Testo

C'erano una volta.

È iniziando così che a tutti noi, da bambini, raccontavano le favole. Ed è proprio così che Apuleio, nelle sue Metamorfosi anche note come L'asino d'oro , inizia a raccontarci del mito di Amore e Psiche. La storia è ben nota a tutti, ma come per Orfeo e Euridice, vorrei evitare mail di protesta e maledizioni varie per non averlo inserito in questa sezione dedicata agli amori mitologici, per cui rinnovo l'invito a saltarlo se proprio non ne potete più di sentirvi narrare la loro storia, ma sono altresì certo che rileggerlo non possa farvi che piacere, in fin dei conti parliamo di.Amore! Apuleio, dunque, ci narra che in una città vivevano un re e una regina che avevano tre figlie, tutte belle e in età da marito, ma delle tre la più giovane, Psiche, era di una bellezza senza eguali, talmente bella "che era impossibile descriverla o anche lodarla come meritava, perché le parole umane non bastavano" (Apuleio, Metamorfosi, IV, 28).
Tanta bellezza rese la ragazza famosa ovunque e da ogni luogo gli uomini accorrevano nella sua città venerandola come una dea e disertando i santuari di Afrodite. "Nessuno navigava più verso Pafo, nessuno andava a Cnido, e nemmeno a Citera (noti santuari di Afrodite n.d.r.), per contemplare la dea Afrodite: i suoi riti sacri vengono rimandati, i suoi templi vanno in rovina, i suoi sacri letti vengono calpestati, le cerimonie trascurate; le sue statue restano senza corone di fiori, i suoi altari vuoti sporchi di cenere ormai fredda. È alla fanciulla che si rivolgono suppliche, e nel suo volto di essere umano si invoca la potenza di una dea così grande..." (Apuleio, Metamorfosi, IV, 29). Psiche era una ragazza molto buona e ingenua, non era stata lei a volere quanto accadeva né ambiva a tanto, ma sappiamo quanto gli dei fossero capricciosi e vendicativi, è facile quindi immaginare quanto fosse adirata Afrodite, dea della bellezza, usurpata del suo ruolo; infatti, molto più che adirata, la dea diceva a se stessa: "non è servito a nulla che quel famoso pastore (Paride n.d.r), il cui giudizio giusto ed equo fu approvato persino dal grande Zeus, mi abbia ritenuto superiore a due dee così grandi, e ciò in virtù della mia bellezza senza pari! Ma questa qui, chiunque sia, si pentirà di essersi appropriata degli onori che spettano a me; le farò rimpiangere pure questa sua bellezza a cui non ha alcun diritto!" (Apuleio, Metamorfosi, IV, 30). Dopo aver letto queste parole, sfido chiunque a non aver paura di una donna, anzi, una dea così arrabbiata! E infatti Afrodite, passato lo sfogo, chiamò a sé il temibile figlio, Amore, e gli narrò tutta la storia della sua rivalità con Psiche, chiedendogli, in virtù dell'essergli madre, di scoccare una delle sue famose frecce nel cuore di Psiche, facendola innamorare dell'uomo "più abbietto che ci sia, uno veramente maledetto dalla sorte, e per condizione sociale, e per ricchezza, e per la sua stessa salute, insomma di un uomo così miserabile che non possa trovare in tutto il mondo un altro che eguagli la sua infelicità" (Apuleio, Metamorfosi, IV, 31). Ma chi fosse quest'uomo più sfortunato di Paperino e miserabile al punto che anche per Victor Hugo sarebbe stato difficile descriverlo, è una curiosità che dovremmo tutti tenerci per sempre. Amore, infatti, o perché rapito anch'egli dalla bellezza di Psiche, o per volontà del Fato, contro cui neanche lui poteva nulla, si punse con la sua stessa freccia, proprio quella destinata a Psiche, e si innamorò perdutamente di lei. Ma torniamo in casa della ragazza e vediamo cosa accade. Nel frattempo le due sorelle di Psiche erano convolate a nozze regali, mentre lei, proprio a causa della sua divina bellezza, continuava a restare sola. Tutti la lodavano e restavano incantati da lei, ma nessuno aveva il coraggio di chiederla in sposa e così, temendo che ciò fosse causato dall'ira degli dei, il padre si portò presso l'oracolo di Apollo sito a Mileto e implorò il dio di maritare la figlia. Ma se avesse saputo quale sarebbe stato il responso dell'oracolo, probabilmente, anzi, certamente avrebbe fatto a meno di consultarlo. La profezia dell'oracolo, infatti, non fu per niente bella e le parole del dio furono: "In cima a un alto monte, a nozze sia vestita, lascia tua figlia, o re, per nozze senza vita. Non t'aspettare un genero d'origine mortale, ma un mostro velenoso, spietato ed esiziale: su con l'ali volando nel cielo tutto fiacca, ogni creatura sfibra, con ferro e fuoco attacca: ne trema Zeus stesso che temono anche i numi, e l'Ade ne ha paura, con gl'infernali fiumi" . (Apuleio, Metamorfosi, IV, 33)

A questo punto consentitemi una breve disgressione: a queste parole dell'oracolo di Apollo, voi, come il povero padre di Psiche, certamente non avrete immaginato nulla di bello e, se non conosceste la storia, mai immaginereste che quelle parole descrivono il dio Amore, generalmente associato a ciò che è bello. Ma ad una più attenta analisi del vaticinio, si può facilmente riconoscerlo: Amore, infatti, è bello per chi gioisce, ma un mostro per chi ne soffre; le sue frecce sono velenose anche per gli stessi dei, che infatti lo temono e sanno quanto sia spietato nell'usarle; vola con le sue ali e attacca con le sue frecce, d'oro o di ferro, le sue vittime. Insomma, non si può certo rimproverare nulla all'oracolo per la sua descrizione, soprattutto tenendo conto che anche dei quali Zeus, Ares e Apollo sono stati più volte vittime di Amore. Diciamo, piuttosto, che ciò serve da lezione per imparare a non farci ingannare dalle apparenze, e proseguiamo col nostro racconto. Tornato a casa col cuore in lutto, il re informa la famiglia delle parole dell'oracolo; la notizia si sparge anche nel resto della città e, per alcuni giorni, sono tutti immersi nel dolore. Ma al responso di un dio tutti sono chiamati ad obbedire, quindi, anche se piangendo, fu allestita la cerimonia nuziale là dove aveva indicato Apollo; tutta la città accompagnò Psiche sulla montagna e quella che appariva, per allestimento e abiti, una cerimonia nuniale, era, nei pianti di chi accompagnava la sposa, una chiara cerimonia funebre. Solo Psiche faceva coraggio ai genitori, continuando a maledire la sua bellezza e a ritenere il tutto una vendetta di Afrodite. Una volta in cima alla rupe, "dopo aver sistemato la ragazza sulla cima più alta, tutti insieme la abbandonarono lì; e lasciarono lì anche le fiaccole nunziali con cui avevano rischiarato il cammino, e ormai spente dalle loro stesse lacrime; poi, a testa bassa, ripresero la strada di casa" . (Apuleio, Metamorfosi, IV, 35)
Una volta rimasta sola, Psiche, presa dalla paura, iniziò a piangere; ma in quel momento arrivò Zefiro, che cullandola sulla sua brezza delicata, la portò su un morbido prato dove Psiche, provata dalla stanchezza, si addormentò. Al suo risveglio vide che si trovava in un fitto bosco nel cuore del quale c'era una fonte con accanto un meraviglioso palazzo reale, certamente non opera di un uomo. Incoraggiata dalla bellezza e dalla pace del luogo, Psiche s'incamminò verso il palazzo e vi entrò. Vide che tutto, dai pavimenti alle pareti, dalle colonne alle porte, era fatto di oro, argento e pietre preziose, e restò senza fiato di fronte a tale meraviglia, finché una voce incorporea non la scosse: "Signora, perché sei così stupita di fronte a tanta ricchezza? Questa è tutta roba tua. Perciò va nella tua stanza e riprenditi dalla stanchezza con una dormita e poi, quando ti va, chiama per il bagno. Noi saremo sempre a tua disposizione - siamo le tue serve e quella che senti è la nostra voce - e quando avrai finito di prenderti cura di te stessa, sarà subito pronto per te un banchetto principesco" . (Apuleio, Metamorfosi, V, 2)

Psiche fece ciò che la voce le aveva consigliato, quindi andò a dormire e, nel cuore della notte, giunse Amore che la rese sua sposa. E tutti vissero felici e contenti? Neanche per sogno! Per un po' di tempo le cose andarono avanti così e Psiche era felice anche di quel marito che veniva solo di notte e di cui ignorava l'aspetto, le bastava la sua voce e i teneri momenti che passavano insieme. Ma l'invidia, si sa, è cosa molto pericolosa e Amore, che ben lo sapeva, mise in guardia Psiche dicendole: "Mia dolcissima Psiche, mia amata moglie, la Fortuna, sempre più crudele, ti minaccia con un pericolo mortale; ti raccomando di far attenzione e di essere ancor più prudente. Le tue sorelle, sconvolte dalle voci della tua morte, si sono messe in cerca delle tue tracce e presto arriveranno alla roccia che sai: se mai dovessi sentire qualche loro lamento, tu non rispondere, anzi non farci neanche caso; altrimenti causerai a me un grandissimo dolore e a te poi la rovina completa". (Apuleio, Metamorfosi, V, 5)
Ma Psiche si sentiva in una prigione dorata, senza contatti con altri esseri umani e soprattutto senza poter far sapere alla sua famiglia di essere viva, ricca e felice, quindi prima piangendo e poi minacciando anche di uccidersi, convinse Amore a cedere alla sua richiesta di incontrare le sorelle, confermando quanto già descritto più sopra, nel capitolo intitolato Neanche gli dei , ovvero che quando una donna si mette in testa una cosa, neanche un dio può nulla. Ma Amore provò fino all'ultimo ad avvertirla del pericolo dicendole: "Però ricordati che io ti avevo avvertito seriamente, quando comincerai - e sarà troppo tardi - a pentirtene!" (Apuleio, Metamorfosi, V, 6), e, in un ultimo, disperato tentativo di salvare il loro amore, le disse di stare attenta soprattutto a non farsi convincere dalle sorelle a cercare di scoprire il suo aspetto. Psiche giurò più volte che non l'avrebbe mai fatto, quindi l'avvolse sinuosamente col suo corpo e, sussurrandogli dolci parole d'amore, lo coprì di moine convincendo Amore ad acconsentire al suo desiderio e confermando che anche in situazioni del genere non c'è poi tanta differenza tra uomini e dei. Fu così che Zefiro, seguendo gli ordini del padrone, portò alla reggia le sorelle di Psiche mentre queste, la prima volta, si trovavano sulla rupe a piangere la sorella. Giunte però alla reggia, le due sorelle si resero conto che Psiche era stata molto più fortunata di loro, che facevano da badanti a dei mariti più vecchi di loro e che non possedevano neanche una minima parte delle ricchezze che aveva Psiche. E non bastarono tutte le pietre preziose e i gioielli che Psiche generosamente regalò loro, a far cessare l'invidia che, anzi, crebbe ancor più, fino al punto che le due sorelle si accordarono escogitando un piano per rendere infelice la più fortunata Psiche. Amore tentò ancora una volta di avvertire Psiche e questa volta aggiunse che doveva stare molto più attenta alle sorelle in quanto era anche incinta. Ma Psiche non credette alla malvagità delle sorelle, definite da Apuleio consponsae factionis (Apuleio, Metamorfosi, V,14), che si può tradurre come associazione a delinquere , e le fece tornare alla reggia. Una volta qui le due sorelle, saputo che Psiche era incinta, non sopportando l'idea che la sorella minore avesse per marito un dio da cui stava per avere un figlio, e per niente placate nella loro invidia dal trattamento regale loro riservato e dai nuovi ricchi doni che Psiche elargiva ad ogni loro visita, misero in atto il loro astuto piano: giunte alla rocca dov'erano solite parlare con Psiche e dove Zefiro le sollevava portandole alla reggia, le ricordarono le parole della profezia, convincendola che suo marito era veramente un mostro a forma di serpente, che in tanti nella zona lo avevano visto e tutti dicevano che l'avrebbe trattata così bene solo fino alla fine della gravidanza per avere, in tal modo, un pasto più succulento. L'ingenua Psiche, dimenticando gli avvertimenti di Amore, si convinse che era così e chiese alle sorelle cosa avrebbe potuto fare. Le due sorelle subito colsero l'occasione che con tanta fatica avevano cercato e una delle due le disse cosa avrebbe dovuto fare: "Prendi una lama tagliente e ben appuntita, resa ancor più affilata a furia di sfregarla passandola sul palmo della mano, e nascondila in quella parte del letto dove dormi di solito; poi tieni pronta una lampada, ben riempita d'olio in modo che brilli di una bella luce... appena lui, trascinando le sue spire striscianti, sarà salito come al solito sul letto e ormai disteso lì, vinto e in balìa del primo sonno, comincerà a respirare pesantemente come quando si dorme.allora, senza paura, prendi quell'arma a doppio taglio e prima sollevala ben in alto con la mano, poi con il colpo più forte che puoi, tronca di netto la testa a quel serpente spaventoso, proprio nel punto in cui si unisce al collo. E non ti mancherà di certo il nostro aiuto: appena tu con la sua morte ti sarai salvata la vita, noi, che avremo atteso ansiosamente il momento, ci precipiteremo lì e, dopo aver portato via insieme a te queste ricchezze, ti uniremo, con quel matrimonio che hai tanto desiderato, a un essere umano come tu stessa sei" . (Apuleio, Metamorfosi, V, 20)

Sebbene combattuta da ciò che provava per Amore, Psiche organizzò tutto come le avevano consigliato le sorelle, ma anche lei, come le sorelle e come tutti gli altri (compreso molti di voi lettori) aveva commesso lo stesso errore di superficialità nell'essere così certa che il mostro descritto dall'oracolo avesse davvero l'aspetto di un serpente, e quando accostò la lampada grande fu la sorpresa che apparse ai suoi occhi. Ma facciamolo raccontare ad Apuleio: "Ma non appena, accostata la lampada, si fa luce sul segreto del suo letto, ecco cosa vede: tra tutte le bestie feroci la più mite e più dolce che c'è, Cupido in persona, il bel dio che dormiva in tutta la sua bellezza: a quella vista persino la luce della lampada si rallegrò, ravvivandosi, e la lama si pentì della sua punta sacrilega. Quanto a Psiche, sconvolta da quella visione straordinaria e completamente rapita, pallida come un morto, si sentì mancare e tutta tremante si piegò sulle ginocchia; e cercò di nascondere l'arma, ma nel suo petto: e lo avrebbe fatto di sicuro se l'arma, per paura di un così grave misfatto, non le fosse scivolata e scappata via da quelle mani incoscienti" . (Apuleio, Metamorfosi, V, 22)
Amore, prima di mettersi a letto, aveva riposto l'arco e le frecce ai suoi piedi e Psiche, con la curiosità tipica di una donna, andò a sbirciare nel feretro, ma non contenta di aver visto, volle provare quanto fossero appuntite le sue frecce, e avendo ancora le mani tremanti dalla sorpresa, si punse il pollice "E fu così che spontaneamente, senza accorgersene, Psiche s'innamorò di Amore". (Apuleio, Metamorfosi, V, 23)
Non sapendo più controllare la sua passione, Psiche tornò a letto e cominciò a baciare con tutta la sua passione Amore, desiderandolo sempre più e avendo il timore di non poterlo avere per molto tempo ancora, dato che la notte era già prossima a finire. "Ma mentre, eccitata da quel piacere immenso, vi si abbandona completamente, ferita al cuore, la lampada, forse per vile tradimento, forse per malvagia gelosia, o forse perché anche lei desiderava toccare e quasi baciare un corpo così bello, lasciò cadere dalla sua punta luminosa una goccia d'olio bollente sulla spalla destra del dio". (Apuleio, Metamorfosi, V, 23)
Vi chiederete come mai Amore avesse un sonno così pesante da non svegliarsi né con la lampada accesa, né sotto la furia passionale di Psiche. Apuleio non ce lo dice, ma possiamo immaginare la fatica di Amore dopo un giorno intero a volare scoccando frecce a destra e a manca, a uomini e immortali, e poi tornare a casa e mantener fede ai suoi impegni coniugali! Comunque sia, ci volle l'olio della lampada a svegliarlo, e appena aperti gli occhi Amore, "scoperta la macchia della sua fede tradita, senza dire neanche una parola, volò via dai baci e dalle braccia della sua infelicissima moglie". (Apuleio, Metamorfosi, V, 23)
Psiche lo afferrò alla gamba destra e volò con lui, ma dopo un po', ormai esausta, si lasciò cadere al suolo; Amore volò sulla cima di un cipresso vicino e le disse: "Povera ingenua Psiche! Io per te ho dimenticato gli ordini di mia madre, che mi aveva comandato di incatenarti alla passione per l'uomo più umile e abbietto, di condannarti al matrimonio più ignobile, e io stesso invece sono volato da te, per diventare tuo amante. Sono stato uno sciocco, lo so: io, il famosissimo arciere, mi sono colpito da solo con la mia stessa freccia, e ho fatto di te mia moglie, col risultato, a quanto pare, che tu credessi che io fossi un mostro e cercassi con quella lama di tagliarmi la testa, la testa dove stanno questi occhi innamorati di te! Questo è ciò da cui, come ti raccomandavo continuamente, dovevi guardarti, di questo ti avvertivo con affetto. Ma una cosa è certa: quelle bravissime consigliere delle tue sorelle me la pagheranno molto presto per i loro rovinosi insegnamenti. Quanto a te, la mia fuga basterà a punirti" (Apuleio, Metamorfosi, V, 24).
E, con queste ultime parole, spiccò il volo verso l'alto. Psiche, distrutta dal dolore per la perdita del suo amato e non riuscendo a perdonarsi di essere stata lei stessa la causa di tanta sofferenza, cercò di togliersi la vita gettandosi in un fiume, ma questi, temendo Amore, la adagiò dolcemente sulle sue rive anziché farla annegare. Lì la vide il dio Pan mentre insegnava alla ninfa Eco a ripetere (ma questo è un altro amore di cui parleremo in futuro), il quale la invitò a non cercare una via di fuga nel suicidio, ma piuttosto a fare di tutto per ingraziarsi Amore con le preghiere. Psiche lo ascoltò e riprese a vagare finché non si ritrovò nella città dove viveva una delle sue sorelle, lì si fece condurre al cospetto dalla sorella regina e le raccontò quanto accaduto, ma cambiò il finale: non le disse che il dio si sarebbe vendicato, ma piuttosto che, lasciata Psiche, avrebbe preso in sposa sua sorella. A ciò la donna immediatamente si recò sulla rupe dove Zefiro le conduceva alla reggia e disse al vento di accompagnare la sua nuova padrona dal dio. Ma Zefiro non arrivò e lei si sfracellò al suolo in mille brandelli diventando pasto per gli uccelli. Ma la vendetta, come potete immaginare, non si esaurì lì. Psiche riprese a vagare finché non arrivò nella città dove viveva l'altra sorella, a cui riservò un trattamento del tutto simile, facendo diventare anche lei cibo per gli uccelli. Nel frattempo Amore si era ritirato nella stanza della madre a lamentarsi per l'accaduto, ma un gabbiano andò da Afrodite, che era in vacanza al mare e, dopo averla raggiunta con un tuffo, le raccontò che la sua famiglia era sulla bocca di tutti "perché ve la siete filata, quello in montagna a rimorchiare, tu al mare a sguazzare, e così non c'è più posto per il piacere, la grazia, la dolcezza, e tutto è rozzo, selvatico, sciatto..." (Apuleio, Metamorfosi, V, 28)

Afrodite insistette per sapere il nome della fidanzata del figlio, e potete ben immaginare la sua rabbia quando il gabbiano le disse che era Psiche! Già i rapporti tra nuora e suocera raramente sono idilliaci, poi, anziché, punirla Amore ne aveva fatto la sua sposa! Ripresasi dallo shock, Afrodite si precipitò a casa e iniziò a urlare al figlio tutta la sua rabbia e il suo sdegno, facendogli una gran lavata di testa per questa "bravata" degna del miglior Pierino la Peste; lo accusò di non essersi mai fatto scrupolo di colpire con le sue frecce gli dei e persino la sua stessa madre, e minacciò di fare un altro figlio a cui dare il suo arco e le sue frecce, poi, ultimata la sfuriata, lo lasciò chiuso nella stanza e andò via chiedendo a Cerere e Era, che incontrò per strada, di rintracciare Psiche. Nel frattempo la dolce fanciulla si era rimessa in cammino arrivando ad un tempio di Cerere, dove la dea la riconobbe e le disse che la furiosa Afrodite la stava cercando. Psiche allora pregò la dea di tenerla nascosta lì anche solo per pochi giorni, ma Cerere, sebbene commossa, disse che non poteva fare una tale scortesia a Afrodite, e si limitò a non imprigionarla per condurla da lei, come le era stato chiesto di fare. Psiche, ancora più triste e abbattuta, riprese il suo cammino fino a giungere in un bosco dove vi era un altare con molte offerte a Era, allora si fermò e supplicò la dea di aiutarla; ma anche Era, sebbene commossa, per non mancare di rispetto a Afrodite si rifiutò di aiutarla. Psiche, sempre più depressa, pensò allora di consegnarsi spontaneamente a Afrodite, sperando di trovare in casa sua anche l'amato marito, e decise di mettere in pratica quest'idea senza più esitazioni, quando Afrodite, visto che non riusciva a trovare Psiche, col benestare del padre Zeus, andò tra tutti i popoli insieme a Ermes il quale proclamava: "Se qualcuno riuscirà a riportare indietro dalla fuga o a indicare dove se ne sta nascosta la schiava fuggitiva, figlia del re, serva di Afrodite, di nome Psiche, si incontri con il banditore Ermes: a titolo di ricompensa per la denuncia, riceverà da Afrodite in persona sette dolcissimi baci, più un altro ancor più delizioso, dato con il tocco carezzevole della sua lingua" . (Apuleio, Metamorfosi, VI, 8)
Probabilmente non molte donne erano interessate al premio, ma i maschietti, pur di arrivare ad ottenerlo, avrebbero trovato anche il rifugio di Bin Laden! E infatti subito si scatenò una gara tra loro, cosa che fece rompere ogni indugio a Psiche, la quale si consegnò a Afrodite portandosi al suo palazzo. Lì una serva della dea, Abitudine, la prese per i capelli e la trascinò da Afrodite che, vedendola, subito scoppiò in una fragorosa risata isterica, poi chiamò due sue ancelle dai nomi tutt'altro che rassicuranti, Inquietudine e Tristezza, e la fece frustare minacciandola di non farle portare a termine la gravidanza, quindi si prodigò personalmente a malmenarla e strapparle i capelli che ancora aveva in testa e infine, dopo aver fatto portare del grano, dell'orzo, del miglio, semi di papavero, ceci, lenticchie e fave, li mescolò con cura per creare un unico mucchio e le disse: "Visto che sei una schiava tanto brutta, mi pare che tu non possa guadagnarti il favore dei tuoi amanti in nessun altro modo se non facendo con impegno il tuo lavoro: perciò adesso anch'io voglio mettere alla prova questa tua bravura. Dividi questo ammasso disordinato di semi e, dopo aver rimesso in ordine i chicchi a uno a uno secondo il tipo e averli separati, presentami il lavoro completato entro stasera". (Apuleio, Metamorfosi, VI, 10)

Sarebbe stato un lavoro impossibile per chiunque e quindi Psiche non accennò nemmeno a farlo. Ma in suo aiuto accorse l'essere laborioso per antonomasia: la formica. Fu, infatti, proprio una formichina ad aver pietà della sposa di Amore e a chiamare tutte le sue compagne con cui, nel tempo richiesto dalla bellissima dea, riuscirono a terminare il disumano compito affidato a Psiche. Rientrata la sera da un banchetto nunziale, la dea vide che Psiche era riuscita nell'impossibile compito affidatole, e diede la colpa a suo figlio Amore, ma ciò non la fece desistere dai suoi propositi vendicativi, pertanto subito affidò a Psiche un'altra mission impossible , come si usa dire oggi, ma questa volta cercò anche di ingannarla. La dea disse infatti all'insopportabile nuora di procurarle un fiocco di lana preso dalle pecore dal vello d'oro che pascolavano tranquillamente in un bosco, ma omise intenzionalmente di dirle che quelle che solo in apparenza erano docili bestiole erano in realtà bestie ferocissime che non avrebbero esitato un istante a ucciderla. Ma anche questa volta Psiche ebbe un inatteso aiuto: mentre si avviava verso il bosco, ignara di ciò che l'attendeva, "una canna, di quelle che, come ispirate da un soffio divino, grazie al dolce fruscio di una tenue brezza, producono un suono soave..." (Apuleio, Metamorfosi, VI, 12)
l'avvisò del pericolo e le consigliò di attendere il calar del sole, quando le belve si sarebbero calmate, e nascondersi sotto un altissimo platano, "e non appena le pecore, placata la loro furia, si saranno calmate, tu scuoti il fogliame della boscaglia lì intorno e troverai la lana d'oro che resta impigliata qua e là tra i rametti aggrovigliati." (Apuleio, Metamorfosi, VI, 12).
Psiche si attenne a quanto consigliatole dalla saggia canna, e così facendo tornò indietro con il grembo pieno di lana d'oro da consegnare alla sempre più esasperata suocera. Anche questa volta Afrodite ritenne Amore il vero autore dell'impresa e anche questa volta, anziché desistere, le affidò una nuova e più difficile impresa: "Vedi la cima di quel ripido monte, che sovrasta quella rupe altissima? Da lì scaturiscono le onde scure di una nera fonte e, scorrendo all'interno della valle vicina che fa da ricettacolo, gettano le loro acque nelle paludi dello Stige e alimentano le roche correnti del Cocito. Tu devi riempire questa piccola urna con l'acqua gelida che viene proprio dal cuore della sorgente, nella parte più alta della fonte, e poi devi portarmela qui immediatamente." (Apuleio, Metamorfosi, VI, 13)
Per chi dei nostri lettori non lo sapesse, lo Stige e il Cocito sono i fiumi infernali che le anime devono attraversare prima di giungere nel regno dei morti, ragione in più perché Psiche sentisse l'impresa ancora più ardua. E poi lungo il tragitto vi erano dei terribili draghi nascosti tra stretti anfratti, e persino i fiumi sconsigliavano alla bella Psiche di proseguire nel suo cammino. Ma ecco che proprio mentre era al culmine della paura e della disperazione, arrivò in suo aiuto nientemeno che l'aquila di Zeus che, memore del servigio reso a Amore quando su suo ordine rapì Ganimede per portarlo a Zeus, le tolse l'urna dalle mani e, destreggiandosi tra i numerosi pericoli, la riempì restituendola a Psiche. Ma la gioia con cui la ragazza portò l'urna alla sempre più infuriata Afrodite era destinata a scomparire presto. Difatti l'iraconda dea aveva ancora una prova da sottoporle, e questa volta l'indesiderata nuora non avrebbe avuto modo di uscirne viva! Afrodite quindi prese una scatoletta e, porgendola a Psiche le disse: ".scendi immediatamente negli inferi, sì proprio lì dov'è la funebre dimora dell'Orco. Una volta lì, porgerai la scatoletta a Proserpina e le dirai: 'Afrodite chiede se le mandi un po' della tua bellezza, quella che basta anche per un solo giorno, perché quella che aveva l'ha già usata e consumata tutta, mentre stava ad assistere suo figlio malato'; - e, come se non bastasse, aggiunse - e non tornare tardi perché me la devo spalmare addosso prima di andare al teatro degli dei". (Apuleio, Metamorfosi, VI, 16)
L'impresa più che ardua appariva impossibile. Come sarebbe stato possibile trovare la strada per andare nel regno dei morti e addirittura tornare tra i vivi dopo essere stata al cospetto della regina degli inferi? La strada per l'andata, a pensarci bene, non era così difficile da trovare, ma aveva un problema: si presentava senza ritorno; infatti Psiche, ormai rassegnata a vedere finita la propria esistenza, s'incamminò verso un'altissima torre da cui pensava di gettarsi. "Ma tutt'a un tratto la torre si mette a parlare: 'perché, povera ragazza, ti vuoi ammazzare buttandoti nel vuoto? E perché così avventatamente ti arrendi proprio ora davanti a quest'ultima fatica, a quest'ultimo pericolo? Una volta che il tuo spirito si sia separato dal corpo infatti, arriverai sì, questo è certo, fin nel profondo del Tartaro, ma da lì non potrai tornare indietro in nessun modo. Invece ascolta me." (Apuleio, Metamorfosi, VI, 17)

La torre quindi spiegò a Psiche come fare per raggiungere il regno dei morti e portare a termine la sua 'missione' tornando tra i vivi. Certo era una strada che definire un po' complicata sarebbe un eufemismo, il cui percorso non era facile né bello, infatti prevedeva il raggiungimento di un promontorio nei pressi di Sparta che ancora oggi si chiama Tanaro, dove, secondo il mito, vi era un ingresso all'Ade chiamato Dite, altro nome del dio dei morti; Psiche doveva portare una focaccia di farina d'orzo impastata con vino e miele in ognuna delle sue mani, e due monete in bocca; le focacce sarebbero servite per tenere a bada Cerbero, il celebre cane a tre teste guardiano degli inferi, mentre le monete erano destinate al traghettatore Caronte. Durante il tragitto Afrodite aveva previsto più tranelli in cui far cadere l'indesiderata nuora: un asinaio zoppo le avrebbe chiesto di alzargli dei ramoscelli da terra, un vecchio morto, invece, di essere tirato su dalle acque durante il traghettamento, e infine delle anziane tessitrici che le avrebbero richiesto un aiuto. Ma Psiche, le disse la torre parlante, non avrebbe dovuto farsi intenerire, proseguendo diritta per la sua strada fino a giungere dinanzi a Proserpina, una volta lì però, le insidie non sarebbero ancora finite, infatti avrebbe dovuto rinunciare al comodo sedile e al lauto pranzo offertole da Proserpina, sedendosi a terra e mangiando solo del pane nero (per capire le origini di questo secondo tabù, vi invitiamo a leggere la mitologia di Eleusi alla sezione 'luoghi del mito'). Questa complicata e tortuosa strada era l'unico modo per Psiche di poter tornare dal regno dei morti e portare a termine la sua ultima prova e potersi così finalmente ricongiungere al suo amato Amore. E Psiche fece tutto esattamente come indicatole dalla torre parlante, ma cedette all'ultima insidia che Afrodite le aveva riservato e che faceva leva su una caratteristica tipicamente femminile che la dea conosceva molto bene: la vanità! La torre parlante, infatti, le dispensò un ultimo fondamentale consiglio: "Ma tra tutte le cose quella che ti raccomando più di tutto è questa: non cercare di aprire o di sbirciar dentro quella scatolina che porti con te, in una parola non cercare con troppa curiosità di scoprire quel tesoro di bellezza divina che vi è nascosto". (Apuleio, Metamorfosi, VI, 19)
Come già dimostrato con le sorelle Erse, Pandroso e Aglauro nella mitologia di Atene, dire a una donna di non essere curiosa, significa renderla irresistibilmente curiosa, inoltre Psiche, dopo aver sopportato ogni sorta di fatica, vedeva la sua bellezza provata, e dunque disse tra sé e sé: "Ma certo che sono proprio una sciocca che porto con me la bellezza degli dei e neanche ne prendo un pochino per me: magari così piacerò al mio bellissimo amante!". (Apuleio, Metamorfosi, VI, 21)
E così Psiche aprì la scatoletta, ma con suo grande stupore, non vi trovò la bellezza degli dei, ma un sonno mortale che la fece immediatamente crollare sul sentiero dove si trovava, proprio come fosse morta. Nel frattempo però, Amore si era ripreso dalle ferite ed era scappato via dalla sua prigione per ricongiungersi alla sua amata, trovandola quasi completamente immersa nel suo sonno di morte. Ma un filo di vita era rimasto, e Amore non perse tempo, le asciugò il sonno mortale, lo rimise nella scatoletta, quindi la svegliò con una leggera puntura della sua freccia e le disse di portare a termine quanto le aveva richiesto Afrodite. Psiche non se lo fece dire due volte, e immediatamente si recò dalla dea con la scatoletta richiesta. Nel frattempo Amore, preoccupato dei cattivi rapporti tra la madre e la moglie (che a dispetto dei millenni passati è, per molti, ancora un problema attualissimo), si recò dal padre degli dei, Zeus, perorando la sua causa, o meglio, il suo amore per Psiche. Alla sua richiesta il sommo Zeus rispose: ".è vero che tu non mi hai mai portato quel rispetto che mi è dovuto secondo unanime concessione degli dei, e hai inferto continui colpi a questo mio cuore che detta ordine alle leggi della natura e ai moti degli astri, e lo hai macchiato facendolo spesso precipitare nelle passioni terrene, e con avventure vergognose che vanno contro le leggi.hai danneggiato il mio onore e la mia reputazione, facendo sì che trasformassi il mio volto sereno nelle forme più immonde, in serpente, in fuoco, in belva feroce, in uccello, in bestia di gregge. Tuttavia, non voglio dimenticare la mia clemenza, oltre al fatto che sei cresciuto tra le mie mani, e farò tutto quello che vuoi, purché tu sappia che dovrai guardarti da quelli a cui hai dato l'esempio;" (Apuleio, Metamorfosi, VI, 22)

Detto ciò Zeus convocò l'assemblea degli dei e comunicò le sue decisioni al riguardo, dicendo che era tempo di mettere fine alla dissolutezza giovanile di Amore, con il matrimonio, e aggiunse che la prescelta era Psiche, quindi tranquillizzò la figlia Afrodite, dicendole che avrebbe reso immortale Psiche e eterno il loro matrimonio, quindi ordinò a Ermes di portare in cielo Psiche a cui porse personalmente una tazza di ambrosia, il cibo degli dei, dicendole: "Bevi, Psiche, e diventa immortale: e Cupido non si scioglierà mai dal legame con te, ma queste vostre nozze saranno eterne". (Apuleio, Metamorfosi, VI, 23).
Seguì un divino (nel vero senso della parola) e sontuoso banchetto nunziale cui parteciparono tutti gli dei cantando, suonando, ballando e divertendosi. Poco tempo dopo Psiche diede alla luce una figlia cui fu dato il nome di Voluttà. E come per ogni favola che da allora si narra, vissero tutti felici e contenti!