Ti saluto, reggia di Admeto, dove io, un celeste, mi sono adattato a un'esistenza di servo. Di chi la colpa? Ma di Zeus. Aveva ucciso mio figlio Asclepio, fulminandolo in pieno petto con la folgore e io, sdegnato, sterminai i Ciclopi, i fabbri delle saette di Zeus. Mio padre me la fece scontare, mi costrinse a servire nella casa di un mortale. Sono disceso in quest'angolo di terra, a pascolare le greggi del mio ospite: a tutt'oggi ho vegliato sulla sua dimora. Io, un essere sacro, mi ero imbattuto in un individuo devoto, il figlio di Ferete, e così l'ho salvato dalla morte, raggirando le Moire, le dee del destino. Mi concessero, le dee, una possibilità: Admeto sarebbe sfuggito alla fine imminente, se riusciva a offrire un'altra vittima alle potenze dell'oltretomba. Ha chiesto a tutti i suoi amici, Admeto: è corso di qua e di là [persino dal padre e dalla vecchia madre che lo aveva messo al mondo]. Ma non ha trovato nessuno disposto a sacrificarsi, a non vedere più la luce per lui, tranne questa donna, che ora stanno trasportando, agonizzante, là dentro: perché tocca a lei, oggi, morire, uscire dalla vita. Io sto lasciando questa casa, il mio amatissimo riparo, per evitare di venir contaminato. Ma guardala, è già lì, la Morte, la sacerdotessa dei defunti, pronta a condurre il cadavere nell'Ade: è arrivata puntuale, spiava il giorno in cui la donna doveva spirare.
Ah, ah! Cosa ci fai accanto alla reggia? Come mai vagoli nei dintorni, Febo? Ricominci a offendere i diritti dell'aldilà, ci riprovi a limitarli, a calpestarli. Non ti è bastato strappare Admeto al suo destino, ingannare le Moire con arte subdola? Eccoti di nuovo qui, ti sei armato di arco e frecce per proteggere lei, Alcesti, la figlia di Pelia, che ha acconsentito a riscattare la vita del marito offrendo in cambio la propria.
Sta calma: ho dalla mia la giustizia e nobili ragioni.
Ah, sì? E a cosa ti servono arco e frecce, se hai dalla tua la giustizia?
Ho l'abitudine di portare sempre con me le mie armi.
E di soccorrere, illegalmente, questa reggia.
Ma perché sono abbattuto per le disgrazie di un amico.
E intenderesti strapparmi questo secondo morto?
Veramente, neanche il primo te l'ho tolto a forza.
Ah, no? E come mai è sulla terra e non sottoterra?
Sua moglie si è sostituita a lui; e tu sei venuta a prenderla.
Esatto, me la porterò via, nell'oltretomba.
D'accordo, portatela via; non credo che riuscirei a convincerti...
A sopprimere chi di dovere? Il mio compito è questo.
... a concedere una dilazione alle tue future vittime.
Capisco il tuo ragionamento e le tue intenzioni.
Non c'è modo, per Alcesti, di giungere a vecchiaia?
No, non c'è: anche a me, credilo, piace venire onorata.
Ma in fondo si tratta sempre di una vita, chiunque tu ti pigli.
Maggiore guadagno, per me, se muoiono dei giovani.
Ma i funerali di un vecchio sono più sontuosi.
Febo, tu stabilisci leggi a favore dei ricchi.
Cosa hai detto? Sei anche sofista e non me ne ero accorto!
Chi ha denaro, si comprerebbe il privilegio di morire da vecchio.
Insomma, questo piacere non vuoi farmelo?
No, le mie abitudini le conosci.
Abitudini odiose ai mortali e malviste anche dagli dèi.
Non puoi avere tutto quello che non ti spetta.
Ti giuro che anche tu, con tutta la tua durezza, dovrai cedere. Alla reggia di Ferete sta per arrivare un grande eroe, Eracle: il re Euristeo lo ha mandato a impadronirsi di certe cavalle nelle selvagge regioni della Tracia. Verrà ospitato nella casa di Admeto e ti strapperà dalle mani questa donna. Così non avrai da me nessun grazie, e farai lo stesso quello che voglio, e ti sarai guadagnata la mia avversione.
Parla, parla, tanto non concluderai nulla. Questa donna dovrà discendere nell'Ade. Mi affretto a raggiungerla, a iniziare il rito con la mia spada: basta che questa spada recida un capello dalla testa di qualcuno e quel qualcuno è consacrato agli dèi dell'oltretomba.
Come mai tutto tace davanti alla reggia?
Perché la casa di Admeto
è avvolta nel silenzio?
- Vicino a me, non c'è nessuno degli amici
per dirmi se devo piangere la regina morta
o se Alcesti, la figlia di Pelia,
vive, vede ancora la luce.
Per me e per tutti si è dimostrata
la migliore delle donne verso il suo sposo.
str. a
- Vi arrivano all'orecchio gemiti,
lamenti, il rumore di colpi battuti contro il petto,
come se tutto fosse finito?
- Neppure un'ancella
staziona davanti alle porte.
- Se almeno tra i marosi della sventura
apparissi tu, Pean, dio della salvezza!
- Non starebbero zitte, se fosse morta.
- No, il cadavere non l'hanno portato fuori.
- Come lo sai? Io ne dubito. Cosa ti rende sicura?
- Admeto avrebbe dato esequie private
a una moglie così straordinaria?
ant. a
- Non scorgo davanti alle porte
vasi d'acqua lustrale: e si usa
dove c'è un morto.
- Nell'ingresso non c'è traccia di capelli recisi,
ma il lutto comporta chiome rase,
né arriva l'eco
di giovani donne che si battono il petto.
- Eppure è oggi il giorno fatale...
- Fatale, perché?
- ... in cui deve scendere sottoterra.
- Mi hai piagato mente e cuore.
- Quando la sventura strazia i buoni,
le persone di animo nobile
debbono avere compassione.
str. b
- Non c'è luogo della terra
raggiungibile per nave
né in Licia,
né nelle aride
sedi di Zeus Ammonio
capace di salvare la vita
di questa infelice creatura.
Si presenta scosceso il destino,
non esiste sacerdote o altare a cui rivolgermi.
ant. b
Lei potrebbe ritornare dai cupi recessi,
dalle porte dell'Ade,
se ancora vedesse la luce
il figlio di Febo,
che faceva risorgere gli estinti
prima di essere colpito
dalla folgore rossa di Zeus.
Ma ora quale speranza mi rimane
per la vita di Alcesti?
[Il re aveva disposto ogni cosa:
bruciano sugli altari per tutti
gli dèi molte offerte cruente:
ma non sussiste rimedio al male.]
- Guarda, un'ancella sta arrivando, in lacrime. Che notizie ci porta? Il pianto si spiega, se sta capitando qualcosa di grave ai padroni. Ma se lei fosse ancora viva? O è morta? Vogliamo saperlo.
Puoi definirla viva e morta nello stesso tempo.
Ma come fa una persona a essere viva e morta nello stesso tempo?
Ha reclinato il capo, sta agonizzando.
Non ci sono più speranze di salvezza?
No, il giorno fatale incalza.
Ma si è pensato ai dovuti onori funebri?
È già pronto il corredo che lo sposo seppellirà con lei.
Povero Admeto, di quale donna viene privato un uomo come te!
Non se ne rende ancora conto, deve provarlo, prima.
Sappia almeno, Alcesti, che morirà gloriosa: il mondo non ha mai visto una donna così straordinaria.
Straordinaria, come no? Chi oserebbe negarlo? Come dovrebbe essere una donna per superarla? Alcesti ha dimostrato di onorare il marito nel modo più grande, accettando di morire per lui. Ma questo è noto all'intera città. Senti ora, e te ne stupirai, come si è comportata dentro la reggia. Quando si accorse che era giunto il giorno prestabilito, bagnò con acque di fiume il proprio candido corpo, scelse con cura dalle stanze in legno di cedro il vestito e gli addobbi. In piedi, davanti al focolare, così si rivolse a Estia: «Signora, io sto per scendere sottoterra e per l'ultima volta ti supplico, adorandoti, di prenderti cura dei miei figli: concedi all'uno una moglie che lo ami, alla seconda uno sposo dal nobile sentire. E, ti prego, fa' che non muoiano prima del tempo, com'è toccato a me, loro madre, ma che felici vivano intera una lieta esistenza nella terra del padre». Si accostò a tutti gli altari del palazzo, depose corone di fiori e pregava, staccando foglie dai ramoscelli di mirto, con gli occhi asciutti, senza un gemito: la morte imminente non segnava di pallore il suo bel volto. Ma alla fine, gettandosi sul letto della stanza nuziale, eruppe in pianto e disse: «Caro letto, dove offersi la mia verginità all'uomo per il quale ora muoio, addio. Non ti odio, tu hai condotto alla rovina me sola: io muoio per non tradire te e il mio sposo. Un'altra donna ti avrà e sarà forse più fortunata di me, ma non più fedele». Cadde in ginocchio e baciava il letto, inondando le coltri con un fiume di lacrime. Poi, sazia di pianto, si allontana a capo chino, esce dalla stanza per rientrarvi più e più volte, per gettarsi ancora sul letto. Aggrappati alle vesti della madre, i figli singhiozzavano: lei li strinse a sé, li abbracciava, prima uno, poi l'altro, perché sentiva di morire. Tutti i servi del palazzo piangevano, commiseravano la padrona. Lei porse la mano a tutti, rivolse a tutti, anche ai più umili, il suo saluto che venne ricambiato da tutti. Ora conosci la sventura che ha colpito la casa di Admeto. Se fosse morto, sarebbe finita per lui: ma scampando alla morte si è procurato un dolore di cui non si scorderà mai.
Admeto, patisce molto, vero, per questa sventura, per il destino che lo priva di una moglie così nobile?
Si dispera, stringe a sé la moglie, la supplica di non tradirlo, chiede l'impossibile: lei si sta spegnendo, consunta dal male. È sfinita, misero peso fra le sue braccia, respira ancora, debolmente: ma vuole guardare la luce del sole [, perché non la vedrà più, e questa è per lei l'ultima volta in cui contempla i raggi e la sfera del sole]. Vado a riferire che siete qui: non tutti sono così attaccati ai sovrani da star vicino a loro nelle disgrazie: ma voi, da molti anni, siete amici fedeli dei miei padroni.
str.
Zeus, ci sarà mai, e dove,
una via di scampo alla sorte crudele
che incombe sui miei padroni?
- Ahimè!
Esce qualcuno dalla reggia?
O devo recidermi i capelli,
indossare le nere vesti del lutto?
- È terribile, amici, terribile.
Ma rivolgiamo preghiere agli dèi:
il loro potere è grande.
- Apollo, signore,
storna le sventure da Admeto.
- Pensaci tu, pensaci,
un tempo lo hai trovato il rimedio,
allontana da lui la morte,
respingi l'Ade, il dio assassino.
ant.
- Ahimè,
figlio di Ferete,
in che frangente ti trovi,
hai perduto la tua compagna.
- Ohimè,
impiccarsi a un alto cappio
o meglio, sgozzarsi con un pugnale
questa sarebbe la giusta risposta.
- Oggi vedrai morire
la donna che ami
che ami profondamente.
- Eccola, eccola:
avanzano fuori dalla reggia lei e Admeto.
- O terra di Fere, grida, piangi,
sulla migliore delle donne,
su di lei che scende tra i morti,
segnata dal male.
Basta proclamare che le nozze recano gioia più che dolore: me lo provano gli eventi passati e vedo la sorte che tocca oggi al mio re. Ha perduto una sposa esemplare: avrà in futuro una vita che non è più vita.
str. a
O sole, o luce del giorno
e voi, turbini celesti
di nuvole in fuga.
Il sole ci vede, scorge la nostra miseria. Siamo innocenti di fronte agli dèi: eppure, tu muori.
ant. a
O mia terra e casa
e letto nuziale
nella paterna Iolco.
Fatti forza, povera infelice, non mi lasciare, implora gli dèi potenti di avere pietà di te.
str. b
Vedo, vedo nella palude la barca
e il traghettatore dei morti, Caronte:
impugna una lunga pertica,
mi chiama: «Perché indugi? Sbrìgati,
tu mi sottrai tempo». Mi fa fretta,
irosamente.
Ahimè, mi parli di un viaggio amaro. Povera creatura, cosa dobbiamo patire.
ant. b
Qualcuno mi trascina via - non vedi? -
Mi trascina verso il regno delle ombre.
Ha le ali... nei suoi occhi cupi, semichiusi,
splende la morte.
Che fai? Lasciami!
Mi inoltro, disperata, per un'orribile strada.
Tristissima per chi ti ama, e soprattutto per me, per i figli, accomunati in questo dolore.
ep.
Lasciatemi, lasciatemi,
posatemi giù: le gambe non mi sorreggono.
L'Ade è vicino. Striscia furtiva
sui miei occhi la tenebra della notte.
O figli, figli, non avete più madre.
Vi auguro, figli, di vivere felici.
Ahimè, sento parole dolorose, peggiori per me di ogni morte. Non essere così crudele da abbandonarmi, te ne prego, per gli dèi, per questi figli che lascerai orfani. Non cedere, fatti coraggio! Se tu muori io non sono più niente: solo per te esisto e vivo. Mi prostro davanti al tuo amore.
Admeto, tu vedi come vanno le cose per me. Prima che arrivi la fine, vorrei comunicarti i miei desideri. Ti ho onorato, ti ho permesso, dando in cambio la vita, di godere ancora la luce del sole: muoio per te, e mi era possibile non farlo, prendermi, ad arbitrio mio, uno sposo fra i Tessali, abitare in una casa sovranamente ricca. Ma non ho voluto vivere priva di te, con i figli orfani, non ho esitato a sacrificare la giovinezza di cui godevo, io. Ma l'uomo che ti ha generato e la donna che ti ha partorito, ti hanno tradito entrambi: eppure erano arrivati a un'età in cui è bello andarsene, salvare il figlio e morire gloriosamente. Eri il loro unico figlio, scomparso te non potevano sperare di metterne al mondo un altro. Avremmo avuto davanti a noi ancora molti anni, tutti e due, e tu non piangeresti ora per avere perduto la sposa, non ti toccherebbe allevare da solo i figli. Ma un dio ha deciso che le cose andassero così. Lasciamo stare. Serbami gratitudine per tutto questo. Io non ti chiederò un favore uguale - niente è più prezioso dell'esistenza -, ma giusto, e lo ammetterai.
Tu, da buon padre, ami i tuoi figli come li amo io. Lasciali padroni della mia casa, non dargli una matrigna, sposandoti di nuovo. Sarà cattiva, in confronto a me, alzerà la mano contro i tuoi, i miei figli, per gelosia. Non mi fare questo, ti prego. La nuova arrivata, la matrigna, detesta i figli del primo letto, non è più gentile di una vipera. E poi, il maschio ha nel padre una torre robusta [e gli può parlare e avere risposta]. Ma tu, figlia mia, come verrai cresciuta per diventar donna? Che tipo di matrigna ti capiterà? Non vorrei che infangando il tuo nome ti rovinasse le nozze mentre sei nel fiore degli anni. Tua madre non ci sarà alle tue nozze, non ti farà coraggio al momento del parto, assistendoti, ed è il momento in cui non c'è niente che valga una madre. Io devo morire: e non domani o dopodomani del mese, ma fra poco entrerò nel novero dei più. Addio, siate felici: potete vantarvi tu, marito, per la moglie e voi, bambini, per la madre meravigliosa che avete avuto.
Sta' tranquilla, non esito a parlare in nome di Admeto: farà come dici tu, se non è uscito di senno.
Proprio così, proprio così: non aver paura. Da viva eri mia moglie e anche da morta sarai nota come la mia unica moglie: nessuna donna tessala prenderà il tuo posto, chiamerà Admeto «marito mio». Non esiste un'altra donna di stirpe tanto illustre né di bellezza pari alla tua. Quanto ai figli, mi bastano quelli che ho: chiedo solo agli dèi che costituiscano il mio conforto, visto che ho perduto te troppo presto. Il lutto per te non lo porterò per un anno, ma per sempre, finché vivo, insieme all'odio per chi mi ha partorito, al rancore per chi mi ha generato: mi amavano a parole, e non di fatto. Tu hai offerto, in cambio della mia vita, quanto c'è di più caro e così mi hai salvato. E non devo piangere se perdo una compagna come te? Niente più feste, niente più simposi e convitati, niente più ghirlande: e via anche la musica che riempiva le mie stanze. Non mi sentirei più di prendere in mano una cetra, non mi darebbe sollievo cantare al suono del flauto libico: tu mi hai tolto ogni gioia di vivere. Mi farò scolpire da un bravo artista una statua che ti raffiguri, la collocherò sul nostro letto. Mi getterò su di essa; la stringerò fra le braccia, pronunziando il tuo nome e mi sembrerà di stringermi a te, anche se non è vero. Una fredda gioia, d'accordo, ma anche una consolazione per la mia anima oppressa. Verrai a visitarmi in sogno e io sarò felice: è dolce vedere i propri cari anche di notte, per il tempo che ci è concesso. Magari avessi la voce e il canto di Orfeo, per ammaliare la figlia di Demetra o il suo sposo e così portarti via dall'Ade. Scenderei tra le ombre, e né il cane di Plutone né Caronte, il nocchiero delle anime potrebbero impedirmi di restituirti alla luce. Ma così come stanno le cose, aspettami, finché non giunga il mio ultimo giorno: prepara la dimora, dove tu e io abiteremo insieme. Ordinerò ai miei figli di depormi nella tua stessa bara di cedro, giaceremo fianco a fianco: neanche da morto voglio restar separato da te, l'unica persona a me fedele.
Parteciperò, da amico, al grave cordoglio di un amico: lei se lo merita.
Figli, lo avete sentito con le vostre orecchie vostro padre dire che mai vi imporrà una matrigna, che non mi farà questo torto.
Lo ripeto, e terrò fede all'impegno.
A questi patti, accogli i nostri figli dalla mia mano.
Li accolgo, come amato dono di una persona amata.
Gli farai tu da madre, al mio posto.
È davvero necessario, visto che vengono privati di te.
O figli, scendo nell'aldilà proprio quando dovevo vivere.
E io, cosa farò io, senza di te?
Il tempo ti consolerà: i morti non sono più niente.
Portami con te, per gli dèi, portami laggiù.
Non basta che io muoia al tuo posto ?
O mio destino, di che moglie mi privi!
La tenebra già mi scende sugli occhi.
Ma io sono perduto, se tu mi vieni a mancare, moglie.
Puoi dire di me, ormai, che non sono più nulla.
Solleva il volto, non lasciare soli i tuoi figli.
Io non lo voglio, ma vi devo dire addio, figli.
Guardali, guardali, ti prego.
Io non sono più nulla.
Che fai? Ci abbandoni?
Addio.
È lo sfacelo, per me.
Se ne è andata la moglie di Admeto, è morta.
str.
Povero me, che sorte crudele la mia. La mamma
mi è stata rapita dalle tenebre,
è morta. Padre mio, mi ha abbandonato,
mi ha lasciato orfano. Come sono infelice.
Guarda i suoi occhi sbarrati, le mani rigide.
Rispondimi, ascoltami, madre,
ti prego. Io ti invoco, madre, io,
il tuo piccolo,
accosto il mio viso al tuo.
Non vede più, non sente più: che tremenda disgrazia ha colpito voi e me.
ant.
Padre, sono un ragazzo e mi ha lasciato solo,
mia madre, solo: è un dolore tremendo.
E tu hai patito con me, sorella.
Padre,
sono state inutili le tue nozze:
non siete giunti a vecchiaia insieme.
È morta prima. Te ne sei andata, madre,
e la nostra famiglia è distrutta.
Admeto, devi rassegnarti alla tua sventura: non sei il primo e non sarai l'ultimo a venir privato di una brava moglie.
Tutti noi abbiamo un debito con la morte: ammettilo.
Certo, e la disgrazia non mi è piombata addosso all'improvviso. Lo sapevo e mi ci tormentavo da tanto. Ora, però, devo procedere alle esequie. Restate qui, voi, e fate eco al peana in onore del dio sotterraneo, che non accetta libagioni. Io invito tutti i miei sudditi tessali a prendere parte al lutto per questa donna, a rasarsi il capo, a indossare nere vesti: i proprietari di quadrighe e di puledri da sella recidano con il ferro le criniere dei cavalli. Per un intero anno non deve sentirsi in città musica di flauti, suono di cetre. Non seppellirò mai il cadavere di un'altra creatura a me più cara di questa, né migliore verso di me. Si merita i più ampi onori, perché lei sola ha accettato di morire al mio posto.
str. a
Addio, figlia di Pelia,
sii felice laggiù
nelle oscure case dell'Ade.
Deve sapere l'Ade, il dio dai neri capelli,
e il vecchio che traghetta le ombre
stando ai remi e al timone,
deve sapere di avere portato sulla sua barca
oltre la palude di Acheronte
la donna più nobile,
sì, la più nobile che esista.
ant. a
Spesso ti celebreranno i poeti
con inni accompagnati dalla cetra
silvestre, a sette corde
o con semplici cori
a Sparta, quando ricorre il ciclo
delle feste Carnee, in autunno,
e la luna si leva alta nel cielo,
a Atene, splendida e opulenta città.
Morendo hai offerto
argomento di canto agli aedi.
str. b
Se dipendesse da me,
se ne fossi capace,
ti riporterei alla luce
dalle case dell'Ade
dalle correnti del Cocito,
trovando remi adatti ai fiumi d'oltretomba.
Perché tu sola, prediletta fra le donne,
tu hai liberato, liberato il tuo sposo dalla morte
sacrificando la vita.
Che la terra ti sia leggera.
E se tuo marito
accogliesse una nuova moglie nel suo letto,
grande sarebbe l'odio nostro e dei figli.
ant. b
La madre si è rifiutata di
scendere nella tomba al posto del figlio
e anche suo padre, un vecchio.
Sì, lo hanno messo al mondo,
ma non hanno voluto salvarlo,
disgraziati, e pensare che hanno i capelli bianchi.
Ma tu, fiorente di giovinezza,
te ne vai, precedi il tuo uomo nell'Ade.
Vorrei una compagna come lei
- ma è un destino che capita di rado ai viventi -
starebbe al mio fianco,
sino alla fine, con armonia.
Amici, gente di Fere, lo trovo in casa, Admeto?
Sì, Eracle, il figlio di Ferete è in casa. Ma dimmi, che motivo ti ha indotto a spingerti in Tessaglia, a passare da Fere?
Un'altra delle fatiche che mi impone Euristeo, re di Tirinto.
E dove sei diretto? Qual è la meta del tuo viaggio forzoso?
Vado a portar via la sua quadriga a Diomede, in Tracia.
E come farai? Lo conosci bene, Diomede?
Non lo conosco affatto. Non sono mai capitato nella terra dei Bistoni.
Non ti sarà possibile impadronirti delle cavalle senza combattere.
Non mi è neanche possibile rifiutare le fatiche.
E allora o lo ammazzi e torni, o resti là perché ti ha ammazzato lui.
Non sarebbe il primo rischio che corro.
Ma se lo vinci, cosa ne ricavi?
Porterò le cavalle al re di Tirinto.
Non è facile mettere il morso a quelle bestie.
Perché, spirano fuoco dalle froge?
No, ma sbranano la gente, e in un lampo.
Tu parli di un pasto da belve, non da cavalli.
Le loro greppie sono lorde di sangue, vedrai.
Ma il loro allevatore di chi si vanta figlio?
Di Ares, ed è il signore dei Traci dallo scudo bordato d'oro.
Ancora una fatica, questa che tu menzioni, in sintonia col mio destino; è aspro e sempre in salita. Evidentemente mi tocca battermi con i figli di Ares: prima Licaone, poi Cicno, e adesso, ecco il terzo scontro, con le cavalle e il loro padrone. Ma nessuno vedrà mai il figlio di Alcmena tremare di fronte a un nemico.
Guarda, sta uscendo dalla reggia Admeto, il sovrano di questa terra.
Salute a te, figlio di Zeus, sangue di Perseo.
Salute a te, Admeto, signore dei Tessali.
Magari, so che è l'augurio di un amico sincero.
Come mai quei capelli rasati a lutto?
Ho un morto da seppellire, oggi.
Che dio tenga lontana la sventura dai tuoi figli.
I miei figli li ho in casa e stanno bene.
Tuo padre, comunque, era anziano, se si tratta di lui.
No, mio padre e mia madre sono ancora in vita.
Non è mica successo qualcosa a Alcesti?
Sono due i discorsi che posso fare su di lei.
Cosa intendi dire? È viva o no?
È viva e non è più viva, e la faccenda mi angoscia.
Ne so meno di prima: parli per enigmi.
Conosci il destino che l'aspetta?
Certamente: ha accettato di morire al posto tuo.
E come fa a essere viva dopo una promessa simile?
Ah, non disperarti prima del tempo, rimanda il lutto a quando la cosa sarà successa.
Chi sta per morire è già morto, e chi è morto non è più.
L'essere e il non essere sono ritenute due cose diverse.
Tu tieniti la tua opinione, Eracle, e io mi terrò la mia.
Ma allora, perché piangi? Chi è scomparso dei tuoi cari?
Una donna. Parlavamo di una donna poco fa.
Estranea o del tuo sangue?
Estranea, eppure legata alla mia famiglia.
E come mai è morta a casa tua?
Era venuta a abitare da noi, orfana, dopo la scomparsa di suo padre.
Ah, mi spiace. Non avrei voluto trovarmi qui mentre sei in lutto.
Che strano discorso mi stai imbastendo?
Intendo cercare ospitalità da qualche altra parte.
Impossibile, amico: depreco una iattura simile!
Un ospite che arriva tra gente in gramaglie è un fastidio.
I morti sono morti; su, entra in casa.
È vergognoso, per un ospite, banchettare tra persone in lacrime.
Le stanze dove ti condurranno sono isolate dal resto della casa.
Lasciami andare: te ne sarò gratissimo.
Che tu vada in un'altra casa è escluso. Servo, accompagnalo nell'ala riservata ai forestieri e avverti gli addetti di imbandire una ricca tavola. Chiudete bene le porte: gli ospiti, mentre banchettano, non devono venir disturbati, sentire lamenti.
Ma cosa fai? In un momento come questo, non esiti a accogliere gente a casa tua. Sei impazzito?
Perché, mi avreste apprezzato di più se cacciavo un amico giunto nella mia città, nel mio palazzo? No di certo: il mio lutto non diventava meno grave e io sarei passato per un individuo poco socievole. Avrei aggiunto disgrazia a disgrazia: sentir definire inospitale casa mia! Ho sempre trovato in Eracle un anfitrione straordinario, ogni volta che capitavo nella sitibonda Argo.
Ma perché hai nascosto la tua disgrazia al nuovo arrivato, all'amico, come lo chiami tu?
Perché non avrebbe mai accettato di rimanere da noi, se avesse saputo la verità. Qualcuno, penso, mi riterrà pazzo e mi disapproverà: ma la mia reggia ignora cosa sia respingere o far torto a un ospite.
str. a
O casa del mio padrone, sempre generosa e ospitale,
anche Apollo Pizio, signore della cetra,
si degnò di abitarti,
accettò di diventare
pastore, o Admeto,
nelle tue proprietà
suonando
agresti inni nuziali alle tue greggi
per i ripidi sentieri.
ant. a
Chiamate dai canti gioiosi
accorrevano a frotte le linci screziate,
si affollavano fulve torme di leoni,
lasciata la valle dell'Otri;
al suono della tua cetra, Febo,
danzava il maculato cerbiatto
sbucato con agili garretti
di tra i pini svettanti,
allietati dalle soavi melodie.
str. b
E così, la casa che tu abiti, Admeto,
presso la palude Bebia
dalle belle correnti
è la più ricca di greggi.
Alle terre arate, alle distese di prati
fa da confine il paese dei Molossi,
là dove sono gli oscuri stabuli del sole,
il nostro re domina sul mare egeo
sino alle inospitali coste del Pelio.
ant. b
E anche ora ha spalancato la reggia,
pur con occhio umido di pianto
e disperato per la cara moglie
morta da poco, ha accolto un ospite.
Chi è nobile
sa bene comportarsi:
ogni saggezza alberga nell'uomo di valore.
Lo ammiro. Nel mio cuore regna la fiducia:
è pio, Admeto: sarà benedetto dagli dèi.
Cittadini di Fere, presenti qui con il vostro affetto, la salma è pronta e i servi la stanno oramai trasportando a spalle verso il rogo e la tomba. Dite addio, come vuole l'uso, a chi compie il viaggio estremo.
Vedo tuo padre che si avvicina con il passo dei vecchi: lo seguono i suoi famuli, hanno in mano il corredo funebre per la tua sposa, gli ornamenti mortuari.
Sono qui per partecipare al tuo dolore, figlio: hai perduto un'ottima e fedele moglie. Nessuno oserà certo negarlo. Ma occorre farsi coraggio, in questi casi, anche se non è facile. Accogli questi oggetti preziosi e scendano sottoterra con Alcesti. Bisogna onorarne le spoglie, perché si è immolata per te e non mi ha privato del figlio: non mi vedrò costretto a consumare una penosa vecchiaia senza di te. Con il suo gesto coraggioso e nobile, Alcesti ha reso onore al proprio sesso. Tu hai salvato Admeto, hai rimesso in piedi noi che stavamo per cadere: ti dico addio, ti auguro di essere felice nell'Ade. Secondo me, sono questi i matrimoni utili ai mortali o altrimenti è meglio che uno non si sposi.
Io qui, a questo funerale non ti ho invitato e la tua presenza non la considero gradita. Lei non indosserà mai il corredo funebre che le hai portato, non ha bisogno dei tuoi doni, per la sepoltura. Al mio dolore dovevi partecipare quando ero in pericolo di vita. E dopo esserti defilato, dopo avere permesso che morisse un'altra persona, giovane, tu, così vecchio, vieni ora a piangere su questo cadavere? Tu non fosti mai il vero padre di questo mio corpo e non mi mise al mondo quella che sostiene di averlo fatto e si attribuisce il nome di madre. No, io sono sangue di schiavi e mi hanno attaccato di nascosto al seno di tua moglie. Nel momento decisivo hai dimostrato chi sei realmente: non mi ritengo nato da te. Ti distingui per viltà da tutti: decrepito come sei, al termine dell'esistenza, non hai voluto, non hai avuto il coraggio di sacrificarti per tuo figlio. Avete permesso che lo facesse lei, una straniera, l'unica persona che devo giustamente ritenere mio padre, mia madre. Eppure era una bella sfida da affrontarsi: ti immolavi per il figlio, tanto non ti restava molto da campare. [E io potevo trascorrere insieme a lei il resto dei miei giorni, e non sarei qui solo a piangere sui miei mali.]
Tutto ciò che fa felice un uomo lo hai avuto. Sei salito al trono da giovane, ti sei garantito un erede, il sottoscritto, in famiglia, non rischiavi, dunque, morendo senza figli, di lasciare in preda ad altri la tua reggia, vuota di un legittimo successore. Non sosterrai di avermi abbandonato alla morte perché non onoravo la tua vecchiaia: io ero un figlio rispettosissimo, e in cambio ricevo da te e da chi mi ha partorito questo bel grazie. Sbrìgati a fabbricare altri figli che ti assistano negli anni tardi e ti compongano nella bara e provvedano alle esequie. Perché non sarò io, con le mie mani, a seppellirti: per quanto ti riguarda, io sono defunto. Se continuo a vedere la luce, se sono salvo grazie ad un altro, di lui mi proclamo figlio, a lui manifesterò la mia devozione. I vecchi mentono quando si augurano di scomparire, imprecando contro la senilità e l'esistenza troppo lunga. Appena la fine si avvicina, nessuno vuole morire, e la vecchiaia non appare più un peso.
Smettetela: basta già la disgrazia in corso. Figlio, non esasperare tuo padre.
Figlio, ma chi ti credi di insultare così malamente? Uno schiavo lidio o frigio che ti sei comperato? Non sai che sono un Tessalo, e figlio legittimo di un Tessalo, un uomo libero? Tu offendi troppo e non te la caverai a buon mercato, dopo questa raffica di accuse infantili contro di me. Io ti ho generato e allevato come padrone di questa casa, ma non ho l'obbligo di morire in vece tua. Non ho ereditato dai nostri avi la legge che i padri debbano immolarsi per i figli, e non è neanche greca questa legge. Della tua vita, felice o infelice che sia, sei responsabile tu: quello che dovevi avere da noi, lo hai avuto. Comandi su molti sudditi, ti lascerò molte terre: sono i beni che ho ricevuto da mio padre. Che torti ti ho fatto? E di che cosa ti privo? Non ti chiedo di morire per me, e tu non chiedermi di morire per te. Ti piace vivere: e credi che a tuo padre non piaccia? Se computo il tempo che dovrò trascorrere laggiù, è lungo, mentre la vita è breve: ma è pur sempre piacevole. Hai lottato spudoratamente per evitare la morte e vivi oltre il termine a te assegnato uccidendo lei. E accusi me di viltà, tu un codardo vinto da una donna, che è crepata per la tua bella faccia? Hai trovato un modo brillante per scamparla sempre, se riuscirai ogni volta a persuadere la moglie che ti trovi a prendere il tuo posto. E insulti i tuoi che si rifiutano di farlo, pusillanime che non sei altro? Chiudi la bocca: e pensa che se tu ami l'esistenza, anche tutti gli altri la amano: se ci ricopri di ingiurie, ti sentirai replicare molte spiacevoli verità.
Vi siete scambiati troppe contumelie, prima e adesso: finiscila, vecchio, di inveire contro tuo figlio.
Parla pure, io quel che avevo da dire l'ho detto: se ti offendi a sentire la verità, non dovevi agire in modo sbagliato nei miei riguardi.
Avrei sbagliato di più se morivo in vece tua.
Perché, è la stessa cosa se muore un giovane o un vecchio?
Abbiamo avuto in sorte un'esistenza sola, non due.
Ti auguro di vivere più a lungo di Zeus.
Non essere sacrilego con i tuoi genitori, che non ti hanno fatto niente.
Già, mi ero accorto che ti piace vivere in eterno.
Ma non sei tu che porti a seppellire un cadavere al tuo posto?
Miserabile, questo è il segno della tua codardia.
Non mi verrai a dire che è deceduta per colpa nostra.
Come vorrei che un giorno tu avessi bisogno di me.
Sposane molte di donne, così saranno in tante a andare all'altro mondo.
La vergogna ricade su di te, che hai rifiutato di morire.
La luce del sole è un bene caro, molto caro.
Pensiero meschino il tuo, indegno di un uomo.
Ma intanto non te la ridi trasportando la bara di un vecchio.
Quando verrà la tua ora, morirai disonorato.
Da morto, la cattiva fama non mi interessa.
Dio mio, la vecchiaia non ha nessun pudore.
Lei sì, lo aveva: ti sei trovato una bella pazza.
Vattene e lasciami seppellire questo cadavere.
Me ne vado. Seppellisci tu la donna che hai assassinato. Ma ai suoi parenti dovrai renderne conto. Non è più un uomo, Acasto, se non vendica il sangue di sua sorella.
Va' in malora tu e la tua compagna! Invecchiate da soli, senza figli, anche se uno è ancora al mondo. Ve lo meritate!
Non metterete più piede in questa mia casa. Se potessi ripudiare pubblicamente il focolare paterno, lo ripudierei. Noi - occorre sopportare la sciagura che ci ha colpito - noi muoviamoci, andiamo a deporre il feretro sulla pira.
Ahi, ahi, sei stata grande,
nobile, coraggiosa. Addio,
che Hermes ctonio e l'Ade ti accolgano
benevoli. Se per i buoni c'è una ricompensa
nell'aldilà, l'avrai: tu siederai accanto
alla sposa di Ade.
Ospiti arrivati alla reggia di Admeto ne ho conosciuti e serviti a tavola tanti, ma sinora non me n'era capitato nessuno peggiore di questo. Aveva ben visto la tristezza del mio padrone, ma ha avuto lo stesso la faccia tosta di entrare, di oltrepassare le soglie del palazzo. E poi, pur conoscendo la situazione, non si è accontentato dei cibi che gli venivano imbanditi, no, quello zotico se qualcosa mancava ce la chiedeva con insistenza. Agguantata con le mani una coppa di edera, tracanna vino puro, così com'è prodotto dalla nera terra, ne tracanna finché il calore fiammeggiante del vino non gli si diffonde per tutte le vene. E poi si ficca in testa una corona di mirto, ululando canzoni stonate. Così, si sentiva una duplice musica: lui berciava indifferente alle disgrazie familiari di Admeto, e noi servi piangevamo Alcesti, nascondendo all'ospite le nostre lacrime, perché così ci aveva ordinato Admeto. E ora io rifocillo in casa lo straniero, un ladro, un mascalzone, un predone. La mia signora ha lasciato la sua dimora, e io non ho seguito il corteo funebre, non ho proteso le mani verso di lei, gemendo su una padrona che era una madre per me e tutte le ancelle, che stornava da noi tanti guai, placando la collera di suo marito. Non ho ragione di odiare il forestiero che è arrivato qui mentre regna l'angoscia?
Ehi, tu, perché mi guardi con quell'aria seria e preoccupata? Un servo non deve mostrarsi tetro con gli ospiti, ma deve accoglierli affabilmente. Hai davanti agli occhi un amico del tuo padrone e sei scuro in volto, arcigno, te la prendi per un lutto che non coinvolge la reggia. Vieni qui, che penserò io a educarti meglio. Lo sai come vanno le cose per i mortali? Credo di no. Da dove lo ricaveresti? E allora, stammi a sentire.
Tutti i mortali li attende la morte
e nessuno di loro mai saprà
il giorno dopo se ancora vivrà,
come vada a finire la sua sorte.
È un gioco che non si impara, quello della sorte, non c'è arte che tenga. Su, ascolta, apprendi da me la lezione. Goditela, bevi, ritieni tua la vita giorno per giorno, e il resto invece nelle mani del caso. Onora Cipride, la più piacevole di tutte le dee, per gli uomini: è davvero benefica. Lascia perdere il rimanente, dammi retta, se ti pare che io dica giusto. E credo
proprio di sì. E dunque
scòrdati l'eccessivo dispiacere,
[mettiti una corona], vieni a bere,
[getta alle spalle l'infelicità].
L'alzarsi e l'abbassarsi del bicchiere
col ritmo adatto ti piloterà
fuori dal cupo e dalla tua ansietà.
I mortali devono avere pensieri mortali. Per la gente troppo seriosa e accigliata, a mio giudizio, la vita non è davvero
vita, ma una iattura.
Le sappiamo queste cose. Ma la situazione attuale non richiede né baldoria né riso.
È morta un'estranea: non ti addolorare troppo. I tuoi padroni - è quello che conta - sono vivi.
Come? Vivi? Lo sai cos'è successo nella reggia?
Se il tuo padrone non mi ha detto delle menzogne.
È troppo ospitale, lui, troppo.
Perché, non dovevo essere trattato bene, per un'estranea che è morta?
E come no? Era proprio un'estranea!
È capitata una disgrazia a Admeto e me l'ha taciuto?
Addio, statti bene. Le sventure dei nostri padroni riguardano noi.
Questo discorso scaturisce da dolori interni alla reggia.
Certo, altrimenti non mi sarei tanto risentito vedendoti gozzovigliare.
Ho patito un grave torto dai miei anfitrioni.
Non sei capitato nel momento giusto, per un ospite. [Siamo in lutto: non vedi gli abiti neri e la testa rasa?
Ma chi è morto?]
È mancato uno dei suoi figli oppure il vecchio padre?
È morta la moglie di Admeto, straniero.
Ma cosa dici? E mi avete dato ospitalità?
Sì, perché il re si vergognava a mandarti via.
Povero infelice, che compagna hai perso!
È finita per tutti noi, non solo per lei.
L'avevo intuito, vedendo gli occhi gonfi di lacrime, i capelli rasi, il volto di Admeto. Ma era riuscito a convincermi, raccontandomi che stava seppellendo una persona non di famiglia. E io, facendo violenza ai miei sentimenti, ho oltrepassato lo stesso la porta, ho bevuto nella casa di un uomo ospitale, in un momento così grave per lui. E sono qui a gozzovigliare, con la testa cinta di fiori? Ma tu, tacermi la disgrazia che c'era in casa! Dove seppellisce Alcesti? Dove posso raggiungerlo?
Prendi la strada che porta dritto a Larissa. Vedrai, appena fuori di città, una tomba di pietra levigata.
Tu mio cuore, che molto hai osato, e voi, mie mani mostrate ora quale figlio Alcmena di Tirinto, nata da Elettrione, ha generato a Zeus. Devo salvare la donna spirata di recente, riportare tra queste mura Alcesti, ricambiare la gran cortesia di Admeto. Mi precipito laggiù e aspetto al varco il signore dei morti, Thanatos dalle nere vesti: penso di sorprenderlo mentre beve il sangue delle vittime, vicino alla tomba. Balzando dal luogo della mia imboscata, lo agguanterò, lo stringerò nella morsa delle mie mani e nessuno potrà strapparlo, semisoffocato, dalla mia presa finché non mi abbia restituito Alcesti. Se fallisco questa caccia perché Thanatos non viene alle libagioni di sangue, scenderò giù, alle oscure dimore di Core e di Ade, e chiederò che mi sia consegnata Alcesti. Sono convinto che la riporterò su, la rimetterò nelle mani di chi mi ha accolto benevolmente nella reggia e non mi ha respinto, nonostante il grave lutto che lo aveva colpito.
Fedele alla sua nobiltà, me ne aveva tenuto all'oscuro per rispetto verso di me. C'è qualcuno fra i Tessali, fra i Greci che abbia maggior senso di ospitalità di lui? Ma non dovrà dire di avere beneficato, nella sua generosità, un uomo indegno.
Amaro ritorno
odioso spettacolo di stanze vuote.
Sono disperato, disperato.
Ma dove andare, dove restare?
Che dire, che tacere?
Come posso morire? Mia madre
ha generato un infelice.
Invidio i morti, anzi li amo,
voglio abitare laggiù, con loro.
Non mi allieta il sole,
né il camminare su questa terra.
Quale pegno mi ha rapito
Thanatos, per consegnarlo all'Ade!
str. a
Va' avanti, avanti, entra nella reggia.
È tremendo.
Muove a pietà il tuo patire.
Dio mio.
Il dolore ti ha attraversato, lo so.
Sono sconvolto.
Non puoi darle nessun aiuto, laggiù...
Che destino, il mio.
È straziante non vedersi più davanti il viso della moglie.
Ecco cosa mi ha piagato l'animo:
nulla è peggio per un uomo
che perdere una moglie devota.
Magari non l'avessi mai sposata,
non avessimo abitato qui insieme!
Invidio chi non ha moglie né figli;
dispone di una vita sola,
con i suoi bastevoli tormenti.
Ma le malattie dei figli,
i letti nuziali devastati dalla morte,
questo è intollerabile,
quando invece si può vivere
senza nozze, senza prole.
ant. a
La sorte, la sorte ineluttabile è sopraggiunta.
È tremendo.
Non poni limite al dolore.
Dio mio.
È duro sopportare, eppure...
Sono sconvolto.
Coraggio, non sei il primo a perdere...
Che destino il mio.
... la sposa; la sventura, in varie maniere, colpisce un mortale poi l'altro.
O lunghi lutti, o angoscia
patita per i cari ormai scomparsi.
Perché mi hai impedito di gettarmi
nella fossa funebre
e di giacere, morto, accanto a lei,
donna di grandi virtù?
L'Ade avrebbe avuto non una,
ma due vite insieme, le più fedeli,
insieme avremmo varcato la palude degli inferi.
str. b
A un mio parente morì
il figlio in casa, ed era degno di compianti,
un figlio unico.
Ma il padre sopportò il colpo,
eppure non aveva altra prole,
era un uomo con i capelli bianchi,
in là con gli anni,
vicino alla fine.
O reggia, come posso entrare in te,
e abitarti?
La sorte è cambiata, tutto è mutato.
Il mio ingresso, allora, avvenne
con fiaccole del Pelio e imenei,
tenevo per mano mia moglie,
mi seguiva un corteo chiassoso.
Inneggiavano a me e a lei, la morta,
gridando «viva la coppia patrizia,
viva gli sposi, figli entrambi di nobili».
Ora risuonano pianti e non inni,
e vesti non candide, ma nere
mi scortano dentro le stanze, a un letto deserto.
ant. b
Eri felice, non toccato dal male,
è sopraggiunto il dolore,
ma hai salvato la vita e l'animo.
È morta tua moglie, lasciando un vuoto d'amore.
Non è una grande novità. La morte
ha strappato la sposa a tanti altri.
Amici, ritengo la sorte di mia moglie migliore della mia, anche se non sembra. Il dolore non la colpirà più, si è liberata dei molti affanni, in un alone di gloria. E io che non dovevo vivere, che sono sfuggito al mio fato, avrò una vita di pena: adesso capisco. Mi sarà intollerabile entrare in questa reggia. A chi mi rivolgerò e chi si rivolgerà a me per darmi il benvenuto? C'è ancora un posto per me? La solitudine che c'è dentro mi scaccerà: vedrò le sue stanze vuote, vuoto il trono su cui si sedeva, e i pavimenti tutti sporchi. I figli, gettandosi ai miei piedi, piangeranno la madre, i servi gemeranno per la padrona che hanno perduta. Ecco cosa succederà in casa, e fuori mi respingeranno i matrimoni dei Tessali, le liete brigate di donne: non sopporterò di vedere le coetanee di mia moglie. E chiunque sia mio nemico dirà: «Guarda questo miserabile, vive, non se l'è sentita di morire, si è sottratto all'Ade da vigliacco, offrendo in cambio la moglie. E si crede di essere un uomo? Odia i genitori, ma lui non ha voluto morire». Alla mia sventura si accompagnerà questa bella fama. Mala sorte e cattiva nomea insieme: a che mi serve vivere, amici?
str. a
Io grazie alle Muse mi sono levato
alto nel cielo, io mi sono fatto padrone
di molte idee, ma nulla ho incontrato
più forte della Necessità.
Contro di lei non ho trovato rimedi
nelle tavolette tracie dettate da Orfeo
e neppure nei farmaci che Febo
diede agli Asclepiadi come antidoto
ai tanti mali degli uomini.
ant. a
Solo di questa dea
non esistono altari
o immagini a cui accostarsi:
non si placa con sacrifici.
Non aggredirmi, ti prego, signora,
22
più crudelmente che nel passato.
Persino Zeus, qualunque cosa voglia
la realizza con il tuo permesso.
Tu domi a forza anche il ferro dei Calibi,
la tua inaccessibile volontà
non rispetta nessuno.
str. b
La dea ha preso anche te, Admeto,
nei suoi lacci implacabili.
Consòlati: non riuscirai con le lacrime
a riportare sulla terra i defunti.
Anche i figli degli dèi scompaiono
nelle tenebre della morte.
Alcesti ci era molto cara quando era in mezzo a noi,
ci sarà cara anche da morta.
Hai legato a te come sposa la migliore delle donne.
ant. b
Il luogo dove giace tua moglie
non è un semplice sepolcro.
Come un altare divino
lo onori il viandante.
Raggiungendolo per un sentiero appartato dirà:
«È morta per suo marito,
ora è con gli spiriti beati.
Ti saluto, ti venero, proteggimi».
Ecco le parole che le saranno rivolte.
Admeto, se non mi sbaglio, il figlio di Alcmena si sta dirigendo verso la reggia.
Con un amico bisogna parlare con franchezza e non tacere, tenendosi dentro le rimostranze. Io ti ero vicino in una situazione grave e mi sarei aspettato di venir messo alla prova come amico. Ma tu non mi hai detto che il cadavere esposto era quello di tua moglie, e mi hai ospitato, facendomi capire che i tuoi pensieri non nascevano da un lutto in famiglia. Io mi sono incoronato il capo di fiori, ho libato agli dèi in una reggia funestata dalla tua disgrazia. E ti incolpo, ti incolpo per quello che mi è successo, ma non voglio rattristarti ulteriormente mentre stai patendo. Ti spiego la ragione per cui sono di nuovo qui. Ti prego di prendere questa donna e di custodirmela finché non sarò di nuovo qui con le cavalle tracie, dopo avere ucciso il sovrano dei Bistoni. Se mi succede quello che non vorrei - io mi auguro di tornare - te ne faccio dono: tienila come ancella in casa. Ne sono venuto in possesso con molta fatica. È andata così. Càpito in un posto dove avevano bandito una gara aperta a tutti, una bella competizione atletica, e ne riporto lei come premio della mia vittoria. Per chi trionfava nelle prove minori c'erano dei cavalli, chi vinceva nelle prove più impegnative, come lotta e pugilato, si assicurava una mandria di buoi e, in più, una donna. Mi trovavo là, sarebbe stato disonorevole per me trascurare questo glorioso guadagno. Ma, come ti avevo già detto, devi averne cura tu di questa donna: non l'ho rubata, me la sono conquistata battendomi duramente. Verrà il momento in cui anche tu, probabilmente, mi elogerai per questo.
Non per spregio verso di te o perché pensassi che era una cosa di cui vergognarsi ti avevo tenuta nascosta la fine della mia sfortunata sposa. Ma si sarebbe aggiunta pena a pena, se andavi a cercare ospitalità altrove, era già sufficiente per me piangere sulle mie disgrazie. Ma ti prego, se è possibile, affida questa donna a un altro Tessalo che non abbia patito le mie sofferenze, hai tanti amici qui a Fere: non richiamarmi le mie angosce. A vedermi questa donna in casa non riuscirei a trattenere le lacrime: sto male, non peggiorare la situazione, sono già abbastanza oppresso dalla mia disgrazia. Una giovane donna, dove la sistemo nella reggia? Perché è giovane, lo rivelano i suoi abiti, gli accessori che porta. La vedi abitare nella stanza destinata agli uomini? E come farebbe a mantenersi casta, trovandosi in mezzo a dei giovani? Non è facile frenare gli ardori di chi è nel fiore dell'età: io me ne preoccupo per te. O le assegno stabilmente il talamo della defunta? Ma come la intrudo nel letto di Alcesti? Temo un duplice biasimo: da un lato ci sono i cittadini e qualcuno di loro potrebbe accusarmi di avere tradito la mia benefattrice infilandomi sotto le coperte di un'altra donna giovane. E poi c'è la morta, e devo stare molto attento: merita il mio più profondo rispetto. Quanto a te, donna, chiunque tu sia: lo sai che hai la stessa statura di Alcesti e che le assomigli, fisicamente? Ahi. Portala via, lontano dalla mia vista, per gli dèi, non colpire uno che è già segnato dal dolore. La guardo e mi sembra di vedere la mia sposa: il cuore mi batte forte, gli occhi mi si riempiono di lacrime, sono disperato, adesso provo tutta l'amarezza del mio dolore.
Io non potrei definire buona la situazione, ma si deve accettare, qualunque esso sia, il dono del dio.
Magari avessi tanto potere da riportare tua moglie dal regno delle ombre alla luce, da concederti questa grazia.
So bene che lo vorresti. Ma è desiderio vano: i morti non possono risuscitare.
E allora non eccedere, sopporta con misura.
Dare consigli è più facile che sopportare quando si soffre.
Cosa ci guadagni a voler sempre piangere?
Niente, lo riconosco: ma mi travolge questo desiderio di lacrime.
Naturale, l'amore per gli estinti porta lacrime.
Mi ha distrutto, quest'amore, e ben più di quanto dicano le mie parole.
Hai perduto un'ottima moglie: chi lo negherebbe?
Con la conseguenza che quest'uomo non prova più gioia a stare al mondo.
Il tempo lenirà la ferita: adesso è ancora troppo recente.
Il tempo? Sì, se tempo significa morte.
Una donna e nuove nozze metteranno fine al tuo rimpianto.
Chiudi la bocca. Che bestemmia! Non me lo sarei mai immaginato da te.
Come? Non ti risposerai? Vuoi rimanere vedovo?
Nessuna donna entrerà mai nel mio letto!
Credi che la morta ne trarrà qualche vantaggio?
Dovunque si trovi, è mio dovere onorarla.
Io, per me, ti elogio, ma ti attirerai la taccia di pazzo.
Non potrai più definirmi uno sposo.
Ti ho lodato perché sei un amico fedele di tua moglie.]
Possa io morire prima di tradirla, anche se non è più.
Via, accogli questa donna nelle tue nobili case.
No, ti supplico, in nome di tuo padre Zeus.
Bada, è un errore non fare come ti dico.
E se lo facessi, l'angoscia mi divorerebbe.
Dammi retta. Il favore che ti chiedo potrebbe volgersi a tuo vantaggio.
Come vorrei che non te la fossi conquistata in una gara!
Io l'ho vinta, ma anche tu partecipi alla mia vittoria.
Perfetto: ma che se ne vada.
Se ne andrà, se è necessario: ma prima accèrtati che sia necessario.
Lo è, a meno che tu non te la prenda a male.
Anch'io ho le mie ragioni, se insisto tanto.
Vuoi averla vinta? D'accordo. Ma fai una cosa che non mi piace.
Verrà il momento in cui mi ringrazierai: ora dammi retta.
Servi, conducetela dentro, visto che bisogna accoglierla in casa.
Non affiderei questa donna a dei servi.
E allora, se credi, accompagnala tu.
No, io la consegnerò unicamente nelle tue mani.
Preferirei non toccarla: ma può entrare in casa.
Io mi fido solo della tua destra.
Signore, tu mi costringi a fare cose che non voglio.
Non aver paura, tendile la mano, tocca la straniera.
Sì, tendo la mano come per decapitare la Gorgone.
Fatto?
Fatto, sì.
Custodiscila, adesso e riconoscerai, dopo, che il figlio di Zeus è un nobile ospite.]
Guardala, se non sembra che assomigli in qualche modo a tua moglie: la fortuna è dalla tua, cessa di affliggerti.
O dèi, cosa devo dire? - che miracolo insperato - è davvero mia moglie quella che vedo? O mi stordisce una gioia
celeste illusoria?
No, quella che vedi è proprio tua moglie.
Bada che non sia uno spettro degli inferi.
Non hai dato ospitalità a un negromante.
Ma ho davvero davanti agli occhi la donna che avevo seppellito?
Esatto. Ma non sono sorpreso che tu non creda alla tua fortuna.
Posso toccarla, posso parlarle come se fosse mia moglie realmente viva?
Fa' pure. Hai tutto quello che desideravi.
È il viso, il corpo di mia moglie. Insperatamente sei mia, mentre credevo di non rivederti mai più.
È tua. E che l'invidia degli dèi non cada su di voi.
Nobile figlio del grande Zeus, sii felice e ti protegga il padre che ti ha generato: tu solo hai raddrizzato la mia sorte. Ma come l'hai riportata dagli inferi alla luce?
Ho ingaggiato battaglia col demone che la teneva in suo potere.
E dove dici di aver combattuto contro Thanatos?
Proprio accanto alla tomba. Ero appostato e l'ho artigliato con le mie mani.
Perché questa donna se ne sta lì, muta?
Non ti è ancora permesso di udire parole da lei, prima che sia stata sciolta dal vincolo che la consacra agli dèi inferi e siano passati tre giorni. Ma accompagnala dentro, e anche in futuro, Admeto, cerca di essere pio e giusto con gli ospiti. Ora io devo andare e compiere l'impresa che mi è stata imposta dal sovrano figlio di Stenelo.
Resta con noi, condividi il nostro focolare.
Un'altra volta, adesso devo affrettarmi.
Buona fortuna e rapido ritorno! Ordino ai cittadini, in tutta la tetrarchia: si levino cori per festeggiare la lieta sorte, gli altari fumino per sacrifici di buoi in onore degli dèi. La nostra vita ha mutato corso, in meglio: non negherò di essere felice.
Molte sono le forme del divino, molte sono le risoluzioni inattese dei celesti; quello che si credeva non si è compiuto, un dio trovò la strada per l'impossibile. E questa vicenda si è suggellata così.