovana nei fossi e godrete sempre giornate da alcioni. Su questo punto abbiamo pieni poteri.
Ma non siamo mica stati noi a cominciare la guerra. E se ora finalmente volete comportarvi secondo giustizia, siamo d'accordo a fare la pace. Ma la giustizia dice che Zeus deve restituire a noi uccelli lo scettro. Se ci accordiamo a queste condizioni, invito subito a pranzo gli ambasciatori.
Mi sta bene; voto a favore.
Disgraziato: sei il solito morto di fame. Vuoi togliere il potere a tuo padre?
Dici davvero? Se gli uccelli comandano giù, voi dèi avrete un potere ancora maggiore. Ricurvi e nascosti dalle nuvole, gli uomini ora possono spergiurare; ma se gli uccelli sono vostri alleati, il corvo, quando qualcuno spergiura su Zeus, e sul corvo stesso, gli arriva addosso di soppiatto, e gli strappa un occhio.
Per Poseidone, dici bene.
Pare anche a me.
(Al Triballo)
E tu che dici?
Viatrei.
Vedi è d'accordo anche lui.
State a sentire, un altro servizio vi possiamo rendere. Se un uomo, dopo aver promesso un sacrificio agli dèi, si mette a sofisticare dicendo «gli dèi possono aspettare» e per avarizia non mantiene la promessa, riscuotiamo noi.
Come?
Mentre sta contando i suoi soldi, o è al bagno, uno sparviero piomba all'improvviso, si prende il prezzo di due pecore e lo porta al dio.
Torno a dire che bisogna restituirgli lo scettro.
Senti un po' il Triballo.
Triballo, vuoi passare un guaio?
Niente pastoni battere.
Dice che è d'accordo con me.
Se voi dite di sì, sono d'accordo anch'io. D'accordo allora, Pistetero; vi ridaremo lo scettro.
Per Zeus, mi viene in mente un'altra cosa. Era la lascio a Zeus, ma la giovane Regina la deve dare in sposa a me.
Ho capito, non vuoi fare la pace. Torniamo a casa.
Poco importa. Cuoco, bada che la salsa deve essere dolce.
Poseidone, disgraziato, dove vai? Vale la pena di fare la guerra per una donna?
E allora che facciamo?
La pace.
Povero sciocco, lo vedi che ti fai fregare, e anzi ti freghi con le tue mani? Se Zeus muore dopo aver ceduto l'impero agli uccelli, chi resta spiantato sei tu, perché dopo la morte di Zeus tutti i suoi beni passano a te.
Sono sofismi.
(A Eracle)
Vieni qua, ti devo dire una cosa. Sciocco, è tuo zio che ti vuole imbrogliare. Dei beni di tuo
padre a te non tocca niente. Sei figlio illegittimo.
Io?
Tu, sì; sei il figlio di una donna straniera. Come farebbe Atena ad ereditare, se ci fossero figli legittimi?
E se mio padre in punto di morte lascia la roba a me, anche se sono illegittimo?
La legge non glielo permette. E lo stesso Poseidone, che ora ti mette su, sarà il primo a contestarti le sostanze di tuo padre, sostenendo che lui sì è fratello legittimo. La legge di Solone dice così: «L'eredità non spetta al figlio illegittimo, quando ci sono figli legittimi; se poi non vi sono figli legittimi, le sostanze passano ai parenti più prossimi».
A me insomma non spetta nulla?
No certo: tuo padre ti ha mai presentato ai membri della fratria?
No. Infatti la cosa mi stupiva.
Ma perché guardi in alto a bocca aperta, con l'aria incazzata? Se vieni con noi, ti faccio re e ti procuro il latte di gallina.
Da tempo mi sono convinto che hai ragione a proposito della ragazza e per quanto sta in me te la concedo.
(A Poseidone)
E tu che dici?
Do voto contrario.
Allora tutto dipende dal Triballo? Che dici?
TR. Bela grande Reghina andare aucelli.
Dice di darla.
Ma no, balbetta suoni senza senso come le rondini.
Appunto, darla alle rondini.
E va bene; se siete d'accordo fate la pace. Io me ne starò zitto.
Abbiamo deciso di accettare tutte le tue condizioni; vieni con noi in cielo; là riceverai Regina e le altre cose.
Certo questi uccelletti li hanno uccisi in buon punto: serviranno per il pranzo nuziale.
Io resterei qui ad arrostire le carni. Voi andate pure.
Arrostire le carni? Sei il solito ghiottone. Vieni con noi.
Eppure ci sarei rimasto volentieri.
(Ai servi)
Portatemi la veste da sposo.
(Ascono Pistetero e gli dèi)
ant.
C'è uno spia...zzo vicino alla clessidra; lì una stirpe di furfanti che si pasce di parole seminano, mietono, vendemmiano i frutti della lingua, snocciolano calunnie; sono barbari come Gorgia e Filippo. E da questi Filippi, che si nutrono di parole, nasce l'uso di tagliare la lingua delle vittime.
(Entra un messo)
Voi stirpe beatissima degli uccelli, ricolmi di ogni fortuna, più grande di quanto si possa dire, accogliete il vostro re nel ricco palazzo. S'avanza splendente più che ogni stella nella sua casa dorata, più del baleno raggiante del sole, e ha con sé una bellezza ineffabile di donna. In mano ha la folgore, la freccia alata di Zeus. Un profumo indicibile si diffonde nel profondo del cielo. Uno stupendo spettacolo: l'aria solleva in volute il fumo d'incenso. Eccolo, ora s'intoni il sacro canto delle Muse.
(Entrano Pistetero e Regina)
Indietro, largo, fate posto. Volate intorno all'uomo beato che ha sorte beata. O splendore, o bellezza! Felici sono per la città le tue nozze.
Grandi grandi fortune toccano per merito suo alla stirpe degli uccelli. Accogliete lui e Regina con l'imeneo, con il canto nuziale.
str.
Con questo stesso imeneo un giorno le Moire congiunsero Era olimpia e il re degli dèi, il signore dei troni eccelsi.
Imene Imeneo.
ant.
Eros fiorente dall'ali dorate reggeva le redini curve, celebrando le nozze felici di Era e di Zeus. Imene Imeneo.
Sono lieto di questi inni, di questi canti; sono lieto delle vostre parole. Ma cantate anche i tuoni sotterranei, la folgore di fuoco, il fulmine terribile ed ardente.
Grande luce dorata del baleno, lancia infuocata immortale di Zeus, tuoni profondi, sotterranei, che portano la pioggia.
Con questi ora scuote la terra colui che ha sconfitto Zeus e al suo fianco ora tiene la sua Regina. Imene Imeneo.
Voi tutti amici alati accompagnate gli sposi alla casa di Zeus e al letto nuziale.
(A Regina)
Dammi la mano, beata, tocca le mie ali e danza con me; leggera ti levo nell'aria.
Evviva, evviva, evviva il vincitore, sommo dio.
(Escono tutti)