Testo

Ebraismo

a cura della dott.sa Francesca Merlo

4. La storia e la “legge”

I popoli vicini - Cananei e Filistei - comprendevano e interpretavano il mondo attraverso la ciclicità della natura; anche le esperienze storiche importanti venivano mitizzate, collocate alle origini e ripetute in modo rituale, in modo da sottrarle alla consumazione e al degrado del tempo. Alle origini era posto il tempo perfetto e il rito permetteva un ritorno a quell’inizio ideale dove tutto è ordine e armonia.

La visione del mondo dell'ebraismo, invece, non è ciclica ma lineare: si va verso un futuro carico di realtà più ancora del passato e dello stesso presente. Il cosmo è creato da Dio con un finalismo, ha scritto in sé un progetto che richiede anche la collaborazione dell’uomo. La realizzazione è progressiva, per cui l’uomo vive tra promessa e adempimento (adempimenti sempre parziali, fino al compimento definitivo nell’escatologia); anche il messianismo può essere compreso come un aspetto di questo vivere la storia proiettati verso un futuro più pieno.

Alla dinamicità dell’esperienza storica si accompagna però anche la necessità della legge. Essere popolo richiede delle norme comuni; anch’esse vengono date e comprese secondo lo schema dell’alleanza, quella bilaterale proposta a Mosè.

La cosiddetta “Legge” non ha però il significato che noi diamo a tale parola; Israele ha ben chiaro che si tratta d'istruzioni che Dio dà, come un padre che si cura del figlio. Osservando queste istruzioni, il popolo decide di credere a Dio e in tal modo di entrare e di stare nella sfera della vita come gli è proposta da Lui; fidandosi di Dio sceglie di non morire come popolo.
Infatti, secondo il costume di allora, connesse all’osservanza o all’inosservanza delle clausole dell’alleanza scattano le benedizioni o le maledizioni, ossia la prosperità o la morte del popolo. Questo spiega anche l’ottica con cui sono state scritte molte pagine bibliche che altrimenti presenterebbero un Dio incomprensibilmente severo e crudele.

La Bibbia riporta due edizioni delle “dieci parole” o “dieci comandamenti” dell’alleanza (in Esodo 20, 1-17 e Deuteronomio 5, 6-2) con poche varianti; si possono far risalire rispettivamente al periodo nomade e a quello sedentario. In questa duplicità è interessante notare come la morale si evolva con l’evolversi del pensiero antropologico, della mentalità e del costume, pur rimanendo ferma nei principi fondamentali.

Le “dieci parole” sono espresse in una forma verbale che noi non possediamo, un futuro con valore di imperativo, quasi a dire: farai questo, se vorrai vivere. E’ significativo che siano inserite dentro al racconto di interventi a favore dell’uomo: sono date dopo l’uscita dall’Egitto, quasi “istruzioni per l’uso” della libertà, sono seguite dai doni per la sopravvivenza nel deserto: l’acqua che sgorga dalla roccia, la manna e le quaglie.

Nella Bibbia vi sono anche altri codici, meno estesi, e molte parole normative sparse. Ma il popolo ebreo ha sempre ritenuto Torah o “Legge” tutto il Pentateuco, compresi i miti e i racconti, perché tutto costituisce “insegnamento”.

La spinta verso il futuro è accompagnata quindi da un impegno religioso e morale che ha il suo fondamento nella memoria dei fatti di liberazione e si comprende nell’ambito dell’alleanza. Per cui l’ebraismo è una religione che proietta e interpreta l’uomo in tutta la dimensione del tempo, dalle origini al futuro escatologico. E forse ciò che è meno denso di realtà, in questa prospettiva, è proprio il presente (non a caso nella lingua ebraica il tempo presente manca).

Torna all'indice dell'Ebraismo