Soldati argivi; sgherri egizi, ancelle delle Danaidi Il luogo: un rialzo sacro. Spiccano altari e simulacri di dèi. La vista spazia sul mare e sulla città di Argo
Penetra nell'orchestra il Coro, le Danaidi scortate dal padre Danao. Frasche d'ulivo e fasce di lana nivea segnalano la loro condizione di supplici. Chiude il corteo lo stuolo di ancelle.
Zeus, mia Meta! Curva, trepido, l'occhio su noi pellegrine
imbarcate allo sbocco sabbioso
del Nilo. Addio, paese divino,
terre rasente la Siria! Sbandate
migriamo. No, non espulse da giustizia umana
- ree dichiarate di cruenta colpa -.
No, è il rifiuto dell'uomo. Ci si radica dentro,
nel sangue: e ci fanno disgusto le nozze
coi figli d'Egitto, quel loro
profanante delirio.
Danao, il padre, è la mente di tutto,
dirige la guerra. È sua la mossa finale:
attuò tra le scelte dolenti,
la più fiera, gloriosa:
migrare di volo sull'arco del mare
per ancorarci sulla sponda argiva. Proprio qui
è la nostra radice, ceppo formatosi in lei,
nella vacca. Turbinio dell'aculeo: Zeus la sfiorava,
l'avvolgeva col fiato. Ed è il nostro vanto!
Che paese più umano di questo
potrebbe farci da meta, a noi che impugniamo
i fregi dei supplici: frasche
inghirlandate di lana?
Oh, mia gente, mio suolo, mia acqua lucente;
dèi delle altezze e voi, Potenze del baratro
- sepolcri per covo, dal cupo rancore -
e tu terzo, Zeus Custode, domestica scolta
dei probi, date riparo a noi pellegrine,
a questo sangue di donna, tra folate
d'onesto affetto dalla terra argiva. Lo stormo
denso d'uomini bruti, sangue d'Egitto,
prima che calchi la spiaggia melmosa
scortatelo al largo, con la barca
e il suo volo di remi: laggiù li martelli
uragano di gelo, di folgori e schianti
raffiche, scrosci. S'apra davanti
l'abisso atroce, mortale: prima
dell'assalto a letti ritrosi, ribelli
- Moralità in persona fa scudo! -
del possesso su cugine paterne.
str. I
3
Avrà varcato il mare il mio richiamo
al mio eroe, al torello divino
frutto d'antenata bovina, carezza
di Zeus che l'avvolse col fiato: la prateria fioriva,
si coronava il ciclo fatale. Perfetto
parto. Ed Epafo nacque,
che ha la carezza nel nome.
ant. I
E col gridare di lui, il suo nome,
qui ora, nei recinti erbosi dell'antica madre,
col rievocare quella sua passione
d'un tempo, ecco, io darò prove franche
della mia identità: favole, parranno,
ma spiccheranno chiare alla gente di qui.
Ciascuno saprà la vicenda, mentre si snoda.
str. II
Ci sarà chi scruta gli uccelli canori
in questo paese. Se passa, e intende
il mio pianto, gli parrà d'udire le note
della sposa di Tereo, che il rovello dilania:
l'usignolo ghermito dal falco.
ant. II
Esclusa da campagne, da fiumi
rimodula il pianto su quei luoghi paterni.
e v'annoda la fine del figlio, il massacro
per mano d'uno dei cari - di lei, di sua madre! -
astio snaturato di madre.
str. III
Io sono così. M'affascina il pianto,
queste ioniche note: dilanio le gote
giovani, brune dal sole nilota,
e il seno, ignaro di pianto.
Pianto che sboccia, e lo colgo.
La mia ansia è incontrare chi m'ami,
premuroso di me fuggitiva
- chissà, ci sarà? -
dall'afa fosca stagnate d'Egitto.
ant. III
Esauditemi, dèi ancestrali: Voi
che sapete la sfera del Giusto
- se pure non date che giustizia maturi -
odiate forte l'oltraggio brutale,
fate pesare Castigo sul caso nuziale.
C'è chi la guerra ha disfatto: ma anche per lui
esiste un altare. È fuggiasco, ma in esso
ha un argine al male. È lì
Santità di Potenti!
str. IV
Fosse Zeus, lui, veramente
la vera radice! Nessuno irretisce
la brama di Zeus.
Intrico di tracce boscose è la Mente,
di varchi protesi. Fruga, il tuo occhio
e il mistero rimane.
ant. IV
4
Piomba e non vacilla, non crolla
di schiena la colma realtà
se matura dal gesto di Zeus.
Riverbera cosmica
anche nel buio, nera
occulta vicenda ai viventi.
str. V
Dal vertice d'illusioni abissali
scrolla i viventi, li annulla.
Non imbraccia violenza.
Non è sforzo nel cosmo celeste.
Placido nel suo Volere,
assoluto dal suo santo trono
concreta ogni scopo.
ant. V
Scruti Zeus la brutalità
dell'uomo, come getta radici
rigurgita fiera al pensiero d'avermi,
con protervi slanci.
Rizza delirio smanioso
aculeo senza difesa, conscio, dopo,
della sua colpa del dolo.
str. VI
Svelo ululando il mio povero male
stridulo plumbeo pioggia di pianto
- aaah, aaah! -
s'allaccia a una nenia di morte.
Celebro viva il mio lutto.
efimnio I
Siimi fausta, Apia
ondulata. Terra, comprendi
la mia lingua incerta.
Folate di colpi
sui veli divelti
sul bisso d'oriente.
ant. VI
S'impennano al Cielo più gravi, efficaci
i voti dei probi, nell'ora di morte.
Aaah!
Ventate sfuggenti rischiose
dove mi preda il gorgo bollente?
efimnio I
Siimi fausta, Apia
ondulata. Terra, comprendi
la mia lingua incerta.
Folate di colpi
sui veli divelti
sul bisso d'oriente.
str. VII
Pala, ligneo covo, trama
di sartie, scudo alle onde
mi scortò nella calma, sul filo del vento.
No, non recrimino!
Tutto maturi, col tempo
il cosmico Occhio del Padre,
e fondi esiti propizi, per noi!
efimnio II
5
Alta semenza di nobile grembo
eluda il letto dei maschi
non sposa, non schiava.
ant. VII
Desideri - io lo desidero - scortarmi
con l'occhio Artemide casta
che abita salda le sante mura.
Reagisca alla caccia
con ogni energia.
Inviolata, si faccia bastione
di me inviolata.
efimnio II
Alta semenza di nobile grembo
eluda il letto dei maschi
non sposa, non schiava.
str. VIII
Altrimenti - bruna carne
martellata dal sole -
caleremo da Zeus dell'abisso
patrono degli uomini spenti
noi e le supplci fronde
uccise dai cappi
deluse dai numi celesti.
efimnio III
O Zeus! O Iò
che astio di dea ti frugò!
Indovino livore nuziale
che flette Celesti. Duro maestrale
sprigiona gelido assalto.
ant. VIII
E alla fine sarà lui, Zeus,
preda di critiche giuste:
ha voluto umiliare
il frutto della bestia
che lui stesso plasmò;
ora rilutta, si torce
il suo occhio a chi prega.
Raccolga, lassù, il mio richiamo!
efimnio III
O Zeus! O Iò
che astio di dea ti frugò!
Indovino livore nuziale
che flette Celesti. Duro maestrale
sprigiona gelido assalto.
Dal poggio sui cui era salito, Danao esplora la pianura. Parla rivolto alle figlie.
Figlie, cervello ci vuole. E cervello ne ha, questo vecchio, per avervi segnato la rotta fin qui: fidatevi. Ora siamo sbarcati. Devo essere cauto, guardingo. Perciò vi comando: fate tesoro di ciò che vi dico, incidetelo nelle pagine della mente.
Polvere, vedo! Segnala in silenzio gente che marcia. Ecco la voce dei perni, s'avvitano agli assi. Laggiù! Barbaglio confuso di scudi, palpito d'aste. Cavalli, carri falcati. Certo saranno i prìncipi di questo paese. Li avranno informati le scolte e ora verranno a scrutare chi siamo. Può essere innocuo, o aguzzo d'istinto brutale chi affretta in tal modo la marcia. Tutto può essere. Figliole, è più sicuro assiderci qui, sul rialzo. Guardate, è sacro agli dèi del paese. È saldo l'altare, più che fortezza, è piastra priva di crepe. Accorrete, di volo. Nella mano sinistra terrete solenni la supplice fronda, e il suo niveo serto, santi fregi di Zeus delle Suppliche. Con chi deve ospitarvi, scambiate saluto pietoso, dolente, di chi manca di tutto. Pensate che è giusto così, che voi siete fuggiasche. Squilli nel vostro discorso la nota dell'esilio non sporco di sangue. Dal tono di voce, escludete anzitutto arroganza. Via la frivola irriverenza dai volti
6
composti, dallo sguardo chiaro! Evita sproloqui, ma neppure fatti strappare le parole di bocca. Ci s'esaspera presto, in
questo paese. Devi fletterti, bada. Sei ospite, profuga, manchi di tutto. Stride, impudenza sulle labbra dei fragili.
Padre, parli assennato a gente di senno. Farò tesoro, nel cuore, dei tuoi esperti cenni. Ci scorti con l'occhio, Zeus
capostipite.
Oh certo, con sguardo caldo d'affetto.
S'Egli dispone, sarà lieta la fine.
Non impigrire, ora. Deve concretarsi, il progetto.
Vorrei già esserti accanto, al mio posto.
...
Zeus, misericordia di me, prima ch'io sia disfatta!
Eccolo, il figlio di Zeus. Gridatelo alto il suo nome!
Lo gridiamo: o strali di Sole, datori di vita!
Apollo immacolato, dio fuggiasco dal cielo.
Fatalità familiare per lui. Saprà compatirla.
Oh, compatisca. Sia nostro campione pietoso!
Chi nomino, ora, tra questi Potenti?
Ecco l'arpione, emblema d'un dio.
Fu buona scorta. Sia ospite buono, ora.
Qui vicino c'è Ermes, come s'usa in Grecia.
Sia benedetto araldo a noi, sciolte, sicure!
Prostratevi al santo rialzo, ritrovo di tante Potenze. Posate nell'area solenne, spaurite colombe, sciamanti sotto un volo di falchi, ali fraterne, predatori d'identico sangue, pronti a lordare il legame nativo. È senza macchia, alato che si ciba d'alato? È immacolato, chi sposa contro il rifiuto di lei, e il rifiuto paterno? Neppure nel baratro, morto, evita accusa d'ottusa violenza, se quello è il delitto. C'è uno Zeus diverso sotterra. Si dice che scruti gli errori: sentenze prive d'appello, laggiù tra le ombre stremate.
Attente, seguano questa mia pista le vostre risposte. Lo scopo: ottenere trionfo totale in questa vicenda.
7
Appare il Re, con un seguito di guerrieri e cavalli.
Gruppo sorto da dove, questa sfilata, questo fasto di veli, d'esotiche fasce, cui va il mio saluto? Non ha nulla di greco.
Non è d'Argo questa moda di donne, né d'altri paesi di Grecia. Che audacia, spingervi qui, senza avviso, senza avere patroni, prive di scorta. Eppure non trepidate: mi sorprende, vi dico!
Un momento. Lì, accanto a voi: fronde, rivolte agli dèi del paese. È normale, per gente che supplica: già in questo solo, per indizio, si può ritrovare la nostra terra greca. E avrei motivo di suppore altri fatti, se non fossi tu qui, in carne e ossa, a farci sentire la voce, a chiarirci.
Ragioni giusto sul nostro vestire. Ma io, a chi sto parlando: uomo qualunque, ministro di culto, o capo di Stato?
Dialoga pure con me in tutta fiducia, se è per questo. Vedi, io vengo da Palecthon, l'Indigeno, nato da Terra. Sono Pelasgo, sovrano del luogo. Sfrutta questo terreno la gente pelasga che - chiaramente - nel suo rispecchia il nome di me, suo sovrano. Domino tutta la fascia che il nitido Strimone riga, dalla parte del sole che cade. Cingo i Perrebi, la zona alle spalle del Pindo, accanto ai Peoni, e Dodona montana. Frontiera è la liquida lama del mare: al di qua è il mio dominio.
Noi calchiamo il suolo del paese Apio. Nobile nome, omaggio che affonda nel tempo a un medico, Apis - guaritore veggente - figlio di Apollo. Venne da oltre Naupatto e purgò questa terra da rettili ghiotti di esseri umani. La terra stessa li emise, chiazzata dal sangue di crimini vecchi. Fu sfogo al tormento, quel grumo di serpi, aspri coinquilini dell'uomo. Per la mia terra d'Argo, Apis elaborò la cura, amputando, incantando. Fu perfetto. Per onorario, ha ottenuto che il nome riviva negli inni devoti. Ora potete decifrare chi sono. A te: di che sangue ti fregi? Di' pure, ma attenta, i miei non amano troppo il dire prolisso.
Storia che squilla concisa. Ci fregiamo del sangue di Argo. Seme di madre bovina, maternità benedetta. Io sono pronta a confermare, con ogni prova, questa verità.
Ospiti, mi lascia perplesso la vostra vicenda. Ma come? È sangue argivo il vostro; piuttosto, l'aspetto s'accosta alle donne di Libia, non alle nostre Argive di qui. O il Nilo, parrebbe, alleva un simile ceppo. Oppure il marchio di Cipro, martellato da maschi modellatori nei calchi di donne: v'assomiglia. E poiché so d'Indiane girovaghe issate su femminee selle, su cammelli al galoppo, il cui soggiorno è laggiù, accanto agli Etiopi e poi delle Amazzoni, cannibali che rifiutano l'uomo, a quelle, v'avrei paragonato, se solo foste armate d'archi! Chiaritemi a fondo. Voglio capire come può spuntare da Argo la vostra semenza.
Ministra al sacrario di Era viveva un tempo in questa terra argiva: Iò. Così dicono.
Verissimo. La memoria è viva in chiunque.
...
Non dice la storia che Zeus la prese, quand'era umana?
Abbracci non furtivi abbastanza per Era.
Poi, come si scioglie questa rissa di Celesti?
Bovina fu fatta la donna, dalla dea di Argo!
E Zeus? Non continua il rapporto con la bella giovenca?
8
Nella carne - si dice - di toro schiumante.
E la reazione di lei, della donna regale di Zeus?
Mise addosso alla bestia una scolta tutt'occhi.
Mandriano tutt'occhi per un'unica bestia. Chi era?
Argo, figlio di Terra. Ammazzato da Ermes.
Che malizia ordì per la bestia infelice?
Moscone, trapanante rovello bestiale.
...
"Assillo" lo chiama laggiù la gente del Nilo.
Sicché la sferzò via da Argo. Scorribanda infinita.
Sì, anche questo dettaglio aderisce col mio.
...
Finché giunse a Canopo, e a Menfi.
...
Zeus la sfiora. Dal tocco sboccia una vita.
Chi è il giovane toro di Zeus, figliato dalla bestia?
Epafo! Nel nome ha il tocco che scioglie.
...
Libia. Mette a frutto ... maggiore del mondo.
Qualcun altro fiorisce da lei? Svela.
9
Belo, padre di due. Uno è lui, guardalo, il mio genitore.
Uomo d'alto equilibrio. Il suo nome?
Danao. Fratello è l'uomo dei cinquanta figli.
Non risparmiare la voce. Scopri il nome dell'altro.
Egitto. Ora sai la radice nativa. Dunque ispira l'azione al pensiero d'avere di fronte un gruppo d'Argive.
Sì, capisco che questa radice t'annoda al mio suolo. Ma dite. Perché questa pena, lasciare le mura paterne? Che fatalità v'ha travolto?
Principe. Trascolora il dolore nel mondo. Non esistono pennellate uguali di male. Chi poteva supporlo? Un'incredibile fuga, che avrebbe sbarcato qui ad Argo famiglia legata da sempre al tuo seme. Scatto di terrore e d'odio, via da scandalosi connubi.
Ora spiegami. Perché proprio gli dèi del paese ti fanno da meta? E queste fronde che hai colte, dal serto lucente?
Non voglio curvarmi alla razza d'Egitto.
Parli per odio? O come di cosa immorale?
Chi pagherebbe un prezzo, per aver padroni?
Così cresce robusto il prestigio, nel mondo.
Bell'argomento! Tu vuoi farti da parte, via da noi disperate.
Che fare di voi, per conservarmi devoto agli dèi?
Non tradirci, quando i figli d'Egitto ci vorranno da te.
Guerra che schianta, hai detto. Incertissima.
Giustizia fa scudo a chi si batte per lei.
Se t'è subito a fianco, appena sorge il problema.
Abbi pudore di questa prua d'Argo, delle sue ghirlande!
Mi raggela, m'abbacina quest'ombra di fronde sul poggio.
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Plumbeo è l'astio di Zeus delle Suppliche!
str. I
Odimi, figlio di Palecthon,
principe dei Pelasgi, ben disposto in cuore
guardami: sono io fuggitiva, supplice,
randagia, bestia braccata dai lupi, sui poggi
scheggiati - la sua unica arma sicura -
dove mugghia e confida
l'angoscia al bovaro.
Vi vedo, protette dall'ombra di frasche appena tagliate, pellegrine in attesa agli dèi della terra. Ah, non si faccia maligno il caso delle straniere ospitate. Caso che folgora, strano alla mente: non vorrei si spaccasse lo Stato, per questo. Non è proprio il momento, per Argo.
ant. I
Maligno il mio bando non è! Mi scorti
supplice Moralità, figlia del Prodigo Zeus.
Tu hai mente matura. Io nacqui dopo:
pure devi ascoltarmi. Se rispetti chi prega
non derelitto...
Grati ai sacrari divini
voti di uomini probi.
Ma voi non sceglieste a rifugio il cuore della mia casa! Se è una peste che chiazza intero lo Stato, Argo s'unisca, elabori insieme la cura. Per me, non v'anticipo nulla di serio: riunisco la gente, ne discuto con tutti.
str. II
Sei tu lo Stato, sei tu la gente:
domini, senza rendere conto.
T'appartiene l'altare, cuore domestico d'Argo.
Può tutto, la tua semplice mossa.
Dal trono assoluto attui tutto.
Schiva sacrilega colpa!
Ricada sui miei antagonisti! Non posso aiutarvi senza espormi a rovina. Né mi sorride umiliare il tuo grido. Bloccato!
Angoscia, dentro, m'inchioda: decidere, non decidere, affrontare la sorte.
ant. II
Affonda gli occhi nell'altissimo Occhio
che scorta i viventi
dolenti che ricorrono ai loro
senza fortuna. Santa Vendetta negata!
È paziente rancore di Zeus Pietoso
contro chi è sordo al patire che geme.
Se quelli d'Egitto ti tengono in pugno - è legale, nel vostro paese - insistendo sul fatto che ti sono i più affini di sangue, a chi può piacere la guerra con loro? Tu devi schivare l'accusa, chiarendo che ai sensi del codice egizio quelli non hanno dominio su te.
str. III
Non voglio finire nel pugno
di prepotenza d'uomo. Ci sarà sotto il sole
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mezzo qualunque a sottrarmi
al connubio, all'orrore!
Preferisci allearti a Giustizia!
Decidi: rispetto verso gli dèi!
È critico discriminare così. Non dirmi: "Discrimina tu!". Ripeto: non posso risolvere il caso senza popolo, anche se io sono re. Guai se la folla dicesse - chissà, può mettersi male -: "Pellegrine ossequiasti: e sfacesti lo Stato!".
ant. III
Consanguineo antenato ci scruta, lassù:
ago della bilancia, Zeus che libra imparziale
oltraggio sugli empi, purezza sui retti.
Ora i piatti son pari, sospesi. E tu t'arrovelli,
esiti a fare giustizia?
Bisogna calarsi sul fondo, scandagliare il pensiero. Laggiù è il rimedio. Chiara sfrecciante pupilla, non ebbra: di uno che fruga l'abisso. Devo pensare a una fine serena del fatto: sono in ansia per Argo, poi per me stesso. Oh no, non fiamme di guerra, ferro e fuoco su Argo! Né ci si pianti in casa maligno Rimorso, se vi scaccio dal santo presidio dove siete arroccate. È plumbea Potenza, t'annienta, non puoi redimerti mai, neppure defunto, nel Nulla. Ho bisogno, ho bisogno d'idea che risolve!
str. IV
Sia savia l'idea. Tu suggella giustizia
sii probo patrono.
Non fare di me derelitta fuggiasca
travolta quaggiù pellegrina
da sacrilego bando.
ant. IV
Non lasciare ch'io sia divelta
dal santuario denso di dèi
tu, che in Argo puoi tutto.
Riconoscilo, è squilibrio di maschi.
E quel Rancore... sta' in guardia!
str. V
Bada, proprio sotto i tuoi occhi
brutalità criminale rapina dall'ara
me disperata, puledra artigliata
a redini di fasce, di drappi screziati.
ant. V
Scegli. Ma sappi che i figli, la reggia
sconteranno in base al tuo agire
equo tributo a Castigo.
Calcola tutto: è probo il pugno di Zeus!
Il calcolo è fatto. Duro incaglio. Duello mortale, comunque: con questi, o con gli altri. Ormai è una stretta obbligata. Sono chiglia inchiodata ai paranchi marini. Ma il varo è deciso. Senza patire non c'è soluzione. La tua roba, una razzia te la strappa di casa: ma se Zeus della Roba t'aiuta, altra ne viene, maggiore del danno, e ti rinnova la stiva. La lingua, talora, scocca dove non deve, fitte che scuotono forte, dentro, chi ode: eppure si trova parola che incanta parola. Ma un sangue che è il nostro... no, non sia mai! A impedirlo, fumino tutti gli altari, stramazzino vittime in folla, a questa folla di dèi! È farmaco al male. Oppure mi sfugge del tutto il senso del prossimo scontro. Quanto vorrei essere cieco, non esperto veggente di pena. Forse interpreto male. Speriamo.
Odimi. Ora suggello il mio dire pietoso.
12
T'ascolto, come sempre: nulla mi sfugge.
Ho fasce, cinture. M'allacciano il peplo.
... ogni donna le indossa. È normale.
Pensa, è lì la chiave di tutto, la mia preferita!
Che stai per scandire? Svelalo!
Se non ci accordi impegno fedele...
... trovi in quei lacci la chiave, a che fare?
Arricchire gli dèi di speciali pendagli votivi.
Parli intricato. Sii più semplice e chiara.
Strangolate, appese agli idoli sacri. Subito.
Scudisciata sul cuore, sentirti!
Ora sai. T'ho deterso la mente.
Ostacoli atroci, da punti diversi. Ostico, lottare. Sfacelo m'assale, gonfia fiumana. Oceano cieco, pozzo nero di pena m'accerchia senza spiragli. Non esiste approdo che salva. Se non compio la vostra preghiera, minacci una peste che varca il mio raggio mentale. Se invece resisto agli Egizi - al tuo ceppo - immoto davanti ai bastioni, e duello allo stremo, che spreco amaro, pungente quel sangue d'uomo che chiazza la terra per colpa di donne! Non ho scelta.
Spaventa il rancore di Zeus delle Suppliche. Anzi, è panico vertiginoso per gli esseri umani. Tu, padre venerando di queste giovani donne, abbraccia subito le frasche, posale su ogni braciere dei Potenti patroni di Argo. Che ognuno, in città, scorga l'emblema del vostro viaggio, e la mia scelta non abbia contrasti: piace alla piazza criticare il governo.
Dallo spettacolo, sorge certo un senso pietoso; e rabbia, per l'oltraggio brutale del branco di maschi. Il popolo può farsi più indulgente con voi. Sui fragili si riversa l'indulgenza dell'uomo.
Non ha prezzo, per noi, l'incontro, il legame con chi, umano, ci offre l'asilo. Affiancami guide, e i vostri scudieri, a dirmi la strada ai templi di Argo, agli altari davanti ai sacrari di dèi cittadini, alle sedi degli dèi cittadini; non s'intralci il cammino attraverso i sobborghi. Non è uguale lo stampo delle nostre figure. Il Nilo cresce semenza che non è quella d'Inaco. Attento, passo spavaldo rischia di farsi terrore. Uno non sa e abbatte l'amico. È successo.
In marcia, seguaci. Ragiona bene il nuovo arrivato. Conducetelo ai pubblici altari, culla dei numi. Se incrociate persone, nessuna parola di troppo: state scortando ai santi bracieri uno sorto dal mare. Danao in mezzo alla scorta s'allontana.
Per lui hai disposto. Sa che fare. Proceda. Ma io, io che decido? Che luogo m'assegni, a farmi sentire sicura?
13
Deponi le fronde, traccia della tua passione.
Le poso. Al tuo braccio le affido, alla tua ragione.
Passa quaggiù, dove l'area sacra si spiana.
È lo spiazzo comune. Può farci da scudo?
Non ti lascio agli artigli di uccelli da preda.
Oh, e ai bruti peggiori dei rettili freddi?
Ti si augura bene: solo di bene dovresti parlare.
Non meravigliarti. Ho un incubo dentro, e rilutto.
Propri di donne i terrori ossessivi.
Placaci tu, con la voce e col braccio.
Bene. Vedrai, il padre non ti lascia sola per troppo. Per me, m'avvio, raduno gli uomini d'Argo, preparo il paese a darti soccorso. Intanto, ispiro a tuo padre le parole più adatte. Tu fermati qui. Snoda preghiere agli dèi cittadini, d'avere fortuna in quanto più brami. Io devo andare, concludere tutto. Convinzione sia mia scudiera, con Fortuna che ottiene. Il Re esce.
str. I
Maestosa maestà, benedetto
più d'ogni beato, forza sublime
su tutte le forze, florido Zeus
piegati, storna da queste tue figlie
brutalità d'uomo. Odiala forte!
Inabissa nel gorgo sanguigno
Sfacelo dagli scalmi neri.
ant. I
Curvati, trepido sopra noi donne,
- siamo sangue famoso nel tempo -
risnoda la mite vicenda
della nostra antenata.
Spazi in te la memoria dell'antica carezza
su Iò. Sì, ci vantiamo da Zeus,
cittadine, un tempo, di Argo.
str. II
Rieccomi alla mia radice, alla pista
materna. L'occhio dilaga sui poggi fiorenti
sull'erba che sfama le bestie. Iò da qui
dilegua, al ritmo ossessivo
14
dell'aculeo, smaniando
tocca passando uomini e genti
guada dove il rigurgito s'ingolfa
e sigla fatalmente il varco
da riva a riva.
ant. II
Sfreccia sull'Asia,
varca la Frigia prativa,
Teutra sfiora, caposaldo dei Misi
le conche di Lidia
frenetica passa catene
pamfilie, cilicie
alle fiumane eterne
fino alla terra - forziere abissale di grano -
culla solenne della dea Afrodite.
str. III
Irrompe, trapanata da strale
di bifolco volante
nel sacrario di Zeus che scoppia di vita
prateria che la neve sfama
spazzata da Tifone riarso,
e al fluido Nilo che non sa le febbri.
Spasima folle di martirio vile
di doglia d'aculeo
l'ossessa di Era.
ant. III
Chi popolava quei luoghi
sentì dentro il martello
del grigio orrore: negli occhi il prodigio
ribrezzo di carne bovina
impasto vivo, di bestia
e di donna. Li gelava, la fantastica forma!
In quell'ora, chi ruppe l'incanto
a lei, disperata, fuggiasca?
a Iò mulinata dall'ago?
str. IV
La Forza che trapassa l'eterno
Zeus...
con la stretta - tenaglia indolore -
col miracolo del soffio
placa. Goccia dagli occhi il dolore
pudico bruciante del suo passato.
In seno recava la santa zavorra, è sicuro:
nacque creatura senza difetto.
ant. IV
Visse lieta catena di giorni.
Da allora, la terra grida:
"Eccolo, è lui, autentico figlio
di Zeus, forza vitale!".
Chi poteva spegnere la malizia
febbrile di Era?
Di Zeus è la mano. Vedi, il mio sangue
scorre da Epafo. Dillo, e non erri.
str. V
Non ho ragione d'esaltare Zeus sugli dèi
per i meriti grandi?
15
Vero Padre, seminò di suo pugno la stirpe
millenaria grandiosa sapienza d'artefice,
cosmica arma benigna, Zeus che sorride.
ant. V
Troneggia assoluto su tutti
... domina.
Nulla esiste più in alto di lui, a cui s'inginocchi.
Comanda, e l'esito è subito lì:
si concreta immediata la mente sagace.
Rientra Danao, di ritorno da Argo.
Figlie, fatevi forza. Buoni, per noi, i decreti sovrani presi dal popolo qui, del paese.
Padre, sii benedetto, che m'annunci la vita! Narraci tutto: quanto abbraccia il decreto, su che punto s'addensa l'alzata di mano, forza del popolo unito?
Argo s'è espressa senza oscillare: ed è rinata la vita in questo vecchio cuore! Blocco di popolo. Scatto di destre, le buone: palpita l'aria. Si concreta la legge. Eccola: "Ci trapiantiamo su questo suolo, padroni di noi, immuni da agguati.
Qui è il nostro rifugio solenne. Nessuno al mondo ci tocca: né Argivo, né aggressore straniero. Se si tenta un atto di forza, sia la morte civile, l'esilio ufficiale per chi, cittadino, rifiuta soccorso". Ecco, è il testo. Il re Pelasgo l'ha spinto, perorando per noi. Si sgolava davanti alla gente: badasse, Argo, a non fare carnoso, giorno per giorno, il Rancore di Zeus delle Suppliche, grumo di pesti accoppiate, nostrana e straniera, zanne spettrali, ghiotte di strazio. Non esiste rimedio. Attento, con la destra il popolo siglò la proposta. Non occorse l'appello, per voce d'araldo. Certo, l'assemblea pelasga fu avvinta da propaganda sinuosa. Ma alla fine, Zeus è il sovrano.
È tempo di pregare per Argo:
favorevoli voti, a ripagare favori.
Ospite Zeus vegli lassù
che l'omaggio da ospiti labbra
maturi: integro, immune, reale!
str. I
Ora, sì ora i Celesti, sangue di Zeus
accolgano l'onda di voti
per Argo: che Ares, ingordo d'urla guerriere
in foga di morte non schianti
nel fuoco la gente pelasga,
lui che sempre falcia le vite
in mostruosi solchi.
La salvi l'averci soccorso pietosa,
e quel decreto benigno
e il culto per chi supplica Zeus
- per noi, gregge disperso!
ant. I
Non asseconda brame maschili
quel voto, non umilia
recriminare di donna.
Argo scorse il Castigo nell'occhio di Zeus.
E con lui non si lotta. Badi,
la casa, a non tirarselo addosso,
marchio brutale che attanaglia e distrugge.
Argo ha rispetto della gente fraterna
che supplica Zeus immacolato.
Per questo invocheranno gli dèi
da altari innocenti.
16
str. II
E per questo dalle labbra traluce
- dietro schermo di fronde - l'amica preghiera:
peste umana non spopoli
questo paese;
aggressore non faccia cruenta la terra
con vittime locali;
sia salvo da falce il giovane boccio,
non lo predi immaturo
Ares omicida, che d'Afrodite gode.
ant. II
Folla di vecchi s'addensi
intorno ai bracieri senili, fumanti.
Goda di buon governo lo Stato
nel culto di Zeus maestoso, di Zeus
Patrono, che regola il cosmo con legge
imbiancata dal tempo.
Sia perenne fiorire di nuovi prodotti
per Argo: è la nostra preghiera!
Artemide vegli
sulle doglie materne.
str. III
Strage che strema la carne non prema
devastante alle mura di Argo
armando Ares - si spegne la festa,
la musica tace, pianto dilaga -
e scontro intestino.
Stormo di febbri si radichi
via di qui, mestizia remota;
sorrida Apollo Liceo
alla fresca forza di Argo.
ant. III
Zeus trasformi in giardino felice
questo suolo, frutteto perenne.
Figlino mandrie, greggi ai recinti.
Rigoglio di vita, grazie ai Potenti!
Offrano miti poemi agli altari
i cantori: da labbra innocenti
s'annodi alla lira la voce sorella!
str. IV
Non ceda i poteri, faccia tesoro di sé
la classe che domina Argo,
Potere prudente che pensa per tutti.
Accordi equi trattati
alle genti straniere, prima
d'imbracciare la Guerra. Eviterà sfacelo.
ant. IV
S'eterni il culto degli dèi locali
patroni di Argo: bestie immolate
all'uso dei padri, frasche d'alloro.
Poi l'ossequio a chi diede la vita:
è scolpito per terzo nel codice
di nobile, somma Giustizia.
Danao è di nuovo in vetta, scruta il mare.
17
Stupenda la vostra preghiera, per equilibrio. Ora non trasalite. Il padre ha novità da dirvi, cose che la mente non immaginava. Dall'altura, culla di supplici, avvisto la barca. Si vede bene, purtroppo, non sbaglio: ecco le sartie, il velame, i parapetti in coperta, la prora a pupille sbarrate che fruga la strada, mansueta - oh, fin troppo per noi, cui punta nemica - alla barra pilota in coda alla nave. Spicca la gente sul ponte. Muscoli neri nel lampo di nivei drappi. Ora risalta decisa la squadra, la forza al completo. La capitana, laggiù, sotto costa! Cala le vele, remiga a ritmo totale. State calme. Ragionate. Concentrate la mente sul nuovo problema. Tenetevi strette agli dèi. Io vado, cerco gente che sappia di armi e di legge. Forse sale quassù un emissario. Una missione, forse decisa a rapirvi, a mettervi addosso le mani. No, non tremate, non può succedervi nulla. Ricordate, però: se tardiamo al vostro grido d'aiuto, non staccatevi mai dal vostro riparo. È la cosa migliore. Sta' serena. Nel giorno, nell'ora fatali, sconta tutto chi sfregia gli dèi.
Che incubo, padre. Uno scatto, e le navi son qui! S'abbrevia lo spazio del tempo.
str. I
Paurosa ossessione m'accerchia:
fu bene sicuro la fuga randagia?
Padre l'angoscia diventa delirio.
È punto saldo il decreto argivo. Perciò rasserenati, figlia. Ci sarà battaglia per te, lo sento.
Razza d'Egitto micidiale, furiosa, ingorda di sangue! Inutile, tu sai già tutto.
ant. I
In chiglie compatte - pupille di smalto -
varcarono l'acqua: fulminante furore!
Dietro, densa armata di neri.
Una folla li attende. Muscoli lisci di bronzo, nel sole a picco rovente.
Ti supplico, padre, non lasciarmi sola. Sola,
una donna è nulla. Non ha dentro la forza.
str. II
Frenesia di sfacelo, trappole scaltre
sacrileghe voglie. Razza di corvi!
Santità d'altare non conta, per loro.
Ci darebbe buon frutto, figlia, se questi incarnassero l'odio tuo e del dio.
Non sarà il culto di questo santo arpione, degli dèi maestosi, a sviare da me quella mano predona.
ant. II
Torvi imperiosi, ateo orgasmo
di cani in calore, pazzi di voglia. Menti
chiuse al richiamo di dio.
Ma i lupi schiacciano i cani, è noto. Non piega la spiga, papiro maturo!
Bruti zannuti: ciechi profanatori pieni di smania. È vitale respingere il loro potere.
No, non è breve lo sbarco d'armata navale. Occorre ancorarsi, tendere a terra cavi sicuri: non è da guardiano di navi la leggerezza spavalda all'attracco, soprattutto toccando una costa scontrosa, col sole che già scivola al buio. La notte è madre di spasimi, di doglie all'esperto pilota. Poi, è un disastro calare le truppe, prima che s'acquieti la nave, ferma all'ormeggio. Sei colma d'orrore. Pure, ricorda: evita l'apatia per gli dèi... procurando difesa. Non potrà criticare il corriere, la gente di Argo. Sì, sono vecchio, ma fresco nel fondo di me, e sciolto di lingua. Danao s'allontana.
str. I
O terra, terra e colli, maestà sacrosante
che fine faremo? Che rifugio scovare
sul suolo di Apis, nel buco più nero?
Oh, rinascere cupa voluta
che approda alle nubi di Zeus,
si scioglie nel nulla;
stremarmi, polvere vana
che senz'ali s'impenna nell'aria.
ant. I
Spasimi senza spiragli.
Il cuore è risacca, sotto cappa nera.
L'allarme paterno mi preda: gorgo d'orrore.
Il sogno sarebbe trovare
laccio fatale - una forca -
prima che sacrilega mano
m'accarezzi la carne. La preceda
la Morte: sua, sua, preferisco!
str. II
Disporre d'un seggio perso nel cielo
dove nube stillante rinasce nei fiocchi!
O di vertigine nuda, nido sassoso
di falchi, ignoto, precipizio scontroso
spopolato di capre
teste sicura d'un balzo nel vuoto
prima che incroci
devastante stupro di nozze.
ant. II
Trofeo per le cagne. Pasto
ai rapaci. Fine cui non dico di no.
Morire ti scioglie
da stridula angoscia.
Corri, Morte
precedi la notte di sposa.
Mi resta spiraglio, varco
ad eludere il nodo nuziale?
str. III
Scagliate nell'aria note di voci
supplici nenie ai Celesti
...
...
La violenza nemica
merita la tua occhiata tremenda.
Onora le tue Supplici, sovrano
Onnipotente di Argo, o Zeus!
ant. III
Ceppo d'Egitto - intollerabile
per maschia prepotenza - mi bracca,
maschi rapaci sui passi di donna
fuggitiva in delirio di grida
spasimo bruto di preda.
Su Te s'impernia il fulcro
19
del cosmo: fuori di te
non esiste vera realtà.
In distanza, l'Araldo degli Egizi, con scorta armata.
Aaah!
lui, razziatore
pirata
ladrone
strémati, prima del colpo.
Aaah!
voltati.
Boato abbagliante il mio grido.
Lo vedo, s'apre la danza brutale della mia passione.
Aaah!
Rifugiati, svelta, al riparo.
Bollire di torva malizia
atroce per terra e per mare.
Principe d'Argo, soccorri.
Le donne abbracciano gli altari. Irrompe l'Araldo, con la scorta guerriera.
Forza, muovete le gambe
alla barca.
Ah no, ah no?
Vi scotenno, vi marchio
v'ammazzo, sangue su sangue
vi stacco la testa.
Scattate, v'ammazzo...
str. I
Ti fossi dissolto
nel varco salso, pieno di correnti
tu, l'arcigna superbia dei tuoi
e il tuo legno chiodato!
Cruente...
Fa' come ti dico. Deponi
la brama che ti spacca la mente.
Via dall'asilo, svelta, all'imbarco.
...
ant. I
Non tornerei a vedere quel flusso
gravido di forza animale:
da esso, nell'uomo rigoglio
di giovane sangue, pullulante di vita.
...tu sulla nave
di volo salirai
disposta o non disposta.
A gran colpi andrete lontano.
...
20
str. II
Meriti morte disperata
nel cerchio misterioso d'abisso
sbandato tra raffiche fosche
costeggiando le dune
che a Sarpedone fanno da bara.
Ulula, stridi, supplica dio:
non scavalchi la tolda egizia!
Ulula, sgolati. Grido
più acre del pianto...
ant. II
...
Nilo potente ti scruta. Ti annienti!
Disintegri la tua insolenza!
Ripeto, sali di volo in coperta, sullo scafo falcato. Nessuna sia pigra.
(Si volge alla scorta)
Altrimenti, artigliate. Non ha senso il rispetto alle ciocche.
str. III
Padre, aaah!
...
Rude rapisce
zampe di ragno
incubo buio.
Aaah! Terra Terra madre
svia l'angoscia.
O figlio di Terra, Zeus Re!
Non temo le Potenze di qui. Non loro mi hanno cresciuto, non m'hanno fatto maturo.
ant. III
Smania davanti bipede rettile
vipera, sembra
...
Aaah!
O Terra madre, svia
l'urlo ossessivo.
O figlio di Terra, Zeus Re!
Se qualcuna m'elude e non corre alla nave, squarci senza pietà sul tessuto dei veli.
Le donne scorgono in lontananza il Re.
È finita per noi. Principe, bruto tormento ci danno.
21
Principi in folla vedrete, i figli d'Egitto! State serene, non direte "mi manca un padrone"!
O principe, siamo in ginocchio. Sofferenza disumana.
Sarete divelte per i capelli, mi pare. Non penetrate il senso dei miei comandi.
Irrompe il Re.
Uomo che fai? Che ti viene in mente, sfregiare la patria di gente pelasga? T'illudi che sia terra di donne? Forestiero che
sei, ti scaldi troppo con noi, gente greca. Brutto sbaglio, e non l'hai corretto. Non sai ragionare.
Errori, violazioni del giusto. Ma quali?
Primo. Non capisci che sei un estraneo.
Come? Scovo ciò che avevo smarrito.
Hai fatto ricorso a patroni locali?
Al più autorevole, a Ermes che Scova.
T'appelli agli dèi e non hai religione.
Il mio culto va ai Celesti del Nilo.
Per i nostri nulla, a quanto capisco.
Ora io prendo le donne, se nessuno me le toglie di mano.
Sfiorale. Gemerai senza attendere troppo.
Suona nemico al tuo ospite il detto.
Non ho ospiti tra i violatori di dèi.
Parto, dico tutto agli Egizi. Se posso...
Non è pascolo per il mio pensiero.
Tanto per fare relazione accurata e cosciente - deve spiccare lucente l'annuncio d'araldo - come, per che mano dirò di tornare razziato dello stuolo fraterno di donne? Ares per questi processi non si serve di testi. Non scioglie la rissa con prezzo in moneta. Stramazzeranno molti guerrieri, prima, scalciamenti d'agonia.
22
Il mio nome, che serve? Verrà la sua ora, e ben lo saprete, tu e i tuoi seguaci. Le donne puoi anche condurle. Ma solo se inclini, col sorriso nel cuore: se le piega serena ragione. Blocco di voti, espressione del popolo d'Argo ha sancito che senza consenso non si cede questo gruppo di donne. Chiodo passante, martellato di qua e di là: nessuno lo smuove. Sono fatti, non incisi su pagine scritte, né siglati su ravvolto papiro, ma le apprendi squillanti da libere labbra.
Spostati, svelto, dal tiro degli occhi.
Rifletti. Ecciti scontro inaudito. Vittoria e dominio tocchino ai maschi.
Maschi, sì, vi si faranno incontro, gente di qui, che non beve l'ebbrezza dell'orzo.
(L'Araldo e la scorta s'allontanano).
Voi, riprendete coraggio. Sfilate con le vostre ancelle fin dentro alla rocca munita, fasciata da spesso sistema di torri.
Dentro, abbondano case che sono di tutti: ma anche il mio patrimonio di case non è certo meschino. Laggiù v'è concesso fermarvi tra mura dotate di agi, in mezzo a molte famiglie. Se altro è il vostro piacere, v'è concesso di scegliere stanze isolate. Sta a voi. Tra le offerte cogliete la più gradita, la più colma di gioie. Garante sarò io stesso, e con me tutta Argo autrice del voto che, finalmente, si fa realtà. O vorresti patroni più seri?
Rigoglio di bene ti compensi del bene
maestà dei Pelasgi:
sii cortese, fa' scortare da noi
- ci rassicura, il padre -
Danao, nostra mente, nostra guida prudente.
Sta a lui riflettere dove convenga
fissare la sede,
...
il punto più quieto.
Se sente parlare straniero, ogni lingua
critica, scatta. Solo bene, ci tocchi!
Vogliamo la lode, non la ciarla maligna
dei nostri vicini: schiave,
per questo, allineatevi giuste
ciascuna con la vostra padrona,
come Danao spartì la dote di serve.
Il Re s'è già allontanato. Rientra Danao.
Figlie, pregate, pregate per Argo! Fate offerte, di fiamme e bevande, come a dèi di lassù! Ci ridanno la vita, non tentennano. Masticavano amaro, mentre dicevo come v'hanno trattato i cugini. Gente di famiglia, parevano, a vedere l'affetto. Guardate, mi schierano accanto scorte armate di picca. Scorta onoraria: che improvvisa, nell'ombra, non mi stenda una lancia fatale. Peste sarebbe, che ripullula eterna su Argo! Equilibrio vi diedi, con gli avvisi paterni. Voi li annotaste. Ora, in aggiunta, scolpitevi dentro anche questo: gente forestiera subisce l'esame del tempo. Sull'emigrante, è svelta a scattare la lingua cattiva. La chiacchiera sfreccia, t'infanga. Quindi vi dico: che non spiova su me il disonore!
Siete primavera in fiore, e gli uomini girano l'occhio. Morbida primizia è tesoro rischioso. L'assaltano bruti e maschi - c'è bisogno di dirlo? - rapaci di cielo e di terra. Afrodite sbandiera rugiadosi frutteti... Chiunque, sfiorando per via il tiepido incanto di fresca bellezza, scocca lo strale, la magica occhiata. Passione che strema! Reagiamo. Non dobbiamo ricadere nel guaio già radice di tanto patire, di tanto rigare col legno lo spazio marino. Non lavoriamo per coprirci di fango, e far ridere chi odio. Possiamo sistemarci in due modi: c'è l'offerta del Re, e l'altra di Argo, gratuite. Accettiamo di volo. Solo, fa' tesoro della scuola paterna, onora equilibrio più della vita.
Ad altre grazie penseranno gli dèi di lassù. Per la mia primizia non temere, padre. Se non esiste qualche strano progetto divino, il mio sentire è quello di sempre, non si perverte. Danao si ritira.
str. I
Inneggiamo agli dèi benedetti
sovrani del borgo
pilastri di Argo, a quelli disseminati
sull'Erasino che fluisce da sempre.
Mie seguaci, fate eco al mio inno!
23
Avvolge la lode lo Stato pelasgo.
Non sarà più lo sgorgo nilota
cuore del canto glorioso:
ant. I
ma l'acqua che riga - sereno
limpido flusso - la terra
di Argo. Fiorisce la vita, indora la piana
di lieve dolcezza quest'onda di fiume.
Lassù, Artemide intatta mi segua
con occhio benigno. Non mi tocchi
- stretta fatale - legame di nozze. Su Afrodite
ricada questa prova orrenda.
str. II
Non nega Afrodite, a lei è devota,
questa nostra schiera.
Al fianco di Era, può tutto su Zeus.
La dea maliosa è onorata
per la sua arcana energia.
Fanno ala fedeli alla madre
Brama, e Seduzione - l'incanto
che non sa delusioni -
anche Armonia il fascino avvolge
e ...degli Amori.
ant. II
Sussulto: già vedo raffiche ostili
strazi, lotte cruente per le donne in fuga.
Perché ai predoni corsari
fu dato facile varco sul mare?
Ogni parte è già fatta. Inesorabile futuro!
Immenso infinito la mente di Zeus:
nulla esiste al di là.
Potranno finire come già molte:
sposate.
str. III
- Zeus maestoso stornerà
le nozze col ceppo d'Egitto.
- Potrebbe essere la cosa migliore,
ma non ci credo, e tu non mi convinci.
- Non conosci che porta il domani.
ant. III
- Dovrei frugare la mente
di Zeus, baratro cieco?
Pronuncia preghiera più umana.
- Quale buon consiglio m'insegni?
- Niente eccessi, con dio!
str. IV
Zeus Sovrano salvaci
da nozze con ostico sposo,
devastanti. Come Iò:
le hai dato sollievo
passando la magica mano
tenaglia soave.
ant. IV
Conceda vittoria a noi donne.
24
Un po' di bene si mescoli al male,
perfino due punti di male su tre:
mi contento. Che giustizia
esegua il giudizio, grazie ai miei voti
all'ingegno di dio, che riscatta.