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Siracusa

Il Teatro Greco visto da Tino Insolia

Il profilo della parte terminale ed orientale degli Iblei, che approdano a Siracusa, si staglia con i suoi piani orizzontali di sedimenti marini e ci segue, quasi ad indicarci il luogo che andremo a visitare. Le cime ritagliano spicchi di cielo privi di nuvole. Le vedi come compagne fedeli in un paesaggio immutabile da millenni lungo la statale 124, nel tratto che conduce da Palazzolo Acreide a Siracusa. Superato l'abitato di Floridia e il ponte sull'Anapo, in prossimità dell'autostrada, poco prima di entrare a Siracusa una grande macchia verde a sinistra, fiancheggiata da piccole croci, attira la nostra attenzione. Essa mostra nella luminosità del giorno il cimitero dei soldati inglesi, sbarcati nel luglio 1943 sulle spiagge a sud di Siracusa, uccisi insieme ai loro verdi anni.

Appena imboccata la sopraelevata Via Paolo Orsi, dal nome del grande studioso e archeologo siracusano del Novecento, il sito archeologico di Siracusa ti abbaglia con la massa maestosa e imponente del Teatro Greco. Ma lo scrigno contiene altri gioielli che sarà intrigante scoprire.

Arrivati all'ingresso del sito archeologico, spiace notare la difficoltà di posteggiare la propria vettura. Sembra una vera e propria fatica di Ercole. Un mucchio di chioschi, inoltre, con i soliti gadget di dubbio gusto e di caro prezzo, è stato per fortuna recentemente rimosso per dare respiro e decoro a tutto l'insieme. Gli orari per le visite, inoltre, non sono tra i migliori (altra fatica di Ercole) e sottopongono i turisti a veri e propri bagni di sudore che solo la bellezza del luogo può far tollerare.

Bisogna resistere subito alla tentazione di visitare l'anfiteatro romano, che si presenta ben conservato e di buona fattura. La sua visita può essere riservata alla fine, trattandosi di un monumento di epoca romana, staccato quindi dal contesto greco. Scendendo verso l'ingresso non possiamo fare a meno di fermarci sul lato sinistro, per ammirare la perfezione dell'Ara di Ierone II (265-215 a.C.) , un altare dalle enormi dimensioni ( m 22,80 x 198 ), fatta costruire dall'omonimo tiranno nel III secolo a.C. per la celebrazione dei propri trionfi, attraverso l'acclamazione e sacrifici d'animali, tesi ad ottenere la benevolenza degli Dei. I fianchi dell'Ara, costituiti da grandi parallelepipedi di roccia, giustapposti si restringono e conducono, alla sommità, ad un rettangolo molto stretto e lungo, una piattaforma dalla quale una folla osannante lanciava fiori e tributava gli onori all'uomo che reggeva le sorti della città.

Percorsi altri cinquanta metri si entra finalmente in uno dei complessi archeologici più grandi e suggestivi di tutto il mondo greco. Un'ultima macchia scura, dovuta alla presenza di numerose piante di ulivo a sinistra, invita il visitatore a percorrere il sentiero scavato nella viva roccia.

Dopo pochi passi lo spettacolo che si presenta ai nostri occhi, pur conosciuto per averlo visitato altre volte, ci lascia senza parole. Ammutoliti, facciamo fatica a valutare le dimensioni di questo Teatro con i piani di fuga dei suoi gradini che rendono ancora più imponente la maestosità del luogo. Ogni volta è un'emozione nuova, un fascino che si perpetua.

Fu fatto scavare, risistemando un vecchio impianto del V secolo, da Ierone II quasi per intero nel meraviglioso calcare ad alghe del colle Temenite, così chiamato per la presenza di un recinto sacro (dal greco "temenos" ) di un santuario dedicato al dio Apollo. Possiede gradini poco più che semicircolari, frutto di studi tesi ad ottenere una migliore acustica.

Ha il diametro di 138 m e la cavea, riservata agli spettatori, è divisa in 9 settori, detti cunei. Dei 61 ordini di gradini originari ne rimangono 46. Lungo il largo ambulacro centrale sono incisi ed ancora leggibili i nomi di divinità e dei parenti di Ierone II, ai quali furono intitolati i singoli cunei della cavea.

Il luogo è un incanto. Esposto a sud, è aperto verso ovest dove la valle dell'Anapo, che nasce dai margini orientali degli Iblei, s'incontra con il mare. Percorrendo l'ampio ambulacro centrale, sovrastati a destra dalla massa dei gradini superiori incombenti e quelli inferiori che si restringono sempre più in un gioco di anelli semicircolari, si è indotti a scendere verso la zona del coro e dell'orchestra che biancheggia sotto un sole pomeridiano caldo e tinto dei colori del grano al momento d'essere mietuto.

Dal basso ammiriamo la straordinaria e perfetta distribuzione delle file dei gradini, tagliate trasversalmente da grosse linee di separazione, che altro non erano che corridoi, utili per gli spostamenti degli spettatori.

Già, il pubblico!

Ma quante persone poteva contenere? Assodato che alcuni gradini superiori dalla data della costruzione ad oggi (circa venticinque secoli) sono crollati, le stime vanno da quindicimila a ventimila spettatori. Un'ottima e accurata acustica dava a tutti la possibilità di seguire le tragedie e le commedie che venivano rappresentate. Seduti sui gradini, guardando le loro linee fuggenti come ali di un grande uccello, sembra di sentire i cori, le musiche, e gli attori che si muovevano sulla scena, sospinti dalla forza e dalla grande carica emotiva dei testi di Pindaro, Sofocle, Eschilo, Euripide ed Epicarmo; solo per citare i più noti.

Questi testi, pur tradotti, sono lo specchio fedele della società e della civiltà greca. I valori e i principi in essi contenuti, da decine di secoli sono patrimonio dell'Umanità da cui il mondo occidentale ha attinto per sviluppare un modello di vita, di rappresentatività e partecipazione (elementi fondamentali di una democrazia) che non ha avuto eguali nel mondo. Il mondo orientale ha invece seguito un'altra via e cioè quella dell'annullamento individuale in un grande movimento di pensiero e di fede che, spesso, ha determinato nelle sue frange più estremiste una ideologizzazione e un atteggiamento di fanatismo integralista che non ha quasi mai concesso spazio al dialogo e alla comprensione.

Siracusa, capitale della magna Grecia, dove le arti fiorivano incoraggiate da tiranni illuminati, con la potenza economica e politica raggiunta poté benissimo rivaleggiare con Atene e le altre grandi città greche. I tentativi di Atene di abbatterne la potenza si dimostrarono inutili e, soprattutto, nella seconda guerra del Peloponneso i Siracusani annientarono la flotta e l'esercito ateniese, forte di quarantamila uomini, che per mare e per terra avevano circondato la città.

Ripercorrendo e raggiungendo la fine dell'ambulacro si costeggiano i gradini superiori, su un'erta salita all'apice della quale uno stretto pianoro mostra tutta la bellezza del luogo poco visibile dal basso.

Dalle pareti di una grotta centrale, profonda tre o quattro metri, oltre cinquecento litri d'acqua al secondo fuoriescono impetuosi, costituendo una suggestiva e bella cascata che rumoreggiando riempie la vasca antistante. Dal basso muretto che limita la vasca tutti i visitatori bagnando il viso e le mani trovano quel refrigerio che solo l'acqua riesce a dare. Questa presenza sembra un miraggio.

In effetti, non si tratta di una trovata scenografica, bensì del termine dell'antico acquedotto di Siracusa. Fatto costruire nel V secolo a.C. dal tiranno Gelone, che utilizzò come schiavi i Cartaginesi, vinti nella battaglia di Imera del 480 a.C., esso rappresenta ancora una realizzazione dalle soluzioni geniali.

Si tratta di un'opera di alta ingegneria idraulica greca che dopo venticinque secoli è ancora in funzione, servendo l'acquedotto di Siracusa e l'irrigazione dei campi attraversati.

Captando l'acqua lungo il corso dell'Anapo, dopo un percorso di circa venticinque chilometri, attraversando gallerie scavate alla perfezione, per sola caduta si riforniva così la città del prezioso liquido. Risistemato una prima volta nel 1576 dal sortinese Pietro Gaetani e poi ancora nell'ottocento, è noto con il nome di "Saia Lemmi", cioè Canale Galermi.

Siamo alla sommità del teatro e da questa posizione ammiriamo lo stesso spettacolo, tranne le brutture edilizie moderne, degli spettatori di allora. Lo sguardo abbraccia tutto il porto grande, dove nel chiuso di acque sicure dondolavano le triremi da guerra, insieme alle navi mercantili che con i loro frequenti viaggi, traversando il mare Ionio, rifornivano di olio e vino la Grecia, riportando in Sicilia ceramiche e altri prodotti. Le coste e il mare prospicienti sono stati testimoni di naufragi che hanno arricchito di tesori i fondali. Lo sguardo si spinge oltre e tocca la sponda opposta del porto, denominata "Isola", e poi giù verso la Fanusa e il Plemmirio.

Una pallida luna è comparsa su un cielo ancora troppo chiaro per farne risaltare la bellezza. Sembra una goccia di tenue luce, sospesa su un mare che si avvia a oscurarsi sempre di più con il trascorrere dei minuti. Spettatrice fedele che ogni notte si leva per assistere muta al trascorrere del tempo e allo svolgersi di eventi che hanno arricchito e reso unico quest'angolo di mondo.

Tino Insolia