I libri


Testo

DITTI CRETESE

LA ROVINA DI TROJA
Libro VI°

Posciachè i Greci, cariche le navi
Di quanto loro avea la lunga guerra
Guadagnato, alfin sciolsero dal lido,
IN pochi dì con favorevol vento
giunsero al mare Egèo, ove ai disagi
Della tempesta, e delli nembi esposti
Si divisero, e ognun per quel cammino
Corse, che il mar prescrisse, ovver la sorte,
E fra gli altri l’armata de’ Locresi
Dopo che fu dai flutti imperversati
Agitata, e sconvolta, e i marinari
Smarriti tutti, alfin restò bruciata
Da un fulmine del Ciel: e benchè Ajace
De’ Locri Re tutta la notte avesse
Nuotato per salvarsi in compagnia
D’altri Locresi, pur quando fu giunto
All’Isola d’Eubea, morì cogli altri
Negli scogli Cheradi; avendo Nauplio
Vago di vendicar di Palamede
L’ingiusta morte, con fanali accesi,
Come se al porto, in quelli scogli appunto
Trascinati a venir naufraghi i Greci,
Ed in quel tempo ancor saputo Eace
Di Nauplio figliuol, che nella Patria
Tornavano li Greci, ad Argo andonne,
E mosse Clitennestra, ed Egiale
In furor, che i mariti alle lor case
Altre mogli menavano più care,
Ch’esse, e più belle, e tutte l’altre cose
Aggiunse, ch’eccitar ponno le mogli
A geloso furor: fè, ch’ Egiale,
Soccorrendola i sudditi, cacciasse
D’Argo Diomede, allorchè ei ne veniva;
Clitennestra di poi col drudo Egisto,
Ordinate le insidie, Agamennòne
Pose a morte, e all’adultero sposata,
Partorì di costui quindi Erigone.
Taltibio intanto dalle man d’Egisto
Tratto Oreste figliuol d’Agamennòne,
A Idomenèo, che allor era in Corinto
Il condusse: raccolto ivi Diomede
S’era cacciato dal suo regno, ed ivi
Teucro figliuol di Telamon del pari,
Che il padre anche cacciò da Salamina,
Perchè il fratello con inganno ucciso
Difeso non avea, nè vendicato.
Nestèo con Etra, intanto, e con Climena
Figlia di lei fu dagli Ateniesi
Ricevuta, nel mentre che di fuori
La Citta stette Demofonte, e Acamo,
Ma insiem raccolti quelli, che campati
Eran dalla tempesta, ed in Corinto
Avutosi un consiglio, a forze unite
Fu risoluto, che ne’ proprj regni
Fosse per forza ognun restituito;
Ma Nestore si oppose, e volle prima,
Che delli Cittadini esaminato
L’animo fosse, che non convenia
La Grecia rovinar colle intestine
Civili guerre; ed indi a poco seppe
Diomede, che l’Etolia era vessata
Da quei, che per sua assenza il regno suo
Governavano, e andò; fatto macello
Degli autori de’ torti a lui recati,
I vicini atterrì, e dalli suoi
Fu così ricevuto, e rispettato.
E per Grecia di ciò sparsa la voce,
Tutti accettare i di lor Re, vedendo,
Che non avean poter sufficiente
A resistere a quei, ch’aveano vinta
La trojana potenza. E così noi
Col nostro Idomenèo tornammo in Candia,
Ove con allegria de’ Cittadini
Femmo in Città un trionfal ritorno.
Quando parve ad Oreste esser già uomo,
Varcato il voto di sua fanciullezza,
Chiese da Idomenèo, che gli accordasse
Alquanti delli suoi, per iscortarlo
Fino ad Atene, ove passar voleva,
E raccolto un buon numero di quei,
Ch’atti al bisogno gli sembraro, in fine
Giunse ad Atene, ed un soccorso chiese
Contro Egisto da quelli Ateniesi:
All’oracolo quindi egli portossi,
E ‘1 consultò che far dovesse mai,
Per ottener il suo paterno regno;
E riportò dal Dio questa risposta;
Che uccidere dovea la Madre, Egisto,
Per ottenere il regno: Oreste avuta
Questa risposta, e incoraggito, venne
Co’ suoi sudditi a Strofo; egli è il focense,
La cui figlia d’Egisto era consorte,
Che avea ripudiata, acciò sposasse
Clitennestra, e per ciò contro di lui
Era Strofo adirato, e dielli ajuto:
Così accolto UN esercito ben grande,
Egli venne a Micene, e stando Egisto
Fuori della Città, pria danno a morte
Clitennestra, e quei tutti, che il coraggio
Di resister mostraro, e quindi, inteso,
Ch’Egisto sen venìa, fattogli agguato,
Lo assalgono, e lo danno a giusta morte,
Nacque di poi un gran tumulto in Argo,
E diviso in partito il popol tutto
Sette fazioni si contavan surte.
Menelao, che in quel tempo era arrivato
In Candia, seppe tutto ciò, che occorso
Era d’Agamennone, e del suo regno:
Saputo intanto all’Isola l’arrivo
Di Menelao, ed Elena sua moglie,
Tutto il Popol s’accolse, e delle Donne
Gran quantità, desiando ognun vedere
Quella donna, la qual di tanta guerra
Era stata soggetto al Mondo intero:
Ivi da Menelao si seppe allora,
Che di sua Patria Teucro discacciato,
Aveva un’altra Salamina in Cipro
Edificato, e che molte vedute
Ammirabili cose avea in Egitto,
E come edificato avea un sepolcro
A Canòpo, il pilota dell’armata,
Che morso da un serpente ivi era morto.
Quando gli parve tempo, indi a Micene
Navigò, disponendo incontro Oreste
Un’armata, ma il Popolo concorde
Oreste favoria, per cui l’impresa
Proseguita non fu; ma piacque a tutti,
Che Oreste, per aver la Madre uccisa,
Difender della Grecia si dovesse
Innanzi al tribunale il più severo,
Ch’era quello d’Atene, e si chiamava
L’Areopago; e trattata una tal causa
Innanzi a questi giudici supremi,
Assolto venne il matricida Oreste,
Ed Erigona allor figlia d’Egisto,
Inteso, che il fratello era assoluto,
S’appiccò pel dolore; e Menestèo
Quandocchè vide liberato Oreste
Dalla colpa d’aver sua Madre uccisa,
Tosto il fece purgar, giusta il costume
Della Patria, gli diè tutt’i rimedi
Atti il passato fallo ad obliare,
Ed a Micene rimandato, il regno
Tolse del Padre suo: e poco dopo
In Candia richiamollo Idomenèo,
E Menelao dolendosi di lui,
Che contro il zio disposte aveva insidie,
Idomenèo interposto, all’amicizia
Li ricondusse, e insiem conciliati
Andaro a Lacedemone d’unita,
Ove secondo il suo disegno il zio
Diede per moglie al suo nipote Oreste
Ermione sua figlia a lui diletta.
Ulisse allor dalla Fenicia prese
Due navi a prezzo, e navigò per Candia,
Perciocchè avea tutte le sue perdute
Navi, che in Troja aveva, e ciò per opra
Di Telamone, il qual gli era nimico
Per la morte del figlio, ed esso appena
S’era salvato coll’industria sua,
Quindi lo domandò Idomenèo,
Come avess’egli sostenute tante
Miserie tra gli error de’ suoi viaggi,
E Ulisse incominciò, narrando come
Fosse a Zimiaro pervenuto, e come
Combattendo acquistò grandi bottini,
E come indi partito egli pervenne
Ai Lottofagi, e poi dopo di molte
Altre disgrazie penetrò in Sicilia,
Ove da Lestrigone, e dal Ciclope,
Ch’eran fratelli, sopportò più mali,
Come infin Polifemo, ed Antifate
Più compagni gli tolse: E per pietate
Di Polifemo divenuto amico:
Come Arene rapì figlia del rege,
Che d’un compagno suo s’era invaghita,
Ch’Elpenore avea nome; il che saputo
Il Padre, che arrivò, fugli per forza
La giovane ritolta, ed ei cacciato
Per l’Isole d’Eolo, indi vagando,
A Circe venne, ed indi a Calipsone,
Che dell’Isole, dove avean dimora
Amb’erano regine, e con delizie
Nuove, ed altrove inver non usitate
Trar si sapean de’ forestieri il core,
Per farsi amare assai potentemente;
E come liberato anche da questi
Difficili ligami a un luogo venne,
Ove dopo d’alcuni sacrificj
S’ascolta dalli morti ogni avvenire;
Come di là pervenne a quegli scogli
Colti dalle sirene, e per sua industria
Come da quei campò; come alla fine
Tra Scilla venne, e tra Cariddi, dove
Bolle, ed assorbe il periglioso mare,
Onde perdè molti compagni, e navi,
E col resto di cui cadde in potere
De’ Fenici, che rubbano per l’onde,
Coi quali si battè, ma fu salvato
Solo per lor pietà, non suo valore.
Prese dal nostro Re dunque due navi,
Come chiesto gli avea, e avuto in dono
Molta preda partì, drizzando il corso
Ad Alcinoo Re delli Feachi:
Ivi benignamente ricevuto
Pel suo celebre nome, e molti giorni
Lietamente passati, a sua notizia
Venne, ch’era Penelope bramata
In moglie da trent’uomini famosi,
E di luoghi diversi: erano alcuni
Di Zacinto, ed alcun dell’Eschinade,
Di Leucadia alcun’altri, e i suoi ne avea
Itaca pretensori, onde coi prieghi
Mosse quel Re, perchè co’ suoi venisse
Anch’egli a vendicarlo, ed ivi essendo
Arrivati di subito, nascosto
Si stiede Ulisse, e fe’ segretamente
Telemaco avvisar di quel, che in mente
Egli volgea, e preparato il piano,
Uccidon tutti quei signori oppressi
Da troppo vino, e dalla lauta mensa:
Indi sparsa tra il popolo la voce,
Ch’era venuto Ulisse, a comun voto
Fa ricevuto, e con piacer comune.
Indi quanto nel regno era accaduto
Intese, e castigati i delinquenti,
Diede a color, cui la giustizia il chiese,
Premio, e mercè della di lor condotta;
Nè gran tempo passò, che ai prieghi suoi
Alcinoo diè Nausica sua figlia
A Telemaco in moglie, ed a quel tempo
Idomenèo morì, lasciando Creta
A Merione, ed a Lacerta eredi;
Ed il terz’anno si morì, che il figlio
Avea fatto ritorno alla sua Patria.
Nausica intanto partorì un figliuolo
A Telemaco, al qual fe’ Ulisse dare
Di Ptoliporto il nome. E mentre accade
Questo in Itaca, fa Neottolemo
Tra Molossi le navi accomodare,
Che la tempesta avea sì malmenate,
Ed inteso, che Peleo era cacciato
Dal suo Regno da Acasto, e desiando
Farne vendetta, ei pria mandò a spiare
Crisippo, e Arato suoi fedeli amici
Ivi non conosciuti; e questi tutto
Quello, che Acasto meditava in mente
Seppero da Alessandro a Peleo amico
Il qual fuggendo dal crudel tiranno
Le iniquità, di Peleo erane andato
Nella terra, e di Peleo, e della casa
N’era esperto abbastanza, e fra dell’altre
Cose sapea l’origine sincera
Delle nozze di Peleo, e di Tetide
Figlia a Chirone, e ciocchè in quel convito
Accadde, disse a Arato, ed a Crisippo.
In queste nozze molti Re vicini
Invitati vi furo, e tra le mense
Con molte lodi fu qual Dea la sposa
Celebrata, chiamando ora Chirone
Nereo, e Tetide a Nereo figliuola,
Ed un de’ re, ch’assai valea ne’ versi
Detto fu Apollo, e Libero di poi
Altri, che ben bevea, è a tutti un nome
Dato d’un DIO, e fur quelle Matrone
Muse appellate; avvenne infìn d’allora
Che quel fu detto delli Dei il convito.
Avendo dunque quelle spie inteso
Quanto fea di mestieri, al Re ne andaro,
E di quel, che sapean, gli danno avviso:
Neottolèmo allor, benchè sia il mare
Mal atto a navigar, e benchè molti
Il distolgano, pur egli apparecchia
L’armata, entro vi salta, e scioglie alfine.
Ma l’asprezza del verno, e ‘1 mar turbato
Urtollo al lido, che dai scogli ha nome,
E detto è Sepiano, ove le navi
Quasi tutte vi perse, ed egli appena
Con quelli si salvò, ch’erano seco.
Ivi Peleo trovò ch’era nascosto
Dentro d’una spelonca, ove credeva
Quel miserabil vecchio esser sicuro
Dall’insidie d’Acasto empio tiranno;
E sol bramoso di saper novelle
Dell’amato nipote, ad ogni nave,
Che vedeva approdar, chiedea saperne:
Ed avendo da lui Pirro saputo
Tutto il successo del suo regno, allora
Assalirlo risolse; in questo mentre
Seppe, che Menelippo, e che Plistine
Figli al tiranno avevano in quei luoghi
Venuti a caccia, si mutò di veste,
E fingendosi Locro, ai giovanetti
Si presenta, e di lui medesmo narra
La simulata morte; una più grata
Novella non potendo ad essi dare,
Onde lieti seguiro insiem con lui
L’incominciata caccia, e quando Pirro
Vide, che Menalippo era lontano
Alquanto dal fratello, egli l’uccise,
E inseguendo Plistin, fe’ ancor lo stesso;
Ma venendo a cercarli un di lor servo
Cirma chiamato, e lor molto fedele,
Incontrossi con Pirro, il qual gli chiese
Ove si fosse Acasto; e risaputo,
Ch’era vicin, l’uccise, e in frigia veste
Indi Pirro si avvolse, e se fingendo
Quel Nestore figliuol del Re Trojano,
Ch’ era colà prigione, al Re ne venne,
E dielli avviso, che Neottolemo
Stanco dal navigar se ne dormiva
Non molto lungi in sen d’una spelonca,
Onde lieto a tal nuova, ed ansioso
Di dare a morte il suo nemico, ei corre;
Ma innanzi alla spelonca incontra Teti,
Ch’ivi Peleo a trovar era venuta,
E da questa sapendo allora Acasto
Qual era il suo destin, vietogli entrare,
Indi rimproveratolo di quanto
Ei fatto avea contro la sua famiglia
Pregò il nipote, acciò gli perdonasse,
Nè col sangue di lui voglia compire
La vendetta de’ torti ricevuti
Dall’Avo suo; ed ei per compiacerla
La vita gli lasciò, e in cambio Acasto
Spontaneamente gli cedette il regno,
E tutt’insieme Acasto, e Peleo, e Pirro,
E Tetide con quei, che seco loro
Avevano mangiato, alla Cittate
Ne vennero, e da tutti ricevuti
Furo benignamente, e in breve tempo
Neottolemo fu da tutti amato.
E queste cose udii dalla sua bocca,
Quand’egli mi chiamò alle sue nozze
Con Ermione e Menelao figliuola.
Anche da lui delle reliquie intesi
Di Mennone, di cui l’ossa fur date
In Pafo a quei, che insieme con Palante
Capitan di Mennone eran venuti
Per mare a Troja, e ucciso il capitano,
E rapita la preda, ivi fermati
S’avevano: E che Imera (ad altri piace
Chiamarla Imene dalla Patria sua)
Che di Mennon era sorella, er’ ita
Ivi a cercar del suo fratello il corpo;
Posciacchè l’ossa ritrovò; e intese
Della preda di Mennone rapita,
L’une, e l’altra volendo, alle preghiere
De’ Fenici, di cui ve n’eran molti
Nell’esercito, elesse del fratello
L’ossa piuttosto, e l’urna ricevuta,
Per Fenicia partì; ma che arrivata
A Felone sua Patria, ed al sepolcro
Dato avendo il Fratello, ella disparve.
Donde nacquero allora tre diverse
Opinioni, o che colla sua Madre
Imera andasse al tramontar del sole,
O che pel duol del suo fratello estinto
Da un’alta rupe in giù precipitasse,
O che alla fin da quelli abitatori,
Rapito quello, che portato avea,
Uccisa fosse: e tutte queste cose,
Che ho scritto di Mennone, e la sorella,
Anche da Neottolèmo io aveva inteso.
Nel second’anno andato io essendo a Candia
Fui per pubblico ufficio incaricato
Di consultar con altri due l’oracolo,
Onde ottener rimedio a un grave male,
Che ci venia dalle locuste in tanta
Copia sparse ne’campi, ed in cittate,
Che ai frutti dean il più terribil guasto:
E dopo varj prieghi, alfin risposto
Ci fu, che gli animali in picciol tempo
Per ajuto divin sarian distrutti,
E l’Isola di nuovo al suo ridente
Stato ritorneria dell’abbondanza,
E di frutta, e di biade, e d’ogni cosa.
E vaghi di partir, ci fu vietato
Da quei, ch’eran in Delfo, e la ragione
Era, che il mar già fatto periglioso,
Naufragio minacciava; Isséo, Licofio
Che meco eran venuti, un tale avviso
Sprezzando, saltan nella nave, e in mezzo
Del cammin tocchi dal fulmineo foco
Moriro, e le locuste anche sommerse
Furo nel mar per lo continuo scoppio
De’ fulmini, e cosi delli suoi frutti
Tornò l’Isola nostra all’abbondanza.
A quell’istesso tempo in Delfo venne
Pirro a render sue grazie al Nume Apollo
Del matrimonio, che contratto aveva
Colla bella Ermione, e che vendetta
Dell’empio autor della paterna morte,
D’Alessandro, cioè, fè Filottete,
E in questo mentre avea lasciato in casa
Andromaca, e ‘l figliuol Laodamante,
Che sol de’ figli d’Ettore vivea;
Ermione partito il suo consorte,
Vinta dal duol, che non potea soffrire
La meretrice prigioniera in casa;
Fè venire suo Padre Menelao,
E seco querelandosi del torto,
Che le fea suo marito, il qual prezzava
Più di lei una serva, il persuase,
Che d’Ettorre il figliuol ei l’uccidesse:
Andromaca avvisata, aita chiese
Al Popolo, che avendo a molto sdegno
La crudeltà di lui, e pietà molta
Della di lei disgrazia, all’armi corse,
Malmenò Menelao, e si rimase
per poco dal versar il di lui sangue,
Andromaca così fu liberata
Dal rischio, in cui vid’ella il suo figliuolo.
Viene fratanto Oreste, e’1 tutto intende,
E Menelao conforta, acciò ad effetto
Mandi il disegno della sua figliuola,
Poichè spiacendo a Oreste essersi data
Ermione a Pirro, egli nel suo venire
Disposte avea le insidie, e mandò pria
I suoi fedeli a far spiare in Delfo
Del venire di Pirro, e ciò saputo
Menelao, che del fatto esser autore
Non volea, ritornò subito a Sparta:
E non credendo Oreste alle sue spie,
Voll’Egli stesso di persona andarvi,
Ed il vero trovato, il dì seguente
Sen ritornò, senza veruno effetto.
Ma guari non passò che la novella
Venne, che Pirro fosse stato ucciso,
E come ognun dicea pubblicamente,
Per le insidie d’Oreste, il qual di poi
Tolta Ermione a lui prima già sposa,
A Micene tornò: Peleo frattanto
Con Tetide saputa del nipote
La morte, vanno a ricercarlo in Delfo,
E ‘1 trovano sepolto, e fatte a lui,
Giusta il costume, le dovute esequie,
Odon, che al loco, in cui Pirro fu ucciso,
Non era stato mai veduto Oreste;
Ma nissuno il credè, tant’era certa
L’opinion, che fu quei l’omicida,
Ma poichè Teti vide, che passata
Era ad Oreste Ermione per sposa,
E ch’Andromaca il sen gravido avea
Del morto Pirro, i suoi Molossi in casa
Tosto spedì ad Oreste, ed alla moglie,
Vietando, che il bambin non nato ancora
Non si fosse nel sen materno ucciso.
In quel tempo medesimo dai spessi
Infausti augurj, e suoi molesti sogni
Ulisse spaventato, avea da molti
Luoghi fatto venir uomini esperti
A indovinar i sogni, e a questi espose,
Che spesso gli parea chiaro vedere
Sorger innanzi, e nascer dall’istesso
Luogo un’immago tra divina, e umana,
Che volendo abbracciar, e a lei porgendo
La man, 1’era con tuono uman risposto,
Che tal congiunzione era malvagia,
Perchè del sangue, e dell’origin stessa,
E che uno per opera dell’altro
A rovina n’andrebbe, e desiando
La cagion di saperne, un certo segno
Gli appariva dal mar, e d’ordin suo
Contro se si gittava, e l’un dall’altro
Ne restava diviso. A tutti parve
Gl’interpreti del sogno, e ad una voce
Dissero tutti, che d’un gran periglio
Parlava il sogno, e che guardarsi bene
Dalle insidie del figlio ei si dovesse.
Così reso Telemaco sospetto
Al Padre suo, con suo dolor lontano
Da lui n’andò, e di Cefalonia
Ne’ campi confinato intorno avea
Vigilanti custodi; e non per questo
Ulisse aveva più tranquilli i sogni,
Benchè cangiasse ognor luogo, e dimora.
Il giovin Telefono, il qual da Circe
Era nato ad Ulisse, avea negli anni
Già cresciuto nell’Isola di Eea,
E desioso di vedere il Padre
Venne in Itaca allor, portando in mano
Un’asta, alla cui punta eravi un osso
Di tortora marina, il quale un segno
Dell’Isol’era, dov’er’egli nato
; E fermatosi d’Itaca alle coste,
Volle sbarcar, per ritrovarvi il Padre,
Ma sospetto alle guardie il passo innanti
Fu impedito a portar, a lui l’entrata
Vietando alla Città; ed egli istando,
Fu per forza cacciato; ed ei gridando
Essere indegnità vietarsi andare
Dal Padre suo; credendo allor, che avesse
Certo il disegno di ammazzare Ulisse,
Maggior gli fero resistenza intera;
Che non sapean color, che Ulisse avea
Quest’altro figlio, il qual poichè si vide
Cacciar per forza, dal dolor commosso
Molti ne uccide, e ne ferisce molti;
Locchè saputo il Re, e sospettando
Che quello da Telemaco veniva,
Venne fuori, e tirò coll’asta sua
Contro di Telegono, il quale avendo
Scanzato il colpo, la notevol lancia
Vibrò poi contro Ulisse, e per quel colpo
Cadde Ulisse trafitto, e ben contento,
Ch’altri l’avesse ucciso, e che il suo figlio
Telemaco a se caro andasse immune
Dal sospettato parricidio orrendo:
E pria di render il respiro estremo,
Chiese al giovine allor chi mai si fosse,
E quale aveva ucciso Ulisse, il figlio
Di Laerte per senno, e per valore
Così famoso, e conosciuto in guerra?
Telegono il suo Padre conosciuto,
Con amendue le man si straccia il capo,
Piange, ed urla, si affligge, e si dispera
D’aver suo Padre ucciso: Indi discuopre
Al Padre il nome suo, e della Madre,
E dell’Isola sua, ov’era nato,
E della lancia sua gli mostra infine
L’indubitata insegna: E così Ulisse
Si ricordò de’ sogni, e del suo fato
Predetto dagl’interpreti, e conobbe
Della sua vita il fin, giacché ferito
Era da un figlio suo, cui mai pensava,
E dopo il terzo dì chiuse alla luce
Gli occhi suoi carco d’anni, e ancor gagliardo.
FINE DELLA ROVINA DI TROJA DI DITTE CRETESE.