I libri


Testo

DITTI CRETESE

LA ROVINA DI TROJA
Libro IV°

Presi i Trojani da stupor, vedendo
Che Priamo avea nel suo disegno avuto
Un effetto felice, e che tornava
Con tutti quei, che aveanlo seguito,
Senza perdita alcuna, e senza danno,
Lodan de’ Greci in tale occasione
L’umanità, la cortesia; che come
Speranza non avean, che avesse Achille
Reso d’Ettorre il corpo, e che tornato
N’ avesse alcun, ma tutti ritenuti
Fosser d’Elena in vece; alto stupore
Ebbero inver per lo contrario evento.
Ma quando poi d’Ettorre incominciate
Furo l’esequie, e le funebri pompe,
Cittadini, stranieri, e li compagni
Empivan tutta la città degli urli,
De’ lamenti, e de’ pianti; i lor capelli,
E le vesti strappando; e percotendo
La faccia, e ‘1 petto al popolo d’innanti
In lagrime disciolto unitamente;
Che in sua virtù più non fidava alcuno,
Essendo morto quei, che per prudenza
Negli affari di pace, e per lo grido
Di militar valore agli altri tutti
Giva per fama e per virtute innanzi.
E finite le pompe funerali,
E dato sfogo al lor perpetuo pianto,
Che dieci giorni da mattina a sera
Durò continuo, Ecuba, e l’altre donne
Ordinaro cosi, che Menelao,
Teucro, ed Ulisse, e Merione andasse
Contro li Segittari; e che Diomede,
Agamennòne, li due Ajaci, e Ialmeno
Tlepolèmo, ed Ascalafo ai pedoni,
Che Achille, e gli altri capitani poi
Combattessero il fronte ai suoi destrieri:
Così disposte la ordine le schiere
D’ambe le parti, uscirono alla guerra.
Per le saette di Pantasilea
Molti morivan Greci, e non minore
Ardir mostravan li Trojani ancora,
Che pugnavano in corpo separato.
Ajace intanto coi compagni suoi
Percoteva i pedoni, e dal conflitto
Niun cessò pria che rotti, e messi in fuga
Non fosser tutti. Achille aveva intanto
Pantasilea veduta infra i destrieri,
Le corse; addosso, e le tira coll’asta
Un colpo Sol, che la ferì, di sella
Balzandola, perchè femmina alfine,
Nè reggere poteva ai colpi suoi,
Quindi la prese pei capelli, e come
Era grave ferita, ei la traeva
Dietro di se, locchè dalli Trojani
Come si vide, ognun prese la fuga,
Perduta ogni speranza, ed ogni ardire;
E pel timor, chiuse le porte, i nostri
Incalzan quei, cui tolto è di salvarsi,
E ne fan cruda strage, e sol le donne
Sono risparmiate: e in lor ritorno
Trovare i vincitor presso a morire
Pantasilea, e dell’audacia sua
N’ebbero maraviglia. Allor concorsi
Tutti al luogo medesmo, altri pensaro,
Che poichè vinta avea della natura
La sua condizion, e ‘1 proprio sesso,
Fosse viva gittata entro del fiume,
E pasto fosse messa innanzi ai cani.
Achille, che l’avea trafitta poi
Della tomba l’onor darle bramava,
Ma Diomede si oppose, e ai circostanti
Cercando che di lei far si dovesse,
Per comune parer pe’ piè la trasse,
E di Scamandro la gittò nell’onde
In pena della sua folle pazzia.
Sì perduto l’esercito, col quale
Pantasilea venuta era in soccorso
De’ Trojani, pagò de’ suoi costumi
Dunque la pena, e fu spettacol nuovo
Ai Greci tutti, ed ai Trojani insieme.
Il dì seguente sopraggiunse poi
Con numeroso esercito Mennone
Figlio a Titone, ed all’Aurora, il quale
Genti a migliaja radunate, e accolte,
Le speranze di Priamo, e i desiderj
Di molto superò: poichè da lungi
Quanto l’occhio potea d’intorno a Troja
Guardar, quei luoghi tutti erano pieni
E d’uomini, e cavalli, armi, ed insegne,
E questi tutti avea seco Mennone
Per gli gioghi del Caucaso condotti
Intorno a Troja, oltre di quelli poi,
Che inviati per Fula capitano
Avea per mare, e che venuti a Rodi,
E conoscendo, ch’era ai Greci unita
Quell’Isola, temendo che saputa
Si fosse la sua andata, e alle sue navi
Fosse il foco apprestato, ivi fermossi,
E le truppe in Camira, ed in Calisa
Ricche città dispose. I Rodj intanto
Dopo di pochi dì biasmaro Fula,
Che gisse ajuto a porgere ai Trojani,
Dacchè Alessandro poco tempo innanti
Aveva rovinato anche Sidone,
Lor Patria, e per promuovere il disgusto
Dell’esercito ancor, lo rinfacciaro,
Che da’ Barbari affatto differenti
Eran essi, poichè la lor difesa
Prestavano a color, che d’ ogni pena
Eran per loro scelleraggin degni;
E queste, ed altre aggiunsero poi cose
Atte del volgo a muovere lo sdegno.
Nè tutto ciò fu van; che li Fenicj,
Di cui v’era gran copia, udito questo,
E de’ Rodj assai giuste le querele
Giudicate, ed essendo essi assai vaghi
Di rapir quello, che nelle lor navi
S’era condotto, a colpi di più sassi
Fero Fula morir, e l’oro e quanto
V’era, tra se divisero, e partiro.
Or l’esercito intanto di Mennone,
Che pel numero suo mal la cittate
Accolto avria, disposti i padiglioni
Per gli ampj campi alla città vicini,
Alloggiaro divisi in tanti corpi
Quante le nazioni, e in tanti modi
S’esercitavan, quanti i lor costumi;
Che non eran gli stessi di milizia
I modi, l’arti, ed anche l’arme istesse;
Che le celate, i scudi orribil forma
Offrivan di milizia ai spettatori.
Dopo d’alquanti giorni eran le truppe
Rinfrancate dal lungo aspro viaggio,
E di pugna eran vaghe; all’apparire
Del primo dì, fu di battaglia il segno
Dato appen, che sortirono dal vallo,
Per essere al conflitto alfìn guidate,
E seco anche i Trojani, ed i compagni,
Che stavan tra le mura. Erano i Greci
Smarriti alquanto inver, non conoscendo
I novelli nimici, e al sol vedere
L’immenso stuol, ma pur dato coraggio
Nel solito lor ordine le truppe
Disposte attendon il nimico audace,
E quando fu lontan d’un dardo il tiro,
I Barbari levaro un alto grido,
E discordevol suono, e con rovina
Ci assalgono; ma i nostri allor ristretti
Nelle lor file, e sotto le lor arme,
Sostengon la violenza de’ nimici;
Ma rinnovati gli ordini, e rifatte
Le squadre, e d’ ogni parte i spessi dardi
Gittandosi dall’una, e l’altra parte,
Si moriva in gran numero, nè fine
Faceasi alcun, fintantochè Mennone
Asceso un carro, e a se chiamati i suoi,
Che credeva più arditi, in mezzo ei vola
De’ Greci, e molti uccide, e molti caccia.
E così molti delli nostri Duci
Sendo uccisi, o fugati, e la fortuna
Dichiaratasi avversa, ogni speranza
Fu messa nella fuga, e la vittoria
Fu de’ nimici, e allor senza riparo
Sarebbon state ancor arse, e distrutte
Tutte le nostre navi, e ‘1 nostro campo,
Se la notte dal ciel, sparso il suo velo,
Non le avesse sottratte al lor furore;
Tant’era di Mennon nella battaglia
E l’arte, e la virtù, e tanto ai nostri
Mancò il coraggio, e fu la sorte avversa.
Dallo spavento, e dal travaglio i Greci
Riavuti alquanto, a mezzo della notte
Dan sepoltura ai morti, e sulla loro
Rovina estrema se ne stan dubbiosi,
Indi fatto consiglio, ognun consente,
Che si rinnovi con Mennon la pugna,
E de’ Duci sia. sol uno trascelto,
Che con Mennon venga a conflitto. Allora
Agamennòne eccettuò fra tutti
Ulisse, Menelào, e Idomenèo,
E su degli altri poi messa la sorte,
Con piacere comun fu eletto Ajace.
Così di cibo ristorati appieno,
È della notte il resto al sonno dato;
Ed al primo apparir del di ciascuno
Armato, e messo in ordine s’avanza
Alla novella zuffa. Assai men lento
Fu Mennon co’ Trojani; ed ambi avendo
Gli eserciti disposti in ordinanza,
S’affrontano, e dall’una, e l’altra parte
Ne caggion molti, e molti per ferite
Dalla battaglia si ritiran tosto.
Mentre ardeva il conflitto il più fervente,
Antiloco di Nestore figliuolo
Scontrato da Mennon, fu messo a morte:
Ajace, a cui la sorte avea commesso
Combatter col figliuolo dell’Aurora,
Quando gli parve acconcio, ed opportuno
Il loco, e ‘l tempo, in mezzo alle due squadre
Penetrato, a tenzone il Re disfida,
Avendo pria a Idomenèo, e Ulisse
Commesso, che finchè pendea lor pugna,
Gli tenessero lungi ogn’altra offesa.
Mennone Ajace, che il provoca, inteso,
Scende dal carro, e di provarsi a piedi
Seco coll’asta, in COR gli vien desio,
E con spavento, e grande aspettativa
Stanno dall’una, e l’altra parte attenti
L’esito ad osservar tutt’i soldati.
Allora il nostro Duce urtando l’asta
Con vigor sommo incontro al di lui scudo
II traforò, lo spinse, e ‘1 volse in fianco.
I compagni del Re, questo veduto,
Vi corron col desio, che allor sospesa,
Anzi tolta di man fosse ad Ajace
La vicina vittoria: Achille allora,
I Barbari vedendo d’interporsi,
Andò contro del Re, e con un colpo
Dell’asta sua la gola discoperta
Dallo scudo passogli, e quello estinto,
I Barbari perdero ogni speranza;
Crebbe ai nostri l’audacia, a quei la tema;
Onde gli Etiopi allor, volte le spalle,
Cominciaro a fuggir, e via fuggendo
Son dai nostri inseguiti, ed ammazzati.
Polidamante allor desideroso
Di rinnovar la pugna, esorta i suoi,
I timidi conforta, e i fuggitivi
Riconduce alla guerra, e circondato
Dai nostri ovunque, e incontro avendo Ajace
Nell’inguine ferito i dato a morte.
D’Antenore il figliuol Glauco pugnava
Con Diomede, e pendea dubbia la sorte
Di quella pugna, allorchè Agamennòne
L’assalta, e uccide. Allor per tutto il campo
Era il veder gli Etiopi, ed i Trojani
In disordin fuggire, e senza impero.
E nella moltitudine smarrita,
Ove chi fugge, chi s’incalza, e preme,
Chi s’intrica, s’avvolge, e chi là cade,
Là si pestano gli altri, e là si uccide,
E da’ cavalli, che trascorron soli
Fra le truppe altri son pur calpestati;
Quindi incalzan li Greci, ed alle spalle
E con aste, e con frecce, e colle spade
In varj modi altri feriti, estinti
Altri caggion fuggendo, e ‘1 campo tutto,
Che circonda le mura, era di sangue
Che a ruscelli scorrea tutto irrigato,
Di cadaveri ingombro, e ricoperto
Dell’armi sparte, abbandonate, e infrante.
Ecco quanti figliuoli a Priamo uccisi
Furono in questa zuffa: Atrèo, Echione
Uccise Ulisse: e Dropsi, e Bia, e Corinto
Ebbero morte per Idomenèo:
Flenore, ed Ilionèo per man d’Ajace:
Da Diomede morì Telsite, e Tieste,
Antiplo, Agopno, e Glauco, ed Agatone
Dall’altro Ajace Telamonio uccisi
Furo, ed Astoropèo soltanto Achille,
Nè dalla strage si cessò, se prima
Non mancasse alli Greci e forza, e lena
All’esterminio de’ nimici. I nostri,
Presi gli alloggiamenti, a dimandare
Mandarono ai Trojani, acciò lor dato
Fosse di dare alli di loro estinti
Gli onori del sepolcro, e ricevuto
Il permesso di farlo, ognuno accolse
I suoi, gli arse, e gli diè funebre tomba,
Secondo i proprj riti, e i lor costumi;
Ma fu Mennone separatamente
Arso in un rogo, e degli avanzi suoi
Ricolma un’urna, fu alli suoi parenti
Nella Patria rimessa. I Greci ancora
Lavato pria d’Antiloco il cadavere,
Gli fero esequie al di lui rango illustre.
Dovute, e l’urna del suo cener danno
All’infelice padre addolorato,
Pregandolo a soffrir della fortuna,
E della guerra le vicende avverse.
Ristorandosi al fine ognun col cibo,
E col vino, al ciel portano le lodi
De’ valorosi Duci Ajace, e Achille.
Terminate l’esequie ai loro estinti
E di Mennone il duol fatto minore,
Cominciaro i Trojani ora a temere
La lor rovina estrema, ogni speranza
Perduta alfin coi buoni capitani,
Sino a quel punto avendo essi perduto
II bravo Sarpedone, e ‘l grande Ettorre,
Che più di tutti li privò di speme,
Gli avvilì, gli sconfisse, e finalmente
Perduto avean il gran soccorso avuto
Da Mennon, che per essi era un favore
Di fortuna propizia, e molto amica:
Tra queste, ed Altre avversità lasciato
Aveano ogni pensier di rilevarsi.
Ciò prevedendo i Greci, eran trascorsi
Pochi dì, che di nuovo in campo aperto
Ordinaro le truppe, ed al nemico
Offrirono battaglia, e provocando
I Trojani con motti, e con insulti
Gli tiravano fuor dalle lor mura,
Il che mal sofferendosi dal core
D’Alessandro, e del resto de’ fratelli,
Ordinaro lor schiere, e abbandonata
La città, incontro vennero alli Greci:
Ma pria, che cominciassero li dardi
A gittarsi, e ferir, rotti i Trojani
Gli ordini delle file, a tutta fuga
Rivolsero le spalle, e nel fuggire
Altri furono uccisi, altri annegati
Nel fiume, avendo all’uno, e all’altro lato
Dal nimico molestie, ed al fuggire
Quasi la via preclusa. In quest’azione
Fur presi a Priamo due figliuoli ancora
Cioè Troilo, e Licaone, ai quai, condotti
De’ Greci in mezzo, fe’ dar morte Achille,
Perchè da Priamo non aveva ancora
Ricevuto risposta intorno a quello
Che seco lui di trattamento avea;
Il che veduto dai Trojani, al core
Ebbero sommo dispiacere, e lutto,
E con voce gemente, e sconsolata
Piangean il caso loro, e sopra modo
Quello di Troilo, il qual ne’ suoi prim’anni
Della fresca puerizia avea costumi
Ripieni di bontà, per cui gradito
Era al popolo suo, e inoltre avea
Un chiaro lume di beltà celeste.
Dopo non molti giorni il dì festivo
D’Apolline Timbrèo correva, e tregua
Fatta colli nimici, alto alla guerra,
Ed alle ostilità, si fe’ dall’una,
E l’altra parte. Allor Trojani, e Greci
Erano tutti ai sacrificj intenti,
E credendo opportuno il loco, e ‘1 tempo
Priamo ad Achille fece andare Idèo
Perchè del maritaggio egli trattasse
Tra lui, e Polissena. Achille il messo
Udì nel bosco, e come il richiedea
Dell’affar l’importanza, insiem trattaro
Qualche tempo in segreto, e ciò soltanto
A spargere bastò sospetto, e tema
Tra i Greci, che si fosse Achille in fine
Alienato; e ‘1 rumor d’un tradimento
Tutti commosse pazzamente a sdegno,
Che v’eran quei, che fean d’un dubbio un certo.
Onde Ajace, Diomede, ed anche Ulisse
Volendo de’ soldati il cor commosso
A molt’odio placar, ne giro al bosco,
Ed aspettaro Achille innanzi al Tempio,
Per avvertirlo de’ sospetti sparsi,
Acciocchè coi nimici di nascosto
Più non trattasse; ed Alessandro intanto
Con Deifobo disposte le sue insidie
Di cent’uomini armati di pugnale
Ad Achille portossi a confermare
Ciocchè Priamo l’offria, e promettea,
E vicino all’altar d’Apollo istesso,
Affinchè Achille dell’agguato apposto
Accorto non si fosse, in piè fermossi,
Voltandogli le spalle; allor Deifobo
L’inerme Achille abbraccia in guisa come
Seco si rallegrasse, e compiacesse
Del novello ligame, e parentado,
Ed ei d’inganno in luogo così sacro
Nulla si sospettando, ad Alessandro
Deifobo così diè tutto l’agio,
Che correndogli addosso col pugnale
Due colpi nelle spalle ei gli tirasse,
E vedendol mancar per le ferite,
Dall’altra parte sen fuggir del Tempio,
E timidi si chiusero, in cittate,
Del che Ulisse avveduto: han veramente,
Disse, ragion, che timidi, e turbati
Sen fuggano in città. Indi nel bosco
Entrati, e d’ogni intorno riguardando,
Videro Achille a terra, e tutto intriso
Nel proprio sangue, ed a morir vicino.
Esclamò Ajace allor: non v’alcun dubbio,
Che nissuno eguagliar la tua virtute
Potea, come si vede ancor dal fine
Della tua vita, ch’esser non poteva,
Ch’estinta a tradimento, e ben la tua
Sciocchezza fu cagion della tua morte.
Achille allor tra le sue angosce estreme
Disse: Deifobo, ed Alessandro uniti
M’hanno per causa della lor sorella
Polissena tradito. I mesti Duci
Con gran gemito avendolo abbracciato,
E dati molti baci, a lui rendero
Il saluto supremo, e sulle spalle
Preso il suo corpo Ajace, uscì dal bosco:
Del che accorti i Trojani, uniti tutti
Usciron dalle porte e di rapire
Si sforzarono Achille, acciò secondo
Il lor costume avessero potuto
Villaneggiar quel corpo, e vendicarsi
Degli oltraggi al cadavere d’Ettorre
Fatti pria; ma li Greci in ciò vedere,
Prendon l’arme, e gli corron all’incontro,
E quindi a poco a poco in breve tempo
Pur condotte le squadre, ed al conflitto
Si diè principio. Ajace il corpo dato
A quei, che lo seguian, contro i Trojani
Corre, e ‘1 primo, cui fe’ baciar la terra
Fu d’Ecuba il fratello, Asio, che il primo
Gli venne incontro, e molti a lui nimici
Anche uccise, e tra questi annoverati
Son Anfimaco, e Iaste, i quai signori
Eran di Caria. Ajace, e Menelao
Quindi entrati al conflitto a morte danno
Molti, e molti ne fugano repente;
Cosicchè uccisi molti, altri dispersi,
Smarrisconsi i Trojani, e gli ordin rotti,
Senza speme sen fuggon disperati
Verso le porte, e sol dalla cittate
Attendono salute. I nostri poi
Li sieguon da per tutto, e ovunque il ponno,
Feriscono, ed uccidono i nimici.
Ma poichè Troja avea chiuse le porte,
E rinserrati s’erano i nimici,
Alle navi fu Achille trasportato,
Ove di sì grand’uom piangendo ognuno
De’ capitani la fortuna avversa,
E la fatal disgrazia, erano poi
Mesti soli i soldati, e dalle luci
Non versavano pianto, ognuno avendo
Creduto Achille di tradir capace
La Patria, e i suoi, e ciò perchè sovente
Conferia co’ nimici; e nulla ostante,
Lui morto essendo, ognun parea d’avere
Qualche cosa perduta, e che a un guerriero
Di tanto merto sì infelice morte
Era toccata, e che per tradimento
Sol morire poteva, e in luogo oscuro.
Tratta gran quantità di legna adunque
Dall’Ida, là dove drizzato il rogo
Fu a Patroclo, l’alzaro, e messo sopra
Il cadaver d’Achille, al foco il diero,
Vegliando per tre dì d’intorno Ajace;
Nè prima si partì, che tutte accolte
Non fosser le reliquie di colui
Ch’amò tanto, e di cui tanto si dolse,
Perchè vivendo, a lui fu stretto amico,
Non che parente, e maggiormente ancora,
Che l’eroiche di lui virtù prezzava:
All’incontro i Trojani opposti affetti
Sentìvan per la morte di colui,
Che tanto male avea loro recato;
Onde di gioja, e d’allegrezza il cielo
facevan risuonar, morto un nimico
Così potente, e infesto, e sommamente
D’Alessandro lodavano l’inganno
Che mal potuto avendolo per forza,
Per astuzia gli avea data la morte.
E infra questa allegrezza a Priamo giunse
Un messo, che venia fin dalla Misia,
Euripilo figliuolo di Telèfo,
Guidando a Troja esercito famoso,
Che pria co’ doni suoi invano aveva
Indotto Priamo, ed or pel matrimonio
Di Cassandra venia, e tra suoi doni
Uno assai bello ne recava, ed era
Un’aurea vite di fattura egregia:
Che l’eroiche di lui virtù prezzava:
All’incontro i Trojani opposti affetti
Sentivan per la morte di colui,
Che tanto male avea loro recato;
Onde di gioja, e d’allegrezza il cielo
Facevan risuonar, morto un nimico
Così potente, e infesto, e sommamente
D’Alessandro lodavano l’inganno
Che mal potuto avendolo per forza,
Per astuzia gli avea data la morte.
E infra questa allegrezza a Priamo giunse
Un messo, che venia fin dalla Misia,
Euripilo figliuolo di Telèfo,
Guidando a Troja esercito famoso,
Che pria co’ doni suoi invano aveva
Indotto Priamo, ed or pel matrimonio
Di Cassandra venia; e tra suoi doni
Uno assai bello ne recava, ed era
Un’ aurea vite di fattura egregia:
Quest’Euripilo dunque dalla Misia
Con sì famoso esercito venuto
La smarrita speranza alli Trojani
Rinascer fe’ negli avviliti petti;
Onde lieti in riceverlo gli fanno
Tutti gli onori al beneficio eguali.
D’Achille intanto avean l’ossa raccolte
I Greci, e poste in fondo a un’urna istessa
Di Patroclo coll’ossa, e seppellire
Le fero nel Sigèo: e impose Ajace
Del luogo agli abitanti ergere tosto
Un superbo sepolcro, avendo loro
Una somma pagata uguale all’uopo
Crucciandosi coi Greci, i quali o poco,
O nulla si dolean della sua morte,
Venne allor Pirro, il qual Neottolemo
Era detto, cioè, novel soldato,
Figlio d’Achille, e di Deidamìa,
E trovò, che del Padre era sul fine
Già l’opra sepolcrale, e la di lui
Morte avendo ascoltato, i Mirmidoni,
Gente assai bellicosa, a se chiamati;
Confortolli, e gl’impose aver speranza
Di vendicar del dilor Duce il sangue.
Diede a Fenice il compiere la tomba
In onore del Padre, ed alle navi
Nel padiglione suo poi ritirossi,
Ove trovò, che Ippodamìa tenea
Custodia de’ di lui paterni averi:
E udito il suo venir dai capitani,
Che ognun per consolarlo a lui ne venne,
E per pregarlo, acciò pace si desse,
A cui con tutta affabiltà rispose,
Ch’ei sapea molto ben, che ciocchè Dio
Di noi dispone, tollerar conviene
Con animo costante, e che a nissuno
Lice viver dippiù, che il suo destino
Ha prescritto di lui; e che sconviene
Vecchiaja ai forti, e per la guerra nati,
Come ai deboli siede, ed alli vili,
E che si consolava in ciò soltanto,
Che il Padre suo non già coll’armi in mano
Nel conflitto era morto, essendo quegli
D’ogn’uom più forte, Ercole eccetto solo,
E che solo suo Padre era l’uom degno,
Sotto la man di cui Troja cadesse;
Ma non perciò (soggiunse) io del mio Padre
Non supplirò alle veci, e in compagnia
Degli altri Duci un dì cadrà pur Troja.
Ciò detto, si conchiuse il dì seguente
Uscire alla battaglia, e tutt’i Duci
Quando parve lor tempo, e ‘1 lor costume
Seguendo, al padiglion d’Agamennòne
Andaro a cena, e v’intervenne Ajace,
Neottolemo, Diomede, e Menelao,
Che messi della mensa al luogo istesso
Nel mangiare narravano d’Achille
Molti fatti notevoli al figliuolo,
E ne facean ricordo a solo oggetto
Di predicar le sue paterne lodi,
Dal cui racconto acceso il cor di Pirro,
Disse, ch’ei pur faria tutti gli sforzi,
Per esser degno figlio a un tanto Padre:
Indi tolte, le mense, e terminato
Il discorso, ciascun ritorna al suo
Padiglione a dormir. All’apparire
Del dì co’ suoi dal suo steccato usciva
Ben presto, Pirro, allorchè a lui d’avanti
Si fe’ Diomede, Ulisse, e salutati
L’un gli altri, dimandò del lor venire
Qual fosse la cagione, a cui li Duci
Risposero, ch’essendo ei dal viaggio,
Debole ancor, ed i soldati stanchi,
Convenia ristorarsi, e ripigliare
Le spente forze pria d’andare a guerra;
E così per consiglio di quei due
Riposare due giorni, i quai passati,
Tutti di Grecia i Re, tutti li Duci,
Ordinato 1’esercito, lasciaro
Gli steccati, ed usarono a battaglia,
Era nel mezzo Neottolemo, e i suoi
Mirmidoni, ed Ajace accanto a lui,
Perché l’era parente, e come figlio
L’amava, e ‘1 rispettava. Alli Trojani
Come sceman le forze, ed i soccorsi,
Manca la speme, ed il timor s’avanza,
E maggiormente che novello Duce
Di memorevol nome è giunto ai Greci,
E con truppe di sangue ancor digiuno:
Pur tuttavia Euripelo conforta
Lor animi smarriti, e li dispone
A prender l’armi, e a se d’accordo avendo
Le sue squadre, ei guidò miste alle schiere
Delli Trojani; e allor soltanto Enea
Dalla pugna si astenne, avendo onore
Dell’empia scelleraggine commessa
Per Alessandro nell’ istesso Tempio
D’A polline Timbrèo sacro alle genti;
Imperciocchè del Dio ai sacrificj
Vi presedeva Enea. Usciti intanto,
Si azzuffano le armate, e arditamente
Si combatte dall’una, e l’altra parte,
E ne muojon da entrambe: incontra Euripilo
Peneléo, e coll’asta il gitta a terra;
Fatto per ciò più coraggioso, assale
Nenèo, e l’uccide, e fatto un gran macello
Di quei, che gli van dianzi, in mezzo vola
Ove Neottolemo occupa il centro,
E vedutolo appena a se vicino,
Che il rovesciò dal carro, e tosto scese
Dal carro anch’egli, e dopo pochi istanti
Mal Euripilo i colpi sostenendo
Dell’accanito giovane, fu ucciso,
E preso il corpo, fu folto condurre
Alle navi, del che come avvisati
Si furono i Trojani, ed ogni loro
Speranza stava nell’estinto Duce,
Abbandonati gli ordini, e le guide
Precipitosa, ed atterrita fuga
Li chiuse in la Città; dopochè uccisi
Molti ne furo nel fuggire istesso:
E poichè i Greci volsero i nimici
A ignobil fuga, e biasimevol tanto,
Ritornaro alle navi, e preso il corpo
D’Euripilo, a comun consiglio al foco
Fu dato, e chiuse l’ossa entro d’un’urna,
Furo mandate al Padre, essendo i Greci
Memori ancor de, beneficj, suoi,
Della grata accoglienza in Misia avuta;
E separatamente arsi sul rogo
Fu Nereo, e Penelèo dai loro amici,
E l’esequie onorate a ognun dovute
Ebbe ciascun secondo il proprio rango.
Seppero i Greci nel seguente giorno,
(E Crise gli recò questa novella)
Che nel suo Tempio si tenea nascosto
Eleno, il qual mal più soffrir potendo
L’enorme scelleraggine infinita
D’Alessandro, che aveva ucciso Achille
Sotto gli occhi d’Apollo, ed in quel tempio
Sacro alli Numi, e agli uomini tremendo,
Da Troja, e dai Trojani era fuggito,
E più da suo fratello: e corso tosto
Ulisse, e Diomede, egli a costoro
Si diè, ma li pregò, che a lui concessa
Fosse parte del Regno, ove la vita
Separata dagli altri e’ si passasse,
E da Priamo, e dal resto de’ fratelli:
Quindi scorto alle navi, ed in consiglio
Venuto, disse, che timor di morte
Il Re suo Padre, e la sua cara Patria
Non gli facea lasciare, e che soltanto
Per spavento, e timor fuggia de’ Numi,
Ch’egli, ed Enea più non potean soffrire,
Ch’Alessandro violasse ai Dei lor tempj;
E ch’Enea stesso per timor de’ Greci
Appo Antenore stava, e ‘l vecchio Padre,
Da cui saputo avea, ch’era imminente
La rovina di Troja, onde spedito
L’avea, perdono ad impetrar. Li nostri
Desiosi saper per quai segreti
S’erano i Dei comunicati ad esso,
Crise al cenno comprese, e fe’ tacere
Eleno, e seco trasportollo altrove.
Stando soli, e da quello interrogato,
Rispose a tutto, e disvelò gli arcani,
Per cui Troja reggeva, e questi tutti
Furo da Crise rapportati ai Greci,
Aggiungendo per fin, ch’era prescritto
II tempo, che dovea Troja cadere;
E che seguir dovea questo per mano
D’Antenore, e d’Enea. Allora i Greci
Si ricordaro, che Calcante avea
Detto lo stesso, e che si convenia
Con quanto era accaduto insino allora.
Dopo di ciò nel dì seguente usciro
Gli eserciti alla pugna, e nel conflitto
Fu fatta de’ Trojani una gran strage,
Ma la morte mietè più de’ compagni
Che delli cittadini. Istando i nostri
Con ardore maggior, e desiando
Dar fine a tanta guerra, e sì funesta,
Fu dato il segno, e fu disposto allora,
Che un capitano incontro all’altro andasse.
Fu Filottete il primo a farsi innanti,
Ed Alessandro provocò alla pugna
Colle saette, in cui fur destri entrambi;
Dall’altra parte poi Deifèbo, e Ulisse
Definirono il campo. A saettare
Alessandro fu il primo, e la sua freccia
Volò, ma invan; poi saettando appresso
Filottete, ferillo in una mano,
E mentre ch’egli pel doler ne grida,
L’altra freccia il privò dell’occhio destro,
E postosi a fuggire, il terzo strale
Passogli un piè, e poi l’uccise in fine,
Perciocchè Filottete le saette
D’Ercole avea, che comechè nel sangue
Intinte eran dell’Idra, a certa morte
Mandavano colui, ch’era ferito.
Ciò veduto dai Barbari, si fanno
Con grand’impeto avanti, acciocchè il loro
Liberassero Duce, e Filottete
Molti ne uccide, ed impedir non puole,
Ch’Alessandro non sia di là portato
Alla città. De’ Barbari affollati
Per la fuga alle porte il Telamonio
Ajace fa gran strage, ove i nimici
Per la stretta d’entrar, s’urtan tra loro,
E più studiando alcun d’essere il primo
Ad entrar, più l’entrata a se impediva,
Più l’entrata turbava, e la rendeva
Difficile, ed esposta ai colpi altrui,
Quei, che al fuggir più pronti, e i primi furo
A prendere la porta, in sulle mura
Tosto salir, e li raccolti sassi
Gittavano d’Ajace in sullo scudo,
Per tener lungi sì fatal nimico;
Ma nulla il duce si smuoveva ai sassi,
E proseguia la scalinata, avendo
Filottete alle spalle, il qual coi dardi
Molti uccidea di quei, che dai ripari
Combattevano, e molti ancor de’ Greci
Gagliardamente sostenean l’impresa:
E quel dì forse per le nostre mani
Saria Troja caduta, e terminata
La guerra si saria, se l’imminente
Notte, che sopravvenne, ai nostri l’opra
Di proseguir vietato non avesse;
Onde costretti a ripigliar le navi
Lieto ciascun delli sofferti affanni
Si ristora col vino, e colli cibi,
E Filottete a somme lodi eleva
Per gli fatti del dì degni d’onore;
Neottolemo frattanto avendo avuta
Vendetta di colui, che il Padre uccise,
All’apparir del dì sopra il sepolcro
Andò del Padre, e insiemi con lui Fenice
Coi Mirmidoni pianse, e vi depose
I capelli, e passovvi ivi la notte.
In quel medesmo tempo li figliuoli
D’Antimaco, di cui sopra dicemmo,
Vann’Eleno a pregar, che in grazia torni
Co’ suoi, ma le preghiere essendo vane,
Mentre a casa ritornano, per strada
Li coglie Ajace, e ‘l capitan Diomede;
Presi, alle navi son condotti, e a dire
Costretti chi mai fossero, e per quale
Commissione usciti; essi fan tutto
Noto alli Greci, allor del Padre loro
Si ricorda ciascun, che andò legato
La prima volta a Troja, e la seconda,
Ciocchè disse, e che fece, e al popol dati,
Al cospetto de’ Barbari coi sassi
Fur stritolati, e messi a cruda morte.
Si disse, che saputosi da Enone,
(Che fu consorte d’Alessandro prima,
Ch’Elena avesse a Menelao rapita)
Che del marito si bruciava il corpo,
Ed a vederlo corsa, in tal maniera
Perdè sua mente, e istupidì pel duolo,
Che la vita mancolle, e cadde estinta,
Arsa sul rogo d’Alessandro istesso,
E seco lui ebbe comun la tomba.
Ma crescendo de’ Greci ognor l’ardire,
E scemando il coraggio alli Trojani,
Perchè privi di forze, e ponno appena
Più difender le mura, ove i nimici
Di giorno in giorno a incrudelir sen vanno
Contro chi le difende, ed ogni speme
Omai mancando alla comun difesa;
I principali cittadin di Troja
Fanno sedizion contro di Priamo,
E delli figli suoi, e con Enea
Convengono, ed Antenore, ed i figli,
Ch’Elena a Menelao fosse condotta,
Con tutto ciò, che avea seco portato.
Ciocchè saputo appen Deifèbo avendo,
Pres’Elena per moglie: entrato poi
Priamo in consiglio a riprodur la calma
Nella città sommossa, Enea perduto
Ogni ritegno, il caricò di biasmo.
Quindi a comun parer il Re prescrisse,
Che per finir la guerra ai Greci andasse
Antenore a trattar. Ei dalle mura
Mostrò alli Greci di legato i segni,
E partito co’ suoi, venne alle navi;
Ove benignamente ricevuto
E salutato fu da tutti i Duci,
Che gran gli fero testimonio appresso
I Greci della fè, dell’onestate,
Che i legati trattò: e come avea
Egli co’ suoi consigli, e coll’ajuto
De’ figli suoi dalle Trojane insidie
Menelao liberato, onde caduta
La città, promettevangli, che grati
Gli sarebbono, e ch’egli disponesse
Ciocch’utile alli Greci esser potria
Contro ai Trojani infidi. Allora ei disse
Con lunga orazion, che i patrj Prenci
Per gli pessimi lor empj consigli
Sempre invisi alli Dei furono sempre
Della collera lor degni soggetti:
E allora ricordò Laomedonte
Per l’ingiuria notevole commessa
Contr’Ercole, ed i mali a quel reame
Per sua colpa inferiti. Era fanciullo,
Ed innocente allor Priamo, che ai prieghi
D’Esiona sorella ottenne il Regno:
E comechè di senno era allor privo,
Così tutti offendea; sangue, ed ingiurie
Erano l’ armi sue, empio, importuno,
E vago dell’altrui. Su questo esempio
Come tocchi da peste i figli suoi
Crebbero ancor, nè a cosa sacra, o umana
Perdonaro giammai: e ch’ egli poi
Nato con Priamo dal legnaggio istesso,
Essendo ai Greci amico, era da lui
Sempre stato discorde, è differente;
Ch’Esiona di Danao figliuola
Elettra generò, dalla qual nacque
Dardano, che per moglie avendo presa
Di Teucro la figliuola, in luce diede
Erittonèo, da cui Troe si nacque;
Ilo da lui, Ganimede, e Cleonestra,
Non che Assaraco, il qual fu a Capis Padre,
E da cui nacque Anchise: Ilo di poi
Fece Titono, e fe’ Laomedonte,
Di cui Icetaone, e Clicio Tenne,
Venne Timero ancor, Ducalione,
E Priamo infine: e poi Cleonestra diede
Alla luce Lierso: e che sprezzando
Priamo del sangue ogni rapporto, e legge,
Era stato arrogante incontro ai suoi.
Patto fine al suo dir, chiese, ch’essendo
Messo venuto per la pace, alcuni
Destinassero, a cui i sensi suoi
Potesse disvelar. Furono eletti
Diomede, Agamennon, Idomenèo,
Ed Ulisse, da’ quali, inscii poi gli altri,
Fu sì disposto il tradimento, e ordito.
Si stabilì, ch’Enea, s’esser fedele
Volesse ai Greci, avria parte alla preda:
E che la casa sua saria servata;
Che Antenore otterria di tutt’i beni
Di Priamo la metà, e che quel Regno
Avria de’ figli suoi quello, che, lui
Eleggere piacesse. Ed accettate
Queste condizioni, alla cittate
Volse il piè per narrare alli Trojani
Tutt’altro, che le concertate cose
Coi Greci, e per dir loro, che a Minerva
I Greci preparavano de’ doni,
E che il desio comun era tornare
Quanto più presto alla lor Patria, appena
Elena ricevuta, e i suoi tesori.
Così tutto disposto, ed ordinato,
Tolto Taltibio Antenore, per dare
Un aspetto di vero alla mentita
Legazione, ei fe’ ritorno a Troja