Darete Frigio
LE ILIADI
LIBRO III.
IL terz’anno passato, il tempo venne                  
Di ripigliar le già sospese pugne:                      
Ettore, e Troilo guidano l’armata                        
Fuori della Città, le greche schiere                    
Conducevan Diomede, Agamennone:                                
Alle prese si viene, e più feroce                       
È questa zuffa, ed è l’uccisione           
Grande dall’una e l’altra parte ancora.            
È nella prima squadra Ettorre, e ai Greci               
Fidippo uccide, e uccide anco Xantippo;                        
Liconio, Euforbio poi gli uccide Achille,                      
Nè puossi numerar quanti del volgo                      
Muojono de’ soldati in tutto il tempo                    
Di quest’altro conflitto, il qual per trenta             
Giorni durò, sol sospendendo l’armi               
La notte all’uom per riposar concessa.                   
Priamo vedendo delli suoi la strage                            
Esser grande, spedì tosto i legati                      
Al greco Imperador, chiedendo or egli                          
Di sei mesi la tregua, ed accordata                            
Fu per voto de’ greci capitani.                          
Il primo dì, che non entrava a parte                    
De’ sei mesi di tregua, ognuno all’armi            
Fe’ ritorno, ed in campo ognun schierato                 
Dodici dì con un coraggio estremo                       
Si combattè d’ambe le parti, e molti              
Furo i Duci trafitti, ed i feriti,                             
Di cui molti morian nel medicarsi                              
Tra l’aspre doglie delle lor ferite:                     
Agamennon manda di nuovo a Priamo                              
I legati a cercar per trenta giorni                            
Un’altra tregua, a seppellire i morti,                   
E per voto comun non fu negata.                                
Era il mese trascorso, e ‘l nuovo giorno                 
Era giorno di strage, e dovea fuori                            
Guidar le schiere sue il bravo Ettorre ;                       
Andromaca però corse, e si oppose,                      
E ‘1 pregò, che quel dì alla battaglia     
Gito non fosse, per sinistro sogno,                            
Ch’avuto avea, e all’ostinato sposo                
Narrò la visione, ed ei sprezzolla,                     
Come cosa da donna. Allor la moglie                            
Pregonne il Re, che non lasciasse affatto                      
Quel dì sortire Ettorre, e gliel concesse;              
E preposti all’esercito quel giorno                      
Furo Alessandro, e Troilo, ed Enea,                            
Ed Eleno indovino. Udito questo                                
Ettore ne sgridò severamente                            
Andromaca sua moglie, e richiedendo                            
L’armi, lo scudo, ed il cimier, nol puole                
La moglie ritener, che allor di pianto                         
Assorda la città, corre da Priamo,                      
Gli narra il sogno, e come Ettorre in fretta                   
A combatter ne andava; al regio piede                          
Col figliuol Astianatte ella prostrata                         
Forte il prega, che fosse ritenuto                             
Il marito in città quel dì, che a lui            
Saria l’estremo, se alla pugna andava:                   
Vince il pianto d’Andromaca, e decide                    
Il Re, che per quel dì non vada Ettorre                 
A battersi co’ Greci in campo armato;                    
E con tanto dolor resta in cittade                             
Ettorre, quanto n’ha piacer la moglie.                   
Agamennone, Achille, e ‘1 locro Ajace                    
Mancar vedendo dalla pugna Ettorre,                            
Gagliardamente combattendo, a morte                            
Danno più duci de’ Trojani, e fanno               
Dell’armata gran strage; il grido arriva                 
A Troja; Ettorre in ascoltando questo                          
Salta fuori, il nimico affronta, ammazza                       
Idomèo, Lentèo, ferì Ifilo,               
Con un dardo ferì nel manco lato                        
Stenelèo, e vedendo allora Achille                      
Più capitani per la man d’Ettorre                 
Morti, pensò di farsegli all’incontro;            
Che se nissun facea baciar la terra                            
Al bellicoso Ettorre, a morte tutti                            
Ei darebbe de’ Greci i capitani:                         
Sì dicendo fra se, si combatteva                        
Fra tanto, e seguitava a far de’ Duci                    
Ettore strage, e ucciso allora aveva                           
Polibete; assai forte un capitano                              
Er’ egli greco, e mentre ad ispogliarlo                  
Ettore s’accingea, ne venne Achille,                     
Che a battersi lo sfida a corpo a corpo.                       
Combattono i più forti, e con furore,                   
Cui non fu mai l’eguale; un alto grido                   
L’esercito levò, un urlo diede                    
La città dalle mura appen si avvide                     
Del gran cimento; urtaronsi gli scudi                          
Come due monti e ai replicati colpi                            
Delle lance tirate or quindi, or quinci                        
Pendea ciascun, come pendeva incerta                           
La vittoria; alla fin ferito Achille                           
Fu nel fianco, e ‘l dolore inferocillo                   
In modo, che a inseguire il vincitore                          
Tanto si diè, che sol fermossi allora                   
Quando l’uccise alfin: e morto Ettorre                   
Cadde tutto il coraggio alli Trojani;                          
Fur dispersi, e cacciati alla cittade                          
Con grande uccision. Però si oppose                     
Alla fuga Mennone, e combattendo                               
Con Achille mostrò tutto il coraggio;                   
Ma senza offesa a separarli venne                              
Allor la notte, e ritirossi Achille                            
Ferito: e in Troja il lagrimevol duolo                         
Della morte d’Ettorre a tutti gli occhi                  
Sospese il sonno in quell’infausta notte.                
Venuto l’altro dì, guida Mennone                  
I Trojani alla guerra: Agamennone                              
Manda la tregua a dimandare a Priamo                           
Per due mesi, acciò ai morti ci dia sepolcro,           
E l’ottien volentieri. In questo tempo,                  
Giusta il costume degli antichi, Priamo                        
Fa seppellire il suo compianto Ettorre                         
Della città dianzi le porte, e indice                   
I giuochi funerali. In questo mentre                           
Palamede di nuovo il gran litigio                              
Dell’Impero ripiglia; Agamennone                         
Mena i Duci a consiglio, acciocchè imper                
Colui, che ad essi torneria più a grado.                
Il dì vegnente, il popolo chiamato                      
A concione, fe’ a tutti manifesto,                       
Ch’ egli d’impero mai non era stato                
Cupido, e vago, e che tranquillamente                          
Egli soffria, che a quei si dasse, a cui                       
Loro potria piacer; che a lui bastava                          
L’esercito, che avea condotto a Troja,                   
E che in Micene avea ricco reame.                              
Palamede venuto allora innanzi,                                
L’opre sue fece chiare, e volentieri                     
Ebbe dai Greci il desiato impero;                              
E Palamede lor grazie rendendo                                 
Del conferito onor, da sommo duce                              
Si pose a esercitar: Achille intanto                           
Mal volentier soffria tal cambiamento,                         
E ‘1 biasimava aperto. Alfin la tregua                   
Terminò. Palamede i suoi conforta,                      
In ordine li mette, e alla battaglia                           
Li conduce. È Deifobo il Capitano                       
Che fa scorta ai Trojani, ed incontrati                        
Gagliardamente si combatte ovunque.                            
Il lieto Sarpedon colla sua schiera                            
Assale i Greci, è all’impeto primiero             
Molti ne uccide, e ne rovescia a terra:                        
II rodio Tlepolemo incontro a lui                              
Muovesi allor, e combattendo è ucciso.                  
Allora Perseo d’Amadesto il figlio                       
La pugna rinnovò, e combattendo                         
Con Sarpedon, dopo di lunghi sforzi,                           
Ancor fu ucciso, e Sarpedonte allora                           
Ferito uscì da quella zuffa, e vivo;                    
E in questo modo per più giorni intieri                 
Si combatte dall’una, e l’altra parte,             
E molti entrambe han capitani estinti,                         
Ma i Trojani di più; onde spediro                       
Legati ai Greci a chiedere la tregua,                          
E l’ottengon, giovando anche ai nimici.                  
E nel durar di questa, ognuno al morti                         
Da sepoltura, e i funerali onori                               
Son resi a tutti, e delli lor feriti                           
Prendon cura, e la fe’ sacra giurata,                    
Insiem si mischian coi Trojani i Greci                         
Nella città, negli steccati, in guisa,                  
Come se nati in un istesso loco                                
Fossero tutti, e cittadini, e amici.                           
Palamede mandò Agamennone,                              
Temofonte, Agamante alli figliuoli                             
Di Teseo, per portar tutto il frumento,                        
Che di Misia spedito avea Telefo,                              
E mentrechè narravano costoro                           
Di Palamede il tradimento, fatto                               
Al Duce Agamennon, fuvvi una smossa,                           
Ch’acchetaro ben tosto, e a Palamede                     
Spiacque di molto; e Agamennon diceva,                         
Che niun spiacere aveva egli provato                           
In ciocch’era accaduto, essendo il suo                   
Voler concorso; e caricar fe’ i legni                    
Allora Palamede i suoi steccati                                
Fortificava intorno intorno, alzando                           
Delle torri alle debite distanze;                              
E i Trojani in veder opre novelle,                             
Con maraviglia la ragione ai Greci                             
Chiedevano, perchè riedificando                         
II muro alla città, fossa, e steccato                   
V’aggiungevano ancora, ed altre cose                     
Con tanta diligenza? E ognun tacea,                            
Venuto l’annuo dì, che seppellito                 
Ettorre fu, n’andava al suo sepolcro                     
Priamo colla sua moglie, e Polissena,                          
Ed altri, per offrir di quell’eroe                       
Alla grand’ombra i sacrificj usati.                      
S’incontrò loro Achille, il quale appena,         
Che vide Polissena, in cor gli scese,                          
Gli piacque assai, e cominciò ad amarla                 
E sì crebbe il suo ardor, che in odio avea              
La stessa vita sua senza di lei;                               
E da questo momento a sentir male                              
Cominciò, ch’Agamennone deposto                   
Avea l’Impero, essendo Palamede                          
Imperioso assai, e mal potea                                   
Soffrir, che fosse a lui anche anteposto.                      
Ad Ecuba mandò un messo Achille                         
A dimandar per moglie Polissena;                               
Locchè, s’egli otterrebbe, saria ben tosto        
Co’ Mirmidoni suoi di là partito;                 
Esempio, ch’eseguito anche dagli altri,                  
Serviva a disgombrar Troja dai Greci.                          
Ecuba acconsentì, ma se piaceva                         
Al suo marito, e fin ch’ella trattasse                   
Con Priamo, il messo gli respinse in dietro.                   
All’esercito intanto Agamennone                          
Con grande compagnia fece ritorno                              
Ecuba parla al suo marito, ed ei                               
Si oppone alla dimanda, e per ragione                          
Non adduce, che indegno Achille fosse                          
Di stringersi con lui in parentado;                            
Ma che se data Polissena in moglie                             
Ad Achille, e fedele in sua promessa                           
Si parteria di Troja, e gli altri Greci                        
Si restassero, allora al suo nimico                            
Avrebbe inutilmente per consorte                               
Data la figlia sua: ma se voleva                               
Achille Polissena, ci far dovrebbe,                            
Che fra Greci, e Trojani eterna pace                           
Si stipulasse. E ritornato il messo                            
A prender la risposta, Ecuba a lui                             
Disse ciocchè avea Priamo risposto.                     
Achille allora cominciò nel volgo                       
A sparger voci di doglianze, e dire,                           
Che per Elena avea Grecia, ed Europa                           
Tante migliaia di soldati in guerra                            
Perduti, e che costar molta rovina                             
Potea, se dilungar più si volesse                       
Guerra così crudele, ed accanita;                       
E ch’anzi era miglior trattar la pace                    
Co’ Trojani, e tornar liberi, e vivi                     
Alle loro famiglie; e fur sue voci                             
Sparte al vento, e la guerra andiede avanti                    
Della tregua passato era già l’anno,              
E l’esercito suo cacciato fuori,                         
Palamede guidò disposto in schiere:                     
Non fu pigro Deifobo, e andielli incontro:                     
Ma In pugna non entrovvi allora Achille,                       
Ch’era sdegnato. Azzuffansi le armate,                   
E con coraggio si combatte ovunque,                            
E mentr’arde la zuffa, ha Palamede                       
L’occasione d’assalir Deifobo,                     
E di metterlo a morte; allor maggiore                          
Passi il conflitto d’ambendue le parti,                  
E un numero maggior cade di estinti,                           
E mentre Palamede era alla prima                               
Squadra de’ suoi, e li conforta a stare                  
Gagliardi in pugna, incontro a lui ne venne                    
Sarpedone, e attaccollo, e non ostante                         
Sarpedon cadde estinto; ond’egli allegro                 
La sua squadra scorrea, e dell’evento                    
Si fea gloria: Alessandro inferocito                           
Passogli il collo con un dardo solo,                           
Che gli tirò, del che tosto avvisati                    
I Trojani, raddoppiano lor colpi,                              
E restan Palamede a terra ucciso.                              
Estinto il sommo duce i Greci tutti                            
Rinculano, fuggendo ai lor steccati;                           
Li sieguono i Trojani, e dentro al vallo,                      
Ne’ steccati medesimi gli danno                          
Aspra sconfitta, ed ardono le navi.                            
Finse Achille di ciò nulla sentire;                     
Ajace Telamonio alla difesa                                    
Delle navi però forte si stiede,                        
E la notte, che sparse in tutto il Cielo                       
Le sue tenebre, impose a guerra il fine.                       
Piangono i Greci de’ steccati in mezzo                   
Palamede pe’ suoi bravi talenti,                         
Per sua giustizia, e sua bontate insieme:                      
Piangono li Trojani in mezzo a Troja                           
Deifebo, e Sarpedon; si piange ovunque                         
I due estinti, i soldati, e i compagni.                        
Nestore, che d’età tutti avanzava,                
Chiama la notte in un consiglio i duci,                        
E li conforta, e persuade insieme                              
Della necessità, ch’eravi allora                  
Di sciogliere un novello Imperadore;                           
E che se lor piacesse, era suo avviso,                         
Tolta di mezzo ogni discordia, dare                            
Allo stesso Agamennone quel grado,                             
Che finchè il tenne in suo poter, felice                
Fu l’esercito, e fu fausta la guerra;                    
Ma che s’altri un parer diverso avesse                   
Dal suo, lo confortava a dirlo pure                            
Liberamente: e non trovossi alcuno,                            
Ch’altrimenti pensasse, e Imperadore                     
Fu fatto Agamennon un’altra volta.                       
Pronti i Trojani al comparir del giorno                        
Guidano le lor truppe alla battaglia;                          
Agamennon l’esercito conduce                             
De’ Greci, e fassi a’ suoi nimici incontro:        
Già si attacca la zuffa, e già si muove          
In entrambe le armate, e or l’una l’altra          
Incalza, or l’altra l’una, ed a vicenda            
Or si cede, or s’insegue; e sì passata            
Del dì gran parte, alfin Troilo s’avanza,         
Il qual portando ai Greci ampia rovina                         
Fe’ gran strage, e cacciolli ai lor steccati,            
Onde la notte lo ritrasse, e al nuovo                          
Giorno i Trojani a ripigliar più pronti                 
Pur l’armi, e vagli Agamennone innanti                   
È grande in questo dì anche la strage,           
E a forza di combattere cresceva                               
Di combatter vieppiù sempre il furore:                  
A molti Greci duci assai fatale                                
Fu questo dì, chè Troilo assai ne uccise.        
Ma poichè sette dì continuamente                 
Era durata l’ostinata pugna,                             
Agamennone dimandò una tregua                           
Di due mesi, e l’ottenne; e in questo tempo              
Furo dai Greci seppelliti i morti,                             
E magnifica pompa a Palamede                                   
Fu resa, e agli altri capitani, e duci,                        
Non che ai soldati, avendo ognun gli onori                     
Funebri ricevuti ai ranghi eguali.                             
In tempo di tal tregua Agamennone                              
Ad Achille spedì Nestore, Ulisse,                       
E Diomede, pregandolo che l’armi                         
Ripigliando, a combattere tornasse:                            
Achille avendo ad Ecuba promesso                               
Di non pugnare, e di combatter meno                            
Per l’amor, che portava alla sua figlia,                 
I messi ricevè di mala voglia,                          
E sostenendo di voler la pace,                                 
Di combatter negò. Agamennone                           
A questo avviso radunò ben tosto                        
II consiglio de’ duci, e che ciascuno,                   
Pregò, dicesse il suo parer su questo                   
Sostenne Menelao, che si dovea                                 
Combattere, e che nulla isgomentarsi                           
Dovea, perchè non combattesse Achille,                  
E poichè s’era a lui spedito avviso               
Di venire a combattere, e ostinato                             
Si negava a venir, nulla a temere                              
Per ciò restava: e soggiungeva ancora,                  
Che tanto più dovea tirarsi innanzi                     
La guerra, perché più non v’era Ettorre,   
Il più gagliardo de’ Trojani, al quale            
Troja l’egual più non avea tra i duci:            
Ma rispose Diomede, e seco Ulisse,                             
Che vi restava Troilo in coraggio,                             
Ed in fortezza al suo fratello eguale,                         
E replicando a questi Menelao,                                 
Confortava a combattere. Calcante,                             
Consultati gli augurj, allor rispose,                          
Che si dovea combattere, dovendo                               
I Greci rimaner vittoriosi:                                    
E prevalendo degli Dei gli augurj,                             
Appena il tempo della pugna venne,                             
Ch’Agamennone, Ajace, e Menelao,                         
Non che Diomede insiem menano fuori                            
L’esercito alla pugna; ed il nimico                      
Affrontato, si fa strage dall’una,                       
E l’altra parte, e coraggiosamente                       
Combattendosi quindi, incrudelisce                             
Acremente la zuffa, e Troilo avendo                            
Ferito Menelao, molti ne uccide,                               
Altri ne fuga, e incalza; e se la notte                        
Non imponeva un termine al conflitto,                          
Forse de’ Greci assai stata maggiore                     
L’uccision sarìa. All’altro giorno          
Troilo con Alessandro i suoi produce,                          
E gli van contro i Greci capitani;                             
E qui di nuovo assai gagliardamente                            
Combattendosi ancor Troilo Diomede                             
Ferì, molti ne uccise, impeto fatto                     
Contro d’Agamennon, anche ferillo;                       
Cosicchè i Greci a ritirarsi astretti,                  
Dopo perduti più migliaja uccisi,                       
Altri feriti, ed altri prigionieri;                            
E vedendo mancar di giorno in giorno                           
Agamennone i suoi, e non potendo                               
Le perdite supplire, a Priamo mise                             
A chieder di sei mesi un’altra tregua.                   
Chiama Priamo il Consiglio, ed ode i voti                      
De’ duci, che ricusano accordare                         
Tregua sì lunga, e desiando invece                      
Dar l’assalto al lor campo, e incendiare                 
Le navi e terminar così la guerra.                      
Priamo volle, che ognuno il suo dicesse                        
Parere, e tutti fur concordemente                              
D’avviso, che si dia la tregua ai Greci,                 
E fu così conchiuso: Agamennone                         
Fece con sommo onor tutt’i suoi morti                    
Seppellire, e a Diomede, e Menelao                             
Medicar le ferite; e sono in Troja                             
Dati i funebri onori anche a quei morti                        
E medicati ancor tutt’i feriti.                          
E durando la tregua, Agamennone                                
Per consiglio comun portossi a Achille,                        
Per persuadergli, acciò l’armi prendesse:         
Achille, di mal animo rispose,                                 
Ch’ei non temea la guerra, e che bramava                 
Pace per tanto: e non potendo al duce                          
Tutto negar, promise almeno i suoi                             
Alla pugna mandar, quand’era tempo;                      
Scusandosi, che andarvi ei non poteva.                         
Grazie gli rese Agamennone intanto,                            
E quando venne alfin del guerreggiare                          
Il momento, l’esercito trojano                           
Venne fuori, e gli andare incontro i Greci;                    
Achille i suoi Mirmidoni dispone                               
In ordin di battaglia, e al sommo duce                         
Gl’invia, ed attaccossi aspro conflitto                  
Che mai con tanta crudeltà, e furore                    
Non s’era per l’addietro combattuto,               
Con quanto accanimento, e crudeltate                           
Or si combatte. È nella priora squadra                  
Troilo, e fa delli Greci una non mai                           
Intesa strage. Ei caccia i Mirmidoni                           
Sino ai steccati, e non risparmia alcuno,                      
Che non uccida, o non ferisca almeno;                          
E il Telamonio Ajace e quegli solo,                            
Che se gli oppone e senza cui maggiore                         
Stata sarebbe la lor strage: alfine                            
Vincitori i Trojani escon da quella                            
Pugna, e sen vanno alla città in trionfo.               
II di seguente Agamennon condusse                              
II suo esercito fuori, e i duci tutti,                         
E i Mirmidoni innanzi; e Troilo lieto                          
Sortì di Troja ancor colla sua squadra,                 
E la pugna attaccata, e l’uno e l’altro            
Esercito con gran valore e ardire                              
Si battevano, e molti all’una, e all’altra         
Parte cadean d’estinti, e di feriti:                     
Troilo alla fin prevale, incalza, uccide                       
I Mirmidoni, e quei disperde, e fuga.                          
Agamennone allor di tanti suoi                                 
La gran strage veggendo, un mese chiede                        
Di tregua a Priamo, a seppellire i morti,                      
E concessa, anche Priamo ai suoi fe’ dare                
Di sepoltura i mesti ultimi onori.                             
E trapassato della tregua il mese,                             
Esce Troilo di nuovo, ed all’incontro                    
Agamennon gli va, tutt’ei raccolse                       
I duci suoi, e dato il segno, ognuno                           
II suo nemico attacca, ed è attaccato:                  
Fassi grande la strage, e la maggiore                          
Parte del di già sen passava, e innanzi                 
Troilo si fece, e de’ nimici suoi                        
Gran strapazzo facendo, e calpestando                          
Chiunque innanzi gli venia, li Greci                           
Furon volti alla fuga: allora Achille                          
Vedendo, che soverchio incrudeliva                             
Sdegnosamente Troilo incontro ai Greci,                        
E che senza portare a lui rispetto,                            
I Mirmidoni suoi egli uccideva,                                
Alla battaglia uscì; ma Troilo incontro                 
Gli venne tosto, e vigorosamente                               
Sostenendo d’Achille i forti assalti,                    
Alla fine il ferì; cosicchè Achille              
Per la ferita fu costretto uscire                              
Del fatto d’armi a e ritirarsi al suo                    
Padiglione, al dolor non più reggendo;                  
E così seguitò sempre ferina                     
La battaglia sei dì: nell’altro appresso          
Gli eserciti cacciandosi l’un l’altro,             
Achille, che in quei di s’era astenuto                   
Dalla pugna, vien fuori, e i Mirmidoni                         
Esorta ad assalir con tutto il loro                            
Coraggio natural Troilo arrogante.                             
Memori quei dell’ordine del duce,                        
E trascorsa del dì la maggior parte,                    
Lieto Troilo a cavallo innanzi ai Greci                        
S’offre, bramando or questi, ed or quegli altri,         
E levato dai Greci un alto grido,                              
Corrono i Mirmidoni, e contro lui                              
Fann’impeto, e ne son ben molti uccisi;                  
Ma nella pugna a Troilo vien ferito                            
II suo cavallo, ed è gittate a terra;                   
Del che accortosi Achille, a lui di sopra                      
Corse, e l’uccise; e nel tirarlo fuori                   
Fu da Mennon vietato, il qual sottrasse                        
Di Troilo il corpo, e liberollo, Achille                       
Avendo da Mennon pur riportata                                 
Altra ferita, fu costretto ancora                              
D’abbondonar la pugna, e non per questo                  
Si ritenne Mennon dall’inseguirlo,                       
Locchè dispiacque all’iracondo Achille,           
E medicata appen l’aspra ferita,                         
Dopo non molto a ritrovar Mennone                              
Ritornò, l’attaccò, l’uccise in fine,
Ma ne rimase anch’egli allor ferito,                     
De’ Persiani il principe ammazzato,                      
Fuggivano i Trojani alla cittate,                              
E buon, che notte venne, e la battaglia                        
Sospese, e delli Greci la vittoria:                            
Il dì seguente a Menelao suoi messi                     
Priamo mandò, per dimandar la tregua                    
Di venti dì, ch’Agamennon concesse,               
E IN questo tempo le funebri pompe                             
Si celebraro a Troilo ed a Mennone                             
Nella mesta città, ed ai soldati                        
Tutti fur resi i consueti onori.