Testo

Teofrasto - I caratteri

Caratteri morali



Proemio

1 Molte volte già prima d'ora, ponendovi mente, mi sono meravigliato, e forse non finirò mai di meravigliarmi, come mai avvenga che non tutti abbiamo la stessa costituzione di caratteri, sebbene l'Ellade sia situata sotto un medesimo clima e gli Elleni siano tutti educati in modo analogo. 2 Per questo motivo, o Policle, dato che da lungo tempo mi sonovolto ad osservare la natura umana e sono ormai giunto all'età di novantanove anni, poiché, inoltre, ho avuto pratica con molte e svariate indoli, e con grande attenzione ho posto a confronto gli uomini virtuosi ed i viziosi, ho ritenuto di dovere rappresentare in un'opera scritta i comportamenti che gli uni e gli altri hanno nella vita. 3 E così ti esporrò, categoria per categoria, quanti generi di caratteri si ritrovino negli uomini ed in qual modo essi regolino la loro condotta di vita. Ed invero, o Policle, io penso che i nostri figliuoli diverranno migliori, se ad essi saranno lasciate rassegne di tal genere: utilizzandole come termini di riferimento, essi sceglieranno di avere consuetudine di vita e pratica con gli uomini più rispettabili, perché non siano da meno di loro. 4 Ora, dunque, metterò mano alla trattazione: a te spetta venirmi dietro e giudicare se dico bene. Darò inizio al mio discorso da quelli che praticano la simulazione, omettendo di fare preamboli e di spendere molte parole intorno all'argomento. 5 E comincerò, in primo luogo, dalla simulazione e ne darò la definizione; poi, senz'altro, ritrarrò il simulatore, descrivendo quale egli sia e a quale indirizzo di vita sia portato; tenterò, quindi, di mettere in luce, come mi sono proposto, categoria per categoria, gli altri modi di essere.

I - La simulazione

1 La simulazione, a considerarla nelle sue linee generali, parrebbe essere una finzione in peggio di atti e di parole; e il simulatore 2 un tale che, incontrando i suoi nemici, suole conversare con loro e non mostrare odio; e loda, quando sono presenti, quelli che alle spalle ha attaccati, e si conduole con loro, quando hanno la peggio; ed usa indulgenza con quelli che sparlano di lui e per le cose che si dicono per fargli dispetto. 3 E discorre affabilmente con quelli che hanno avuto.3 un torto e sono sdegnati; ed a chi vuol parlargli con urgenza, dice di ripassare. 4 E non ammette niente di quello che fa, ma assicura che sta ancora prendendo una decisione; e finge d'essere arrivato allora allora, che si è fatto tardi, che a lui è sopraggiunto un malessere. 5 Ed a quelli che chiedono denaro in prestito o che fanno una colletta, dice che non ha nulla da vendere, ed all'incontro, quando non ha intenzione di vendere, dice che vende. E se ha sentito dire qualcosa, finge di non aver sentito; se ha visto, dice di non aver visto; se ha ammesso qualcosa, dice di non ricordarsene. E di certe cose dice che ci sta pensando su; di altre, che non ne sa niente; di altre, che se ne meraviglia; di altre, che anche lui, una volta, era già di quell'idea. 6 Ed insomma è uomo da usare siffatti modi di dire: «Non ci credo», «Non mi pare», «Resto sbalordito», «Di sé dice che è diventato un altro», «Eppure non erano questi i discorsi che faceva a me», «Per me il fatto è veramente strano», «Raccontala a un altro», «Sto in dubbio se io debba negarti fede o giudicare male di lui». 7 Ma guarda che tu non corra troppo a prestar fede a tali espressioni, arzigogoli e frasi contraddittorie, di cui niente di peggio si può trovare. Ed invero dalle indoli non schiette, ma subdole bisogna guardarsi più che dalle vipere.

II - L'adulazione

1 L'adulazione si potrebbe ritenere che sia un contegno indecoroso, ma vantaggioso per chi adula; e l'adulatore un tale che, accompagnando qualcuno, gli dice: 2 «Ti rendi conto come la gente volge gli occhi su di te? Questo non succede a nessuno in città, fuori che a te». «Ieri sotto il portico eri al sommo della gloria». C'erano là più di trenta persone a sedere, ed essendo caduto il discorso su chi fosse il migliore, tutti da lui presero inizio e col suo nome conchiusero. 3 E mentre gli dice altre cose di tal genere, gli toglie via dall'abito un filo, e se dal vento gli sia portata qualche pagliuzza sui capelli, gliela leva con garbo, e sorridendo dice: «Vedi? Sono due giorni che non ti ho incontrato e la tua barba è diventata piena di peli bianchi; e sì che per la tua età hai neri i peli quanto altri mai». 4 E se l'amico apre bocca per dire qualcosa, l'adulatore invita gli altri a fare silenzio, e lo loda quando quello può sentire, e poi, se quello sta per concludere il suo dire, applaude con un «Bravo!»; e se l'amico dice una freddura insipida, scoppia a ridere e si caccia in bocca il lembo del mantello come se non riuscisse a frenare il riso. 5 E quelli che gli vengono dinanzi, li fa fermare finché non sia passato lui. 6 E per i figlioletti di lui compra mele e pere, e gliele porta a casa e gliele regala solo innanzi ai suoi occhi; e baciandoli esclama: «Pulcini d'un padre dabbene!». 7 E accompagnandolo a fare compere al mercato delle scarpe, dice che il suo piede è meglio modellato della calzatura. 8 E quando lui va a trovare un amico, lo precede di corsa e dà l'avviso: «Sta per arrivare a casa tua», e poi torna indietro e dice: «Ho dato l'annunzio». 9 Ed invero è perfino capace di correre su e giù, senza prendere fiato, per sbrigare commissioni al mercato delle donne. 10 Ed è il primo dei convitati a lodare il vino e, mai staccandosi dalle costole del suo amico, gli dice: «Che cibi prelibati mangi!»; e, sollevando qualcosa di quel che è in tavola, esclama: «Questa roba qui com'è squisita!»; e poi gli domanda se non sente freddo, se vuole coprirsi e se deve mettergli qualcosa addosso; e, per di più, dicendo queste cose, si china al suo orecchio a parlargli sottovoce; e, pure quando parla con gli altri, ha gli occhi rivolti a lui. 11 Ed in teatro, tolti i cuscini di mano allo schiavo, glieli aggiusta lui stesso sotto. 12 E dice che la sua casa ha una bella architettura, il suo podere è ben coltivato, il suo ritratto è somigliante. 13 E insomma si può ben vedere che l'adulatore fa e dice tutto in funzione di colui al quale si propone di riuscire gradito.

III - Il ciarlare

1 Il ciarlare è un buttar fuori discorsi lunghi e sconsiderati; 2 e il ciarlatore è un tale che, a uno che non conosce, gli si pone a sedere accanto e, in primo luogo, gli tesse l'elogio della propria moglie, poi gli racconta il sogno che ha fatto la notte, indi gli passa in rassegna, a uno a uno, tutti i cibi che ha mangiati a pranzo; 3 poi, se la cosa va avanti con successo, si mette a dire che la gente d'oggi è molto più cattiva di quella d'una volta, e che le granaglie si sono vendute in piazza a buon mercato, e che in città vi sono molti forestieri, e che a cominciare dalle Dionisie il mare è navigabile; 4 e che se Zeus manderà pioggia più abbondante, i prodotti della terra saranno migliori, e che per l'anno nuovo vuol coltivare un campicello, e che la vita è difficile, e che Damippo alla festa dei Misteri ha dedicato la fiaccola più grande, e quante sono le colonne dell'Odeon; ed ancora: «Ieri ho vomitato» e «Che giorno è oggi?». 5 E se uno ha la pazienza di sopportarlo, non si stacca più, e dice che nel mese di Boedromione ricorrono i Misteri, nel mese di Pianepsione le feste Apaturie, nel mese di Posideone le Dionisie campestri. 6 Ed invero, se uno vuole che non gli venga la febbre, deve fuggire lontano da codesta gente a braccia sciolte e gambe levate: giacché è gran fatica riuscire a tener testa a chi non sa distinguere tra ozio ed occupazione.

IV - La zotichezza

1 La zotichezza parrebbe essere inciviltà sgarbata; e lo zotico un tale che va all'assemblea dopo aver bevuto ciceone, e dice che l'unguento non ha un profumo più soave del timo, e porta scarpe che sono più grandi del piede, e parla ad alta voce. 2 Ed è diffidente verso gli amici e quelli di casa, ma con i servi si apre sugli affari più importanti; 3 e ai braccianti che lavorano a soldo da lui nel podere, racconta tutto quello di cui si è discusso nell'assemblea. 4 E si mette a sedere tirando la veste sopra il ginocchio, così che si intravedono i suoi genitali. 5 E per le strade di nient'altro si meraviglia o si stupisce, ma se gli capiti di vedere un bue o un asino o un caprone, rimane lì fermo a guardare. 6 E tirando fuori qualche cosa dalla credenza, è capace di mangiarsela e di berci sopra vino quasi schietto. 7 E di nascosto fa delle avances alla schiava della cucina, e poi macina insieme con lei il grano necessario per tutti quelli di casa e per sé. 8 E mentre fa colazione, getta nello stesso tempo lo strame agli animali da tiro. 9 E tende lui l'orecchio a chi bussi alla porta. 10 E chiamato il cane e presolo per il muso, dice: «Questo fa la guardia al podere e alla casa». 11 E quando riceve denaro da qualcuno, lo rifiuta dicendo che è di lega troppo scadente e nello stesso tempo se ne fa dare in cambio dell'altro. E se a qualcuno ha dato in prestito l'aratro o un canestro o una falce o un sacco, svegliatosi in piena notte, e ricordatosene, va a chiederne la restituzione. 12 E quando scende in città, al primo che incontra domanda che prezzo avevano le pelli di capra e il pesce salato, e se oggi la gente radunata festeggia il novilunio, e dice sùbito che vuole andare a tagliarsi barba e capelli dal momento che è sceso in città. 13 E nel bagno si mette a cantare; e pianta chiodi nelle suole delle scarpe. 14 E trovandosi a passare per quella stessa strada, va a prendersi i pesci salati da Archia.

V - La cerimoniosità

1 La cerimoniosità, a volerla stringere in una definizione, è un modo di trattare volto ad arrecare piacere, ma non per il meglio; e il cerimonioso è, per la verità, 2 un tale che ti saluta da lontano chiamandoti uomo esimio, e, dopo avere espresso a sufficienza la sua ammirazione, trattenendoti con tutte e due le mani non ti lascia andare, ti accompagna per un po' di strada, ti chiede quando potrà rivederti e, continuando a lodarti, finalmente se ne va. 3 E chiamato all'ufficio di arbitro, vuol piacere non soltanto a colui che assiste, ma anche al suo avversario, per parere un uomo imparziale. 4 E afferma che i forestieri dicono cose più giuste che i cittadini. 5 E invitato a pranzo, sollecita il padrone di casa a chiamare i suoi bimbi, ed al loro entrare dice che sono somiglianti al padre più che fico a fico, e, tirandoli a sé, li bacia e se li fa sedere accanto; e con gli uni si mette a giocare lui stesso dicendo: «Otre, scure»; gli altri se li lascia addormentare sulla pancia, sebbene schiacciato dal loro peso. 6 E si fa tagliare molto spesso barba e capelli, e i denti li mantiene bianchi, e cambia i vestiti anche se ancora buoni, e si cosparge di unguento profumato. 7 E nella piazza si aggira in quella parte dove sono i banchi dei cambiavalute, e frequenta quei ginnasi dove si esercitano gli efebi, ed a teatro, quando c'è spettacolo, siede vicino agli strateghi. 8 E per sé non fa acquisti, ma ai suoi amici di fuori presta la sua collaborazione ed a Bisanzio manda quel che gli è stato richiesto per lettera, a Cizico cagne di Laconia, a Rodi miele dell'Imetto, e, quando esegue questi incarichi, ne parla con gli amici della città. 9 Ed invero è perfino capace di allevare una scimmia e di comprarsi una bertuccia, e colombe di Sicilia, e dadi di osso di gazzella, e ampolline di Turii, di quelle rotonde, e bastoni di quelli torti, importati da Sparta, e una tenda con figure di Persiani ricamate, e un piccolo cortile a forma di palestra, cosparso di arena e fornito di uno spazio per il gioco della palla; 10 e va in giro ad offrirlo in prestito a filosofi, a sofisti, a maestri di scherma, a musicisti, perché vi si esibiscano; e lui poi, durante le esibizioni virtuosistiche arriva in ritardo, quando il pubblico ha già preso posto, perché uno degli spettatori dica ad un altro: «La palestra è di costui».

VI - La dissennatezza

1 La dissennatezza è un osare atti e discorsi ignominiosi; e il dissennato è un tale 2 che giura con facilità e lascia dire peste di sé; è capace di lanciare insulti, ha un comportamento da piazzaiuolo, è uno svergognato ed è rotto ad ogni ignominia. 3 Per la verità, è perfino capace di ballare il cordace o quando non ha bevuto o senza portare la maschera in un coro comico. 4 E durante i giochi di prestigio abborda a uno a uno gli spettatori per raccogliere i soldi e litiga con quelli che hanno la tessera di libero ingresso e reclamano il diritto di assistere gratis allo spettacolo. 5 È altresì capace di fare il locandiere, il tenutario, il gabelliere, e non arretra dinanzi a nessun mestiere turpe, ma fa il banditore, il cuoco, il giocatore di dadi; 6 nega i viveri a sua madre, si fa arrestare in flagranza per furto, abita più tempo in carcere che a casa sua. 7 E questo parrebbe essere il comportamento di quelli che si attorniano di frotte di gente e le chiamano a raccolta, con voce alta e squarciata lanciando ingiurie e discutendo con esse; e nel frattempo alcuni si accostano, altri si allontanano prima ancora di ascoltarlo, ma lui a chi espone il principio, a chi il riassunto, a chi una parte del fatto, e in nessun'altra circostanza si degna di dare spettacolo della sua dissennatezza se non quando vi sia un gran concorso di gente. 8 Ed è bravo a comparire in tribunale ora come accusato, ora come accusatore, ora a giustificare con falso giuramento l'assenza ad un processo, ora a presentarsi in giudizio portando in grembo la cassetta degli atti e nelle mani fasci di scritture. 9 Non si fa scrupolo nemmeno di capeggiare tutta insieme una moltitudine di rivenduglioli di piazza e di.5 prestare sùbito a questi del denaro e di farsi dare per ogni dracma un obolo e mezzo di interesse al giorno. E fa il giro delle bettole e delle rivendite di pesce fresco e pesce salato, e si ficca in bocca i frutti del suo traffico di usuraio. 10 Un malanno sono costoro, che hanno la bocca sciolta all'ingiuria e gridano a squarciagola, sicché ne rintronano la piazza e le botteghe.

VII - La loquacità

1 La loquacità, se si volesse definirla, parrebbe essere intemperanza nel parlare; ed il loquace un tale che, 2 se gli si fa incontro uno, quale che sia l'argomento di cui questi si metta a discorrere con lui, afferma che dice sciocchezze e che lui sa tutto e che, se lo ascolterà, avrà da imparare; 3 e nel bel mezzo della risposta incalza: «Hai detto? Non dimenticare quel che stai per dire», e «Hai fatto bene a ricordarmelo», e «Quanto è utile, dico io, il chiacchierare!», e «Quello che tralasciavo di dire», e «Certo, sùbito hai capito la faccenda», e «Da un pezzo ti osservavo, per vedere se tu giungessi alla mia stessa conclusione»; e trova altri appigli del genere, così che il suo interlocutore non riesce nemmeno a prender fiato. 4 E quando ha ridotto allo stremo i singoli interlocutori, è capace di volgersi perfino contro persone raccolte in massa e radunate, e di costringerle alla fuga nel mezzo delle loro contrattazioni. 5 Ed entrato nelle scuole e nelle palestre, impedisce che i ragazzi vadano avanti nell'apprendimento, facendo chiacchiere a non finire con gli istruttori di ginnastica e con gli insegnanti. 6 E se qualcuno dice di volersene andare, è capace di accompagnarlo e di ricondurlo fino all'uscio di casa. 7 E se viene a conoscenza degli affari discussi nell'assemblea, li va propalando e per di più narra anche la battaglia che ebbe luogo allora, quando era arconte Aristofonte, e la battaglia affrontata dagli Spartani per iniziativa di Lisandro, e con quali discorsi abbia guadagnato grande fama presso il popolo. 8 E mentre tesse questi racconti, vi intramezza invettive contro le masse, così che gli ascoltatori o perdono il filo del discorso o dondolano il capo sonnecchiando o se ne vanno piantandolo a mezzo. 9 E quando siede tra i giudici, impedisce di giudicare; quando è a teatro in mezzo al pubblico, impedisce di vedere; quando è tra i convitati ad un banchetto, impedisce di mangiare, dicendo che per un uomo loquace è difficile tacere, e che la lingua sta nell'umido a bella posta, e che non riuscirebbe a star zitto nemmeno se dovesse parere più chiacchierino di una rondine. 10 E sopporta di essere canzonato perfino dai suoi figlioletti, quando questi, volendo ormai dormire, lo sollecitano dicendo: «Babbuccio, chiacchiera un po' con noi, perché ci prenda il sonno».

VIII - Il raccontar fandonie

1 Il raccontar fandonie è un costruire discorsi e fatti non corrispondenti a verità, secondo il capriccio di chi racconta le fandonie; e chi racconta fandonie è un tale che, 2 quando incontra un amico, assumendo sùbito un atteggiamento disteso e sorridendo, gli chiede: «Di dove vieni?», e «Racconti ... che cosa?», e «Come? Sai dirmi una novità su questa faccenda?». E come incalzando dice: «Credi che non si dica nulla di nuovo? Eppure sono buone le notizie che si raccontano». 3 E, senza dargli il tempo di replicare, soggiunge: «Che cosa dici? Non ti è giunto niente all'orecchio? Credo proprio che sarò io ad imbandirti le ultime notizie». 4 Ed ha sempre lì pronto qualcuno arrivato fresco fresco dal campo di battaglia, o un soldato o uno schiavo di Asteio il flautista o Licone l'appaltatore, dal quale dice di aver sentito il fatto. 5 Le fonti dei suoi racconti sono sempre tali che nessuno potrebbe farsele scappare di mente. 6 Racconta, dunque, asserendo che queste persone così dicono, che Poliperconte ed il re hanno riportato la vittoria in battaglia e che Cassandro è stato preso prigioniero. 7 E se qualcuno gli ribatte: «E tu credi a queste chiacchiere?», risponderà di sì, considerato che il fatto, a suo dire, è conclamato in tutta la città, che la voce si fa sempre più insistente e che tutti i dati concordano, giacché della battaglia si raccontano le medesime cose; ed aggiunge che vi è stato un bel guazzetto di sangue. 8 Dice che per lui un chiaro segno sono anche i volti degli uomini di governo, giacché in tutti questi vede mutata l'espressione del viso. Racconta, inoltre, di aver sentito dire che in casa di quelli si nasconde un tale, che già da cinque giorni è arrivato dalla Macedonia e che è ben informato di tutti questi fatti. 9 E nel narrare ogni cosa per filo e per segno - che cosa immaginate? - esprime la sua compassione in maniera convincente esclamando: «Infelice Cassandro! Povero sventurato! Vedi la ruota della fortuna? E pensare che era un uomo potente!». 10 E mentre dice: «Soltanto tu devi saperlo», è già corso poi a dirlo a tutti in città. 11 Di uomini di tal genere io mi stupisco, e mi chiedo che cosa mai si prefiggano con le loro fandonie: giacché non solo raccontano panzane, ma se n'escono anche senza profitto. 12 Ed invero, spesso, alcuni di loro ai bagni pubblici, mentre radunavano crocchi intorno a sé, ci hanno rimesso i vestiti; altri, poi, dopo aver vinto sotto i portici battaglie per terra e per mare, hanno perduto le cause per non essersi presentati in tribunale; 13 vi sono infine di quelli, ed in grandissimo numero anche, che, mentre a parole facevano conquiste con la forza, sono rimasti senza pranzo. 14 Molto misera, invero, è la loro condizione di vita: e difatti, quale portico v'è mai, quale bottega, quale punto della piazza, dove non trascorrano le loro giornate facendo venir meno i loro uditori? 15 Fino a tal punto li spossano con le loro fandonie.

IX - La spudoratezza

1 La spudoratezza, a volerla comprendere in una definizione, è un disprezzo della buona reputazione a motivo di un turpe guadagno; e lo spudorato è un tale che 2 anzitutto torna a chiedere denaro in prestito a colui che ha defraudato del dovuto; e poi, quando offre un sacrificio agli dèi, va a pranzare in casa d'altri, mentre mette sotto sale e tiene in serbo la carne della vittima, 3 e chiamato il servo che l'accompagna, prende dalla tavola un pezzo di carne e del pane e glieli dà, dicendogli mentre tutti sentono: «Rimpinzati, o Tibio!». 4 E quando va a far la spesa, rammenta al macellaio se mai gli è stato utile in qualcosa, e accostatosi alla bilancia, vi getta sopra preferibilmente un pezzo di carne, sennò almeno un osso per il brodo; e se gli riesce di prenderli, bene; altrimenti aggranfia dal banco un pezzetto di trippa e se ne va con una risata. 5 E quando per i suoi ospiti compra i biglietti per il teatro, assiste anche lui allo spettacolo senza pagare la sua parte, ed il giorno dopo vi conduce pure i figli e il pedagogo. 6 E se qualcuno porta roba comprata a buon mercato, gli chiede di darne anche a lui. 7 Va, poi, in casa d'altri a chiedere in prestito orzo e, a volte, paglia, e pretende che quelli, pur prestandogli la roba, gliela portino addirittura fino in casa. 8 È perfino capace di questo: accostatosi alle tinozze che sono nei bagni pubblici, vi tuffa dentro la secchia e se la versa addosso da se stesso tra gli strepiti del bagnino; poi, andando via gli dice che ha già fatto il bagno, ed in quella situazione esclama: «A te nessun ringraziamento!».

X - La spilorceria

1 La spilorceria è un risparmio del proprio oltre la giusta misura; e lo spilorcio è un tale 2 che nel corso del mese si presenta a casa del debitore a richiedere l'interesse di mezzo obolo. 3 E quando partecipa ad un banchetto in cui ciascuno paga la sua quota, non solo conta i calici, quanti ne abbia bevuti ciascuno, ma è anche quello che fra tutti i commensali fa ad Artemide l'offerta più meschina. 4 E se uno, facendo per lui degli acquisti per una piccola somma, gliela mette in conto, dice che è tutto troppo caro. 5 E se uno schiavo rompe una pentola o un piatto, si rifà detraendone il valore dalla sua razione. 6 E se sua moglie ha perduto una miserabile moneta di tre soldi, è capace di spostare i mobili, i letti, le casse e di frugare tra le assicelle dell'impiantito. 7 E se vende qualcosa, ne richiede un prezzo così alto che al compratore non ne viene nessun profitto. 8 E non permetterebbe né di mangiare un fico del suo giardino, né di passare attraverso il suo fondo, né di raccogliere un'oliva o un dattero di quelli caduti a terra; 9 e ispeziona i confini ogni giorno per accertarsi che restino sempre gli stessi. 10 Ed è capace perfino di farsi pagare la penalità di mora e di richiedere l'interesse dell'interesse. 11 E quando invita a pranzo gente del demo, taglia in pezzi minuti la carne che mette a tavola. 12 E quando esce per la spesa, se ne torna senza aver comprato nulla. 13 E ordina alla moglie di non prestare né sale né un lucignolo né cimino né origano, e nemmeno grani d'orzo né infule né focacce per il sacrificio, ma dice che nel giro di un anno queste minuzie assommano a molto. 14 E, insomma, degli spilorci è possibile vedere tarlati i forzieri e arrugginite le chiavi; ed essi stessi puoi vederli indossare mantelli di misura inferiore a quelli corti, ungersi da ampolline piccole assai, tosarsi fino alla pelle, mettersi le scarpe soltanto sul mezzo del giorno, insistere con i lavandai perché sul loro mantello si sparga molta terra, onde non abbia a diventar sozzo in breve tempo.

XI - La scurrilità

1 Non è difficile definire la scurrilità: è, infatti, un modo di scherzare sfacciato e offensivo; e l'individuo scurrile è di tal fatta che, 2 quando incontra signore perbene, si alza le vesti e mostra i genitali. 3 Ed a teatro batte le mani, quando gli altri smettono di applaudire e fischia gli attori che tutti gli altri ammirano compiaciuti; e quando il pubblico tace, alza la testa ed emette un rutto per far voltare indietro gli spettatori. 4 E nell'ora del mercato pieno si avvicina ai banchi delle noci o dei mirtilli o di frutta varia e standosene lì fermo mangiucchia e intanto chiacchiera col rivendugliolo; e chiama per nome uno dei presenti con il quale non ha confidenza. 5 E se vede uno che va in gran fretta da qualche parte, gli grida di fermarsi. 6 E mentre esce dal tribunale uno che ha perso una grossa causa, egli lo abborda e gli fa le congratulazioni. 7 E va a fare la spesa per sé e ad ingaggiare le flautiste, e a tutti quelli che incontra mostra la spesa che ha fatta e li invita a restare serviti. 8 E affacciandosi alla porta di un salone o di una profumeria, dice che ha intenzione di prendersi una sbornia.

XII - L'inopportunità

1 L'inopportunità, invero, è un modo di trattare che infastidisce chi capita a tiro; e l'inopportuno è un tale 2 che va a raccontare le proprie storie a chi non ha tempo da perdere. 3 E canta la serenata alla sua bella quando è malata. 4 E si rivolge ad uno che è stato condannato a pagare di tasca propria per aver fatto da garante e gli chiede di prestargli.7 malleveria. 5 E si presenta a testimoniare, quando la vertenza è stata già giudicata. 6 Ed invitato ad un matrimonio, si mette ad inveire contro il sesso femminile. 7 Ed invita a fare una passeggiata chi è appena tornato da un lungo viaggio. 8 Ed è persino capace di condurre un compratore che offre di più, quando uno ha già venduto la merce. 9 E quando i presenti hanno già udito e capito tutto, si leva lui a dare spiegazioni, rifacendosi dal principio. 10 Ed è pronto a prodigarsi per cose che uno non vorrebbe fossero fatte, ma che si vergogna di rifiutare. 11 E va a richiedere il pagamento degli interessi a debitori che stanno celebrando un sacrificio e per questo affrontano delle spese. 12 E trovandosi presente mentre uno schiavo viene frustato, racconta che una volta anche un suo servo, dopo aver preso nerbate a quel modo, si impiccò. 13 E facendo da arbitro in una vertenza, riattizza le parti quando sono già disposte ad accordarsi. 14 E mettendosi a ballare, trascina nella danza un altro che non è ancora brillo.

XIII - Lo strafare

1 Per la verità, lo strafare sembrerebbe essere un affannarsi a dire e a fare con buona intenzione; e chi strafà, un tale 2 che si leva a fare promesse che non potrà mantenere. 3 E quando tutti convengono che una certa cosa è giusta, egli si sofferma ad insistere su di un punto ed è messo a tacere. 4 E costringe il servo a mescolare più vino di quanto possano tracannarne i presenti. 5 E separa la gente che litiga, anche se non la conosce. 6 E si mette a far da guida per una scorciatoia e poi non riesce più a raccapezzarsi in quale direzione stia andando. 7 E si presenta al generale per chiedergli quando intende schierare gli uomini a battaglia e quali ordini darà dopodomani. 8 E va dal padre per dirgli che la madre è già in camera a dormire. 9 E se il medico gli proibisce di dare del vino ad un infermo, egli dice che vuol fare l'esperimento e si mette a curare lo sventurato che sta male. 10 E se muore una donna, scrive sulla sua tomba il nome del marito, del padre, della madre, ed inoltre quello di lei, e di che paese è, e aggiunge ancora che tutti costoro erano gente dabbene. 11 E trovandosi sul punto di prestare un giuramento, dice a quelli che gli stanno intorno: «Anche prima di oggi ho giurato tante volte».

XIV - La storditaggine

1 La storditaggine, a volerla definire, è una lentezza di spirito nel dire e nell'agire; e lo stordito è un tale che, 2 dopo aver fatto il calcolo con i sassolini ed aver tirato la somma, chiede a chi gli siede vicino: «Quanto fa?». 3 E citato in giudizio, quando deve comparire in tribunale, se ne scorda e se ne va in campagna. 4 E se assiste ad uno spettacolo, si addormenta e rimane solo in teatro. 5 E dopo aver mangiato a crepapelle, costretto ad alzarsi nel cuore della notte per andare, appunto, al gabinetto, si fa mordere dalla cagna del vicino. 6 E dopo aver ricevuto e riposto una cosa lui stesso, la cerca e non riesce a trovarla. 7 E se qualcuno gli annunzia che è morto uno dei suoi amici, perché vada al funerale, rattristandosi in volto e piangendo esclama: «Con tanti auguri!». 8 E se deve riscuotere denaro che gli è dovuto, è addirittura capace di prendere con sé testimoni. 9 Ed in pieno inverno fa una strapazzata al servo, perché non gli ha comprato i cocomeri. 10 E costringendo i suoi figli a fare alla lotta e a correre, li riduce addirittura allo sfinimento. 11 E quando in campagna cuoce le lenticchie per i figli, mette due volte il sale nella pentola, rendendole immangiabili. 12 E quando piove, esclama: «È veramente piacevole il tempo!». E annovera tra gli astri splendenti tutto quello che gli altri dicono sia del colore della pece. 13 E se qualcuno gli chiede: «Quanti morti pensi che siano usciti per la Porta Sacra?», risponde: «Quanti ne auguro a me e a te».

XV - La villania

1 La villania è una ruvidezza di modi nelle parole; ed il villano è un tale che, 2 a chi gli chiede: «Il tale dov'è?», risponde: «Non mi seccare»; 3 e salutato non rende il saluto. 4 E se vende della roba, non dice ai compratori a qual prezzo la cederebbe, ma chiede qual prezzo valga la sua merce. 5 Ed a quelli che per dimostrargli stima gli mandano regali per le feste, dice che non possono essere doni offerti gratuitamente. 6 E non scusa chi, senza volerlo, lo spinge giù dal marciapiede o gli dà un urto o gli pesta un piede. 7 E se un amico lo invita a contribuire ad una colletta, prima dice che non intende dar niente, poi va a portare la sua quota e aggiunge che anche quel denaro egli dà a fondo perduto. 8 E se inciampa per la strada, è capace di imprecare contro il sasso. 9 E non tollererebbe di aspettare a lungo nessuno. 10 E non acconsentirebbe né a cantare né a recitare un pezzo tragico né a danzare. 11 Ed è perfino capace di non pregare gli dèi.

XVI - La superstizione

1 Per la verità, la superstizione parrebbe essere paura di fronte al soprannaturale; ed il superstizioso un tale che, 2 dopo essersi lavato ben bene le mani ad una fonte ed essersi tutto spruzzato di acqua da una sacra urna lustrale, si mette in bocca una foglia di lauro e così passeggia tutto il giorno. 3 E se una donnola lo sfiora correndo, egli non continua a procedere sulla sua strada, se prima non sia passato di là un altro o non abbia egli stesso gettato tre sassi oltre il ciglio della strada. 4 E qualora veda in casa un serpente, invoca Sabadio, se è un saettone; se, invece, è una serpe sacra, erige subito in quello stesso luogo un'edicola per le anime dei defunti. 5 E sulle pietre unte, che sono nei trivi, trovandosi a passarvi accanto, versa olio dall'ampollina, e se ne va soltanto dopo essere caduto ginocchioni ed averle adorate. 6 E se un topo gli ha rosicchiato un sacco pieno di farina, va dall'interprete sacro a chiedere che cosa bisogna fare; e se gli risponde che dia il sacco al cuoiaio perché lo rattoppi, non dà retta a questo responso, ma volta le spalle e va a fare un sacrificio espiatorio. 7 Ed è capace di purificare ripetutamente la casa, dicendo che con arti magiche gli hanno attirato dentro Ecate. 8 E se vi sono civette sul suo cammino, si agita tutto ed esclama: «Atena è più forte!», e solo così passa oltre. 9 Ed evita di mettere i piedi su un sepolcro e di andare ad un funerale o da una partoriente, ma dice che è suo interesse mantenersi puro da ogni contaminazione. 10 Ed il quattro ed il sette del mese ordina ai suoi domestici di far bollire il vino e poi esce a comprare ramoscelli di mirto, incenso, focaccette rituali, e rincasato si mette durante l'intera giornata ad incoronare gli Ermafroditi. 11 E se fa un sogno, va dagli oniromanti, dagli indovini, dagli auguri per chiedere a quale dio o dea debba innalzare preci. 12 E per farsi iniziare ai misteri, va ogni mese dagli Orfeotelesti con la moglie (o, se la moglie non è disponibile, con la balia) e i figlioletti. 13 E costui parrebbe essere uno di quelli che fanno accuratamente abluzioni sulla riva del mare. 14 E qualora veda incoronata di aglio una di quelle divinità che sono nei trivi, scappa via a versarsi acqua in testa e, fatte venire le sacerdotesse, le prega di purificarlo girandogli intorno con una cipolla marina o con un cagnolino. 15 E se vede un pazzo o un epilettico, rabbrividisce dalla paura e si sputa in seno.

XVII - La scontentezza

1 La scontentezza è un inopportuno lagnarsi di ciò che ci è stato dato; e lo scontento è un tale che, 2 quando un amico gli manda una porzione del pranzo, dice a chi gliela porta: «Per non darmi un po' di brodo e di vinello, non mi hai invitato a pranzo». 3 E quando riceve un bacio dall'amica, le dice: «Mi stupisco che tu mi baci con tanta passione, in questo modo». 4 E se la prende con Zeus non perché piova, ma perché piove troppo tardi. 5 E persino se trova un borsellino per strada, esclama: «Mai una volta che abbia trovato un tesoro!». 6 E quando compra uno schiavo a buon mercato, per giunta dopo aver fatto molte insistenze al venditore, dice: «Mi chiedo stupito che cosa di buono abbia potuto io comprare ad un prezzo così basso». 7 Ed a chi gli dà la lieta notizia: «Ti è nato un figlio maschio», risponde: «Se aggiungi: "e se ne è andata la metà del patrimonio", dirai il vero». 8 E quando ha vinto una causa con i voti di tutti i giurati, a chi gli ha scritto l'arringa muove l'accusa di aver trascurato molti punti di diritto favorevoli a lui. 9 E se gli viene portata una somma raccolta per lui dagli amici ed uno di questi gli dice: «Sta' allegro», risponde: «E come potrei? Bisogna pur rendere a ciascuno il denaro e, per di più, rimanere in debito di gratitudine, come se avessi ricevuto un favore».

XVIII - La diffidenza

1 La diffidenza, per la verità, è un sospettare che tutti siano disonesti; ed il diffidente è un tale che, 2 quando manda il servo a fare la spesa, ne invia poi un altro con l'incarico di informarsi a qual prezzo il primo abbia fatto le compere. 3 E pur portando lui stesso il denaro, addirittura ad ogni stadio si ferma a contare quant'è. 4 E quando già si è messo a letto, chiede a sua moglie se ha ben chiuso il forziere, e se la credenza del vasellame è sigillata, e se è stata messa la stanga alla porta di casa; e sebbene quella dica di sì, nondimeno si alza lui stesso nudo dal letto e, accesa la lucerna, se ne va scalzo in giro a ispezionare tutte queste cose e pur così stenta a prendere sonno. 5 E da quelli che gli devono denaro esige il pagamento degli interessi alla presenza di testimoni, perché non possano poi negare il loro debito. 6 Ed è capace di dare il mantello a lavare non a chi sappia fare meglio degli altri il suo lavoro, ma a quel lavandaio che offra un sicuro garante. 7 E se uno va a chiedergli in prestito delle coppe, generalmente non le dà; ma se proprio si tratti di un amico intimo o di un parente stretto, le presta sì, ma solo dopo averle poco meno che marcate a fuoco e pesate ed aver quasi quasi richiesto un garante. 8 Ed al servo che l'accompagna ordina di camminare non dietro di lui, ma innanzi, perché possa tenerlo d'occhio, che non abbia a svignarsela per la strada. 9 Ed a quelli che hanno comprato qualcosa da lui e gli dicono: «Fa' il conto e addebitami la somma, giacché non ho proprio il tempo di mandarti il denaro», risponde: «Non prenderti fastidio; ti seguirò io fino a casa, se tu non hai tempo».

XIX - La repellenza

1 È la repellenza un non prendersi cura del proprio corpo, con la conseguenza di suscitare disgusto; e il repellente è un tale 2 che se ne va a passeggio con la lebbra addosso, con le croste bianche sulla pelle, con le unghie lunghe, e dice che questi malanni gli sono congeniti, giacché li ha lui e suo padre e suo nonno, e che non sarebbe facile ad estranei introdurlo nella famiglia come figlio supposito. 3 Ed invero è anche capace di avere ulcere negli stinchi e piaghe nelle dita dei piedi, e di non curarle, ma di lasciarle degenerare. Ed ha le ascelle animalesche e pelose fino a buona parte delle costole, e i denti neri e cariati, tanto da farsi evitare e suscitare disgusto. 4 Ed ancora, comportamenti di tal genere: mentre mangia, si soffia il naso con le dita; mentre sacrifica, si gratta; parlando, schizza saliva dalla bocca; mentre beve, rutta; 5 senza lavarsi i piedi, si mette a dormire a letto con sua moglie; 6 nel bagno si unge adoperando olio rancido; 7 ed esce in piazza portando addosso una tunica di panno grossolano ed un mantello molto sottile e pieno di macchie. 8 E nel momento in cui la madre esce per andare dall'indovino, egli pronunzia parole di malaugurio. 9 E mentre si prega e si fanno libagioni, lancia la coppa in aria e ride come se avesse compiuto una straordinaria prodezza. 10 E quando ascolta il flauto, unico fra tutti gli altri si mette a battere le mani e accompagna l'esecuzione fischiettando, ed alza la voce contro la flautista chiedendole perché non smetta subito. 11 E volendo sputare al di là della tavola, lancia lo sputo in faccia al coppiere.

XX - La sgradevolezza

1 È la sgradevolezza, a volerla stringere in una definizione, un modo di comportarsi che produce fastidio senza danno; e l'individuo sgradevole è un tale 2 che entra in camera di chi da poco ha preso sonno e lo sveglia per parlargli. 3 E trattiene quelli che sono già in procinto di salpare 4 e, fattosi da presso, li prega di aspettare finché non abbia fatto la sua passeggiata. 5 E preso un bimbo dalle braccia della balia, gli mastica lui il cibo e poi lo imbocca, e lo vezzeggia schioccandogli baci e chiamandolo ladruncolo del nonno. 6 E mentre mangia, racconta che dopo aver bevuto l'elleboro ha scaricato da sopra e da sotto e che la bile nelle sue feci è più nera del brodo che è a tavola. 7 Ed alla presenza dei servi è capace di chiedere: «Dimmi, mamma, quando avesti le doglie e mi partoristi, che giorno fu per te?». 8 E rispondendo per lei dice che fu una cosa bella e che capire entrambe le cose, doglie e parto, non è facile, a meno che uno non le provi. 9 E dice che da lui c'è una fresca acqua di cisterna, tanto che anche il vino è sempre freddo, e che il suo orto fornisce una grande quantità di verdure tenere ed il cuoco prepara piatti squisiti, e che la sua casa è una locanda: infatti, è piena di gente; e che i suoi amici sono l'orcio forato: infatti, per quanto li tratti bene, non riesce a saziarli. 10 E quando riceve un ospite, mostra al commensale il suo parassita, magnificandone le qualità; e durante il bere, invitando all'allegria, dice che è già bell'e pronto il divertimento per i presenti, e che, ad un loro cenno, il servo andrà subito a prendere la ragazza dal mezzano «affinché suoni il flauto per noi tutti e possiamo così spassarcela».

XXI - La vanagloria

1 La vanagloria sembrerebbe essere un desiderio meschino di onori; ed il vanaglorioso un tale che, 2 invitato a pranzo, fa di tutto per pranzare seduto accanto al padrone di casa che lo ha invitato. 3 E per far tagliare i capelli al figlio, lo conduce fino a Delfi. 4 E bada a farsi accompagnare da uno schiavo che sia etiope. 5 E se deve pagare una mina di argento, la fa dare in moneta nuova di zecca. 6 E per il gracchio che alleva in casa è capace di comprare una scaletta e di fargli modellare uno scudetto di bronzo, perché con esso il gracchio salti sulla scaletta. 7 E se sacrifica un bue, inchioda davanti all'ingresso di casa la parte anteriore della testa con le corna, avvolgendola tutt'intorno con grandi corone, perché chi entra possa vedere che ha sacrificato un bue. 8 E dopo aver preso parte alla parata insieme con i cavalieri, consegna allo schiavo tutto il resto dell'equipaggiamento perché lo riporti a casa, mentre egli, gettando sulle spalle il mantello usuale, ma con gli speroni ai piedi, va su e giù per la piazza. 9 E se gli muore un cagnolino di razza maltese, gli fa costruire una tomba e, postovi un cippo, vi fa scolpire sopra: «Rampollo di Malta». 10 E se offre in voto un anello di rame nel tempio di Esculapio, ogni giorno lo lucida, lo inghirlanda, lo unge. 11 Ed invero è capace perfino di intrigare per farsi accordare dai pritani l'incarico di annunziare al popolo la celebrazione dei sacri riti; e così, agghindatosi con uno splendido mantello, cinta una corona intorno alla testa, si fa avanti e proclama: «O Ateniesi, noi pritani abbiamo offerto alla Madre degli dèi i sacrifici, degni e magnifici: e voi accogliete i buoni auspici». E dopo aver dato questo annunzio, se ne torna a casa a raccontare a sua moglie che la sorte gli è straordinariamente propizia.

XXII - La tirchieria

1 La tirchieria è un eccesso di mancanza di amor proprio, che rifugge dallo spendere; ed il tirchione è un tale che, 2 riuscito vincitore in un concorso tragico, offre a Dioniso soltanto una tavoletta di legno, sulla quale con l'inchiostro ha scritto soltanto il suo nome. 3 E quando si offrono i contributi volontari, egli si leva dall'assemblea per... tacere o per.10 svignarsela dal mezzo della riunione. 4 E quando celebra le nozze della figlia, vende le carni della vittima, tranne le sole parti che spettano ai sacerdoti, e prende a nolo i servitori per la festa nuziale a condizione che provvedano essi stessi al loro vitto. 5 E se ha il comando di una trireme, usa lui le coperte del timoniere, stendendole sul ponte della nave, e tiene riposte le sue. 6 Ed è capace di non mandare i figli a scuola quando ricorre la festa delle Muse, ma di affermare che non stanno bene, perché non paghino il loro contributo. 7 E dal mercato, quando ha fatto la spesa, porta egli stesso a casa la carne e gli ortaggi in grembo. 8 E rimane in casa, quando dà il mantello a lavare. 9 E se un amico raccoglie una colletta e gliene ha parlato, appena di lontano lo scorge venire alla sua volta, cambia strada e girando alla larga se ne torna a casa. 10 Ed alla moglie, che pure gli ha portato la dote, non compra un'ancella, ma per le uscite di lei prende a nolo dal mercato per le donne una servetta che l'accompagni. 11 E porta scarpe rabberciate con ripetuti rattoppi e va dicendo che sono resistenti non meno del corno. 12 E quando si leva dal letto pulisce la casa e spolvera i letti. 13 E quando si siede, si scosta di sotto il logoro mantello, che solo lui è capace di portare.

XXIII - La millanteria

1 Per la verità, la millanteria parrebbe essere un attribuirsi beni che non sussistono; e il millantatore un tale 2 che stando sul molo racconta ai forestieri che egli ha molte ricchezze sul mare; e fa lunghi discorsi sulla sua attività di investimenti dei capitali, spiegando quanto essa sia cresciuta e quanti guadagni egli abbia realizzato e quanto vi abbia rimesso; e mentre allunga chilometricamente queste cifre, manda il servitorello alla banca, dove ha in deposito una sola dracma. 3 Ed è capace di prendersi gioco di un compagno di viaggio, narrandogli lungo il tragitto che ha partecipato alle campagne di Alessandro, in quale rapporto fosse con lui, quante coppe tempestate di gemme abbia riportato a casa; e discute degli artisti dell'Asia, sostenendo che sono migliori di quelli d'Europa; e fa la conta di queste sue prodezze, senza aver messo mai il piede fuori di Atene. 4 E racconta che gli sono pervenute ben tre lettere da Antipatro, che lo invitano a recarsi in Macedonia; e dice che, pur venendogli concessa l'esportazione del legname in franchigia, egli ha rifiutato, perché neppure uno solo potesse incriminarlo: «I Macedoni dovrebbero trovare più convincenti arzigogoli!». 5 E dice che durante la carestia le sue spese sono ammontate a più di cinque talenti per elargizioni ai cittadini bisognosi, giacché egli non sa dire di no. 6 E trovandosi a sedere accanto a lui persone che non conosce, invita uno di loro a disporre per lui i sassolini dei conti ed a calcolarli secondo unità di misura del valore di seicento dracme e di una mina, e poi, a ciascuna di queste somme aggiungendo in maniera convincente un nome, arriva al totale di dieci talenti addirittura; e dice che tanto egli personalmente ha sborsato in collette; e aggiunge che non mette in conto né le spese per l'armamento delle triremi né quelle per servizi di pubblico interesse, quante mai ha dovuto sostenerne. 7 E va al mercato dei cavalli di razza e con i venditori fa finta di voler comprare. 8 E si avvicina ai banchi dei pannaioli a cercare capi di vestiario per il valore di due talenti, e se la prende col servo, perché gli va dietro senza portare il denaro. 9 E mentre abita in una casa presa in affitto, a chi non lo sa dice che quella è la sua magione paterna, e che ha intenzione di venderla, perché gli riesce troppo piccola per ricevere ospiti.

XXIV - La superbia

1 La superbia è un disprezzo di tutti gli altri all'infuori di sé; ed il superbo è un tale 2 che a chi ha premura dice che lo vedrà dopo pranzo durante la passeggiata. 3 E se ha fatto qualche favore, dice di ricordarsene e costringe a ricordarsene. 4 E dirime per le strade le contese fra i litiganti. 5 E se viene eletto, rifiuta le cariche, dicendo che non ha tempo. 6 E non acconsente ad andare lui per primo da nessuno. 7 Ed a quelli che hanno da vendergli qualcosa o che hanno preso qualcosa in affitto da lui, è capace di ingiungere che vadano da lui alle prime luci dell'alba. 8 E quando cammina per le strade, non rivolge la parola a quelli che incontra, tenendo il capo chino o, al contrario, volto verso il cielo, quando così gli pare. 9 E se invita a pranzo gli amici, non mangia insieme con loro, ma ad uno dei suoi subalterni dà mandato di prendersi cura degli ospiti. 10 E qualora esca per una visita, manda innanzi chi dia la notizia che egli sta per arrivare. 11 E non permetterebbe a nessuno di entrare in casa da lui, se si sta ungendo o sta facendo il bagno o sta mangiando. 12 Ed invero è persino capace, quando fa i conti con qualcuno, di ordinare al servo di fare scorrere le pietruzze sull'abaco, di tirare la somma e di segnarla in conto sotto il suo nome. 13 E per giunta nelle lettere non scrive: «Mi faresti un piacere», ma «Voglio che così si faccia» e «Ho mandato da te per ricevere» e «Al più presto».

XXV - La codardia

1 Per la verità, la codardia parrebbe essere un pavido cedimento dell'animo; ed il codardo un tale che, 2 quando viaggia per mare, afferma che i promontori sono navi corsare; e se si leva un po' di maretta, domanda se tra i naviganti vi sia qualcuno non iniziato; e guardando il cielo chiede al timoniere se la nave è già a metà del viaggio e che gli pare delle condizioni del tempo, e a chi gli siede vicino confessa che ha paura per via di un certo sogno; e toltasi la tunica, la dà al 11 servo; e supplica che lo facciano scendere a terra. 3 E se partecipa ad una campagna di guerra, quando un corpo di fanteria esce in soccorso, chiama a sé tutti i commilitoni, invitandoli a fermarsi accanto a lui ed a guardarsi intorno innanzi tutto, e dice che è un grosso problema riconoscere quale dei due schieramenti sia quello nemico; 4 e quando sente gli urli dei combattenti e vede gente cadere, dice ai suoi compagni di fila che per la fretta ha dimenticato di prendere la spada e corre sotto la tenda e, dopo aver mandato fuori l'attendente con l'ordine di scrutare dove siano i nemici, nasconde la spada sotto il cuscino, poi si trattiene molto tempo col pretesto di cercarla; 5 e stando sotto la tenda, se vede che verso quella parte viene trasportato ferito uno degli amici, correndogli incontro ed esortandolo a farsi coraggio, se lo prende sulle spalle e lo porta lui; e si mette a curarlo e gli pulisce la ferita con la spugna e, sedutosi al suo fianco, scaccia via le mosche dalla ferita, ed insomma fa qualsiasi cosa pur di non affrontare i nemici; e quando il trombettiere suona il segnale della battaglia, seduto nella sua tenda, dice: «Va' alla malora! Con il suo frequente strombettare non lascerà prendere un po' di sonno a questo poveretto»; 6 e tutto cosparso di sangue sgorgato dall'altrui ferita, si fa incontro a quelli che tornano dalla battaglia e racconta: «Sfidando il pericolo, ho salvato la vita ad un amico»; e accompagna dentro a visitare l'infermo i suoi compagni di demo e di tribù, raccontando nel frattempo a ognuno di loro come lo abbia trasportato nella tenda lui sulle sue braccia.

XXVI - Il conservatorismo

1 Il conservatorismo parrebbe essere ambiziosa ricerca di cariche, tendente al potere e al lucro; ed il conservatore un tale che, 2 quando l'assemblea popolare discute quali collaboratori si debbano eleggere per l'arconte, perché lo aiutino ad organizzare la processione, fattosi avanti dichiara: «Bisogna che costoro abbiano pieni poteri»; e se altri propongono che siano dieci, afferma: «Uno solo basta», ma che questi «deve essere un vero uomo». E dei versi di Omero tiene a mente soltanto questo: «Non è un bene la molteplicità dei capi, uno solo comandi», e di tutti gli altri versi non sa nulla. 3 Ed invero è capace di fare discorsi di tal genere: «Dobbiamo riunirci solo noi a deliberare su tali questioni, dobbiamo liberarci dalla plebaglia e dalla piazza, smetterla di accettare cariche pubbliche e di esporre le nostre persone agli oltraggi e ai consensi di codesta gente»; ed ancora: «O da costoro o da noi deve essere abitata la città». 4 Ed esce verso mezzogiorno, ravviluppato nel mantello, con i capelli tagliati a mezza lunghezza, con le unghie meticolosamente curate, ed avanza pettoruto per la strada dell'Odeon, pronunziando frasi come queste: 5 «Per colpa dei sicofanti non si deve più abitare in Atene»; e: «Nei tribunali ci tocca subire prepotenze da parte di quelli che ci intentano processi»; e: «Mi stupisco di quelli che si danno alla politica e mi chiedo che cosa mai vadano cercando»; e: «L'ingratitudine è il destino di chi elargisce e dà»; e dice che prova vergogna nell'assemblea, quando gli si metta a sedere vicino un individuo miserabile e rognoso. 6 Ed esclama: «Quando finiremo di rovinarci con i contributi che il popolo ci impone e con le tassazioni per armare le triremi?»; ed ancora: «Detestabile è la genia dei demagoghi», spiegando che il primo responsabile dei mali di Atene è stato Teseo: questi, per l'appunto, dopo aver riportato da dodici città in una sola i precedenti regimi monarchici dissolti, pagò proprio lui la meritata pena, giacché fu lui il primo ad essere colpito dai demagoghi. 7 Ed altre cose di tal genere dice ai forestieri e a quei cittadini che si comportano come lui e fanno le stesse scelte politiche.

XXVII - La goliardia tardiva

1 La goliardia tardiva parrebbe essere voglia di darsi da fare oltre l'età giusta; ed il goliardo tardivo un tale 2 che a sessant'anni suonati impara a memoria pezzi di tragedia e, mentre li recita a tavola tra un bicchiere e l'altro, ad un certo punto dimentica il seguito. 3 E si mette ad imparare da suo figlio il «fianco destr'», il «fianco sinistr'» e il «dietro-front». 4 E per le feste degli eroi paga il suo contributo insieme con i giovani per prendere parte alla corsa delle fiaccole. 5 Ed invero, se per caso è invitato ad un sacrificio nel tempio di Eracle, gettato via il mantello, solleva il bue per rovesciargli indietro il collo. 6 Ed entra nelle palestre e si cimenta nella lotta. 7 E agli spettacoli dei giocolieri resiste per tre o quattro affollatissime rappresentazioni, cercando di imparare a memoria le canzonette. 8 E quando viene iniziato al culto di Sabazio, si sforza di apparire il più bello agli occhi del sacerdote. 9 Ed innamoratosi di un'etera, mentre cerca di sfondare la porta a colpi di ariete, prende bastonate dal rivale ed è trascinato in tribunale. 10 E recandosi al podere in groppa ad un cavallo non suo, si mette a fare nel contempo esercizi di equitazione e così cade e si rompe la testa. 11 E come membro dei decadisti, riunisce a banchetto i soci che con lui sono benemeriti del club. 12 E gioca alla statua lunga con il proprio servitore. 13 E col pedagogo dei suoi ragazzi si mette a gareggiare con l'arco e col giavellotto e nello stesso tempo lo esorta ad imparare da lui come se addirittura quello non sapesse far niente. 14 E cimentandosi nella lotta ai bagni pubblici, dimena continuamente il sedere, perché faccia mostra di essersi bene allenato. 15 E se con lui vi siano donne, si esibisce in esercizi di danza canticchiando lui stesso un'aria musicale come accompagnamento.

XXVIII - La maldicenza

1 La maldicenza è un'inclinazione dell'anima al peggio nelle parole; ed il maldicente è un tale che, 2 se gli viene chiesto: «Il tale chi è?», dice alla maniera di quelli che espongono le genealogie: «Or dunque, in primo luogo comincerò dalla famiglia di questo signore. Il padre si chiamava in origine Sosia; poi, durante il servizio militare, divenne Sosistrato; soltanto in seguito, quando riuscì ad essere iscritto all'anagrafe di un demo, si chiamò Sosidemo. Sua madre, poi, certamente, è una nobildonna di Tracia; perciò si chiama Crinocoraca questo tesoruccio di donna: donne di tal genere nel loro paese la gente fa passare per nobili. Quanto a lui, poi, come degno figlio di tali genitori, è un furfante e una canaglia». 3 E perfidamente dice ad un tale: «Io conosco bene cosiffatte cose, sulle quali vieni a fare a me dei giri di parole», e seguitando chiarisce: «Queste donne rapiscono dalla strada i passanti», e «Questa è una specie di casa che alza le gambe; ché non si tratta solo di ciarle, come dice il proverbio, ma si accoppiano per le strade come le cagne», e «Insomma sono donne che rivolgono loro la parola agli uomini», e «Vanno esse stesse ad aprire la porta di casa». 4 Ed invero, quando già altri parlano male, è capace di passare anche lui all'attacco dicendo: «Quest'uomo io l'ho sempre odiato più di tutti; ed infatti, solo a guardarlo in faccia, riesce detestabile; la sua furfanteria, poi, non ha pari; eccone una prova: a sua moglie, che pure gli ha portato in dote fior di talenti, dalla quale gli è nato un figlio, egli dà solo tre monetine per la spesa giornaliera e la costringe a fare il bagno in acqua diaccia nel giorno di Posidone». 5 E quando sta seduto in una compagnia di amici, appena uno si alza e se ne va, è capace di tagliargli i panni addosso e, una volta preso l'abbrivo, non si fa scrupolo neppure di offendere i parenti di costui. 6 E dice moltissime altre malignità su amici e parenti e persino sui morti, apponendo alla maldicenza l'etichetta di schiettezza di linguaggio, di democrazia, di libertà, e di questo compiacendosi più di ogni altra cosa nella vita. 7 Fino a tal punto il prurito di fare sermoni rende folli e dissennati gli uomini nel loro comportamento.

XXIX - La propensione per i furfanti

1 La propensione per i furfanti è una predilezione per la malvagità; e chi ha propensione per i furfanti è un tale 2 che frequenta persone che hanno subìto condanne e sono state giudicate colpevoli in processi politici, e ritiene di poter diventare più furbo e più temuto, se pratica costoro. 3 E della gente perbene dice: «Si trasformano in galantuomini e dicono di esserlo», e «Nessuno è galantuomo», e aggiunge che tutti sono uguali, ed eccepisce: «Ma è un galantuomo!». 4 Ed afferma che il malvagio è veramente libero, se si voglia venire alla prova dei fatti; e mentre per il resto ammette che su questo tale la gente dice la verità, di alcune cose asserisce che non sa nulla: afferma, infatti, che è un uomo bennato, cordiale e accorto; e si sbraccia a difenderlo, sostenendo che non ha mai incontrato una persona più valente. 5 E parteggia per lui, quando questi parla nell'assemblea o è processato in tribunale; e mentre sta seduto ad assistere, è capace di affermare: «Non l'uomo bisogna giudicare, ma il fatto in sé». E asserisce che quello è il fedele cane da guardia della democrazia, giacché è lui che tiene sotto controllo quelli che tentano di colpirla, ed esclama: «Non avremo più uomini che si sacrificheranno per il bene comune, se abbandoneremo al loro destino uomini di tal fatta!». 6 Ed è capace persino di assumere il patrocinio di ribaldi, di sedere tra i giurati nei tribunali per questioni losche e, se deve giudicare una causa, di interpretare nel senso peggiore gli argomenti addotti dalle parti contendenti. 7 Insomma la propensione per i furfanti è sorella della furfanteria; ed è vero quel che dice il proverbio, che il simile tende al suo simile.

XXX - L'avarizia

1 L'avarizia è un eccesso di lucro turpe; e l'avaro è un tale che, 2 quando offre un pranzo, non mette a tavola abbastanza pane. 3 E chiede un prestito all'ospite che si ferma a casa sua. 4 E quando distribuisce porzioni, dice che è giusto che si dia il doppio a chi distribuisce e sùbito se lo assegna. 5 E se vende vino, dà vino annacquato anche all'amico. 6 E va allo spettacolo conducendo con sé i figli, solo quando gli impresari lasciano entrare gratis. 7 E quando compie una missione ufficiale all'estero, lascia a casa l'indennità che il governo gli paga, e chiede denaro in prestito ai colleghi di ambasceria; e carica sulle spalle del servo che l'accompagna un bagaglio più pesante di quanto quello possa portare, e gli dà una razione inferiore al necessario; e chiede la parte che gli spetta dai doni ospitali e se la vende. 8 E quando ai bagni pubblici si accinge ad ungersi, dice: «Ragazzo, l'olio che mi hai comprato è proprio rancido», e si unge con l'olio degli altri. 9 E dei soldini, che i servi trovano per la strada, è capace di chiedere la sua parte, asserendo che quel che si trova è guadagno comune. 10 E quando dà a lavare il suo mantello, se ne fa dare uno in prestito da un conoscente e poi tira in lungo per più giorni, finché non gliene venga richiesta la restituzione. 11 E cose di tal genere: con un piccolo staio Fidonio, che ha il fondo ribattuto in dentro, misura lui stesso le razioni per i domestici, rasandole ben bene. 12 E acquista sottocosto da un amico, mentre questi crede che la merce sia venduta a prezzo di mercato, e poi la rivende ricavandone di più. 13 Ed invero è capace persino di dare quattro dracme in meno, se ha da pagare un debito di trenta mine. 14 E se i suoi figli, per motivi di salute, non vanno a scuola per il mese intero, defalca dalla retta in proporzione, e nel mese di Antesterione, poiché vi sono molti spettacoli, non li manda a scuola, per non pagare l'onorario. 15 E quando dallo schiavo riscuote il profitto consistente in pochi spiccioli di bronzo, esige in più l'aggio, e così fa pure quando riceve il rendiconto dall'amministratore. 16 E quando ospita a casa sua la riunione conviviale dei compagni di fratria, pretende per i propri schiavi il vitto a spese della comunità, e prende nota anche dei mezzi ravanelli rimasti a tavola, perché non se li prendano gli schiavi che servono. 17 E quando fa un viaggio in compagnia di conoscenti, si avvale dei servi di quelli, mentre dà il suo a nolo fuori e non versa il ricavato nella cassa comune. 18 Ed invero, se a casa sua si riuniscono gli amici per un banchetto a spese comuni, mette a profitto, come bene ipotecario, parte della legna, delle lenticchie, dell'aceto, del sale e dell'olio per la lucerna che egli fornisce. 19 E quando uno dei suoi amici si sposa o dà marito alla figlia, qualche tempo prima parte per un viaggio, per non mandare il regalo di nozze. 20 E dai suoi conoscenti prende a prestito cose tali che uno non oserebbe domandare indietro né riprendere sul momento, se gli venissero restituite.