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Eventi culturali

A Capodimonte per scoprire un Luca Giordano “mitologista”

Con l’allentamento delle restrizioni anti-Covid19 in Campania, da lunedì 18 gennaio il Museo Nazionale di Capodimonte ha potuto finalmente riaprire le sue porte al pubblico. Anche la mostra “Luca Giordano. Dalla natura alla pittura”, già inaugurata nel mese di ottobre 2020, è ritornata, dunque, ad essere visitabile. Tra le opere esposte, molte delle quali di argomento sacro e provenienti da chiese, non mancano, tuttavia, importanti dipinti aventi come tema i miti del mondo greco-romano.

Una breve biografia dell’artista

Luca Giordano è sicuramente uno dei principali artisti del secondo Seicento nonché uno dei massimi esponenti della pittura barocca a livello europeo. Nacque il 18 ottobre 1634 a Napoli. Nella sua città natale, il pittore iniziò ad operare già dall’età di 16 anni alla scuola di Jusepe de Ribera, maestro spagnolo che si era affermato nella prima metà del XVII secolo grazie ad importanti lavori, come quelli presso la Chiesa della Certosa di San Martino e la Cappella del Tesoro di San Gennaro. È proprio in ambito ecclesiastico che Giordano, il quale per la straordinaria rapidità di esecuzione nel dipingere avrebbe ricevuto il soprannome di “Luca fa presto”, ottenne le sue prime committenze.

Di grande importanza per la sua maturazione artistica furono i soggiorni a Venezia e a Firenze. Nella città veneta, in cui dimorò sul finire degli anni Sessanta del Seicento, il pittore rimase fortemente impressionato dalle opere di Tiziano Vecellio, di cui ne ammirò il peculiare uso del colore. A Firenze, invece, dove dimorò nei primi anni Ottanta dello stesso secolo, Giordano si distinse per la realizzazione degli affreschi della Galleria degli Specchi di Palazzo Medici Riccardi.

In realtà, l’apice della carriera dell’artista viene inquadrato da molti studiosi nel periodo che va dal 1692 al 1702: un decennio trascorso da Giordano alla corte di Spagna, presso la quale realizzò mirabili capolavori nel Palazzo Reale di Madrid e nel Monastero dell’Escorial. Tornato a Napoli in età avanzata, il pittore eseguì le sue ultime opere nella Chiesa dei Girolamini e nel Tesoro Nuovo della Certosa di San Martino. Morto nella sua città natale il 3 gennaio 1705, fu sepolto nella Chiesa di S. Brigida.

Un Luca Giordano a tutto tondo…

La mostra “Luca Giordano. Dalla natura alla pittura” ha il merito di esaltare la straordinaria prolificità del grande pittore e di focalizzarne, in particolare, la produzione in rapporto alle committenze dell’ambiente napoletano. Inaugurato nell’ottobre 2020 presso la Sala Causa del Museo di Capodimonte, l’allestimento costituisce la seconda parte di una narrazione proposta ed iniziata dai curatori Stefano Causa e Patrizia Piscitello con l’esposizione del 2019 presso il Petit Palais di Parigi intitolata “Luca Giordano. Le triomphe de la peinture napolitaine”.

Luca Giordano disegnatore di acquerelli mitologici

Accanto ad un Giordano autore di grandi tele per chiese ed illustri committenti, la mostra di Capodimonte propone un Giordano disegnatore di acquerelli, meno noto al grande pubblico ma non per questo meno apprezzabile. Tra i temi che trovano spazio in queste peculiari ”esercitazioni di cultura”, emergono anche alcuni miti del mondo classico.

Una buona parte di questi “disegni mitologici” esposti potrebbe essere stata realizzata durante il periodo di permanenza dell’artista a Firenze, al servizio della famiglia Riccardi. E’ il caso, ad esempio, di uno schizzo in cui viene proposto un duplice studio del Ratto di Deianira. Le principali differenze tra le due accostate rappresentazioni del tema consistono nella posizione dei protagonisti e nella maggiore plasticità di alcuni elementi anatomici, come il braccio della moglie di Ercole, teso all’indietro quasi in segno di disperazione, nella variante di sinistra, e quello del suo rapitore Nesso, nella variante di destra.

Il mito nelle grandi opere di pittura

In realtà, il tema del rapimento di Deianira era stato già scelto dal pittore napoletano per uno dei suoi primi oli su tela degli anni Sessanta del Seicento (fig. 2). Nell’opera, Giordano aveva saputo dare notevole enfasi alla natura ferina del centauro, colto di dorso ed esaltato nella sua brutalità dai giochi d’ombra determinati dalla luce ricadente sulla sua schiena. Il dipinto, custodito presso la Galleria di Palazzo Abatellis di Palermo, sia per i dati stilistici che per la sua datazione, è ritenuto ancora vicino alla “maniera dello Spagnoletto”.

Legato sempre all’influenza di Ribera, è anche il celebre Apollo e Marsia (fig. 3), già presente nell’allestimento permanente del Museo di Capodimonte. Rispetto al suo maestro, Giordano riesce a conferire una maggiore drammaticità all’evento, accentuandone l’atmosfera tenebrosa ed introducendo alcuni dettagli, come l’urlo disperato di uno dei Satiri che, di nascosto, assistono alla scena.

Il Luca Giordano “mitologista” tuttavia non guardò solamente al Ribera come modello ma anche ad un altro grande nome del calibro di Tiziano. Ne è una validissima prova la tela della Venere cosiddetta d’Avalos (fig. 4), in quanto commissionata dal mecenate Andrea, principe di Montesarchio. A differenza della celeberrima dea di Urbino, ammirabile alla Galleria degli Uffizi, quella giordanesca, colta nel sonno e spiata da un Satiro, risulta forse ancora più provocante per la presenza di un velo trasparente all’altezza del pube. La bellezza della Venere d’Avalos è quella della moglie del pittore. Descritta dallo scrittore Bernardo De Dominici come “ben formata di corpo, alta nella persona, di membra proporzionate e di vago sembiante”, la donna fu usata come modella per ulteriori repliche del tema nonché forse per altre donne del mito commissionate successivamente dalla famiglia del principe di Montesarchio, come una Diana (raffigurata insieme ai Niobidi) ed una Galatea.

Durante il suo soggiorno a Firenze, Luca Giordano, oltre che per la famiglia Riccardi, lavorò anche per altri influenti committenti. Tuttavia in dipinti come, ad esempio, ”La Storia scrive gli annali sulle spalle del Tempo”, sconosciuto a buona parte della critica ed eseguito per uno dei soprintendenti della Galleria degli Specchi dell’antico palazzo mediceo (Alessandro Segni),l’artista sembra ripiegare su uno stile meno innovativo e piuttosto accademico, ricorrendo, tra l’altro, ad immagini allegoriche di non facile lettura.

Come testimonianze del fortunato decennio trascorso da Giordano in Spagna, la mostra propone alcuni bozzetti relativi al ciclo di Ercole eseguito presso il Cason de Baile del Buen Retiro di Madrid. Al di sotto della volta, affrescata con il tema dell’”Origine dell’Ordine del Toson d’oro”, il pittore napoletano rappresentò diverse imprese del celebre eroe greco. Sfortunatamente, già sul finire del Settecento, il ciclo in questione iniziò a deteriorarsi a causa dell’umidità, sino ad essere del tutto cancellato dai restauratori spagnoli nel 1834. Un’immagine abbastanza verosimile di tali capolavori è dunque oggi ricavabile solo dalle copie in piccolo formato eseguite dallo stesso Giordano. Otto di queste furono donate da Filippo V al nonno re di Francia, Luigi XIV. Altre, invece, finirono in una collezione privata viennese in seguito a vendite all’asta. Nella mostra di Capodimonte è possibile ammirare la “Cacciata degli uccelli dallo Stinfalo” e la “Cattura della cerva di Cerinea”: due straordinarie opere in cui Giordano dimostra di saper bilanciare l’uso di toni scuri e lumeggiature.

Altre importanti testimonianze appartenenti al fortunato periodo spagnolo sono la “Morte del centauro Nesso” (fig. 5) e il “Perseo e la Medusa” (fig. 6). Le tele rivelano una consolidata capacità del pittore di coniugare, da un lato, accenti di classicismo (la personificazione della Gelosia nel cielo al di sopra del centauro morente) e, dall’altro, manifestazioni di notevole pathos (la sofferenza dei convitati di Fineo pietrificati alla vista della testa di Medusa).

Uno sguardo al contesto attorno al grande pittore

La mostra di Capodimonte, infine, propone dipinti di autori del secondo Seicento e dei primi anni del secolo seguente, che in qualche modo risentirono sia dell’affermarsi del clima artistico barocco che dell’influenza esercitata dal grande maestro Giordano. Uno dei più noti è Paolo De Matteis, di cui si presenta, in particolare, un’opera appartenente al fondo Alisio (fig. 7). La tela è una rivisitazione del Trionfo di Galatea, eseguito da Giordano a Napoli nel 1676 e documentato a Firenze, a partire dall’anno seguente, presso la collezione privata del senatore Ascanio Sanminiati (il quadro di Giordano è custodito oggi a Palazzo Pitti). La protagonista ed il suo amato Aci si tramutano rispettivamente, nella tela di De Matteis, in Cerere e Bacco. Tra i vari personaggi del mondo marino che li circondano, spicca sulla sinistra un uomo nudo anziano. In virtù dello stupendo ed inconfondibile sfondo rappresentato dal golfo napoletano, è lecito ipotizzare che si tratti di una personificazione dell’antico, ed oramai scomparso, fiume Sebeto.

La mostra “Luca Giordano. Dalla natura alla pittura”, salvo variazioni legate all’evolversi dell’emergenza sanitaria, è visitabile tutti i giorni, dal lunedì al venerdì, dalle 9 alle 17 sino al prossimo 11 aprile.

BIBLIOGRAFIA DI RIFERIMENTO

S. Bellenger, Giordano. Dalla Natura alla Pittura, da Napoli a Venezia, da Firenze a Madrid,
in S. Causa, P. Piscitello, Luca Giordano, dalla Natura alla Pittura. Electa. Verona 2020, pp. 6-7.
S. Causa, Dalla Natura alla Pittura. Una lettura di Luca Giordano (1634-1705), in S. Causa, P. Piscitello, Luca Giordano, dalla Natura alla Pittura. Electa. Verona 2020, pp. 15-55
AA.VV., Schede opere, in in S. Causa, P. Piscitello, Luca Giordano, dalla Natura alla Pittura. Electa. Verona 2020, pp. 159-201.
B. De Dominici, Vite dè pittori, scultori ed architetti napoletani, vol. III. Napoli 1742.

Angelo Zito