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Testo

Omero - Iliade

Libro Dodicesimo

Così dentro alle tende medicava

d'Eurìpilo la piaga il valoroso

Menezìade. Frattanto alla rinfusa

pugnan Teucri ed Achei; né scampo a questi

è più la fossa omai, né l'ampio muro

che l'armata cingea. L'avean gli Achivi

senza vittime eretto a custodire

i navigli e le prede. Edificato

dunque malgrado degli Dei, gran tempo

non durò. Finché vivo Ettore fue,

e irato Achille, e Troia in piedi, il muro

saldo si stette; ma de' Teucri estinte

l'alme più prodi, e degli Achei pur molte,

e al decim'anno Ilio distrutto, e il resto

degli Argivi tornato al patrio lido,

decretâr del gran muro la caduta

Nettunno e Apollo, l'impeto sfrenando

di quanti fiumi dalle cime idèe

si devolvono al mar, Reso, Granìco,

Rodio, Careso, Eptàporo ed Esèpo

e il divino Scamandro e Simoenta

che volge sotto l'onde agglomerati

tanti scudi, tant'elmi e tanti eroi.

Di questi rivoltò Febo le bocche

contro l'alta muraglia, e vi sospinse

nove giorni la piena. Intanto Giove,

perché più ratto l'ingoiasse il mare,

incessante piovea. Nettunno istesso

precorrea le fiumane, e col tridente

e coll'onda atterrò le fondamenta

che di travi e di sassi v'avean posto

i travagliosi Achivi; infin che tutta

al piano l'adeguò lungo la riva

dell'Ellesponto. Smantellato il muro,

fe' di quel tratto un arenoso lido,

e tornò le bell'acque al letto antico.

Di Nettunno quest'era e in un d'Apollo

l'opra futura. Ma la pugna intorno

a quel valido muro or ferve e mugge.

Cigolar delle torri odi percosse

le compàgi, e gli Achei dentro le navi

chiudonsi domi dal flagel di Giove,

e paventosi dell'ettoreo braccio,

impetuoso artefice di fuga;

perocché pari a turbine l'eroe

sempre combatte. E qual cinghiale o bieco

leon cui fanno cacciatori e cani

densa corona, di sue forze altero

volve dintorno i truci occhi, né teme

la tempesta de' dardi né la morte,

ma generoso si rigira e guarda

dove slanciarsi fra gli armati, e ovunque

urta, s'arretra degli armati il cerchio;

tal fra l'armi s'avvolge il teucro duce,

i suoi spronando a valicar la fossa.

Ma non l'ardìan gli ardenti corridori

che mettean fermi all'orlo alti nitriti,

dal varco spaventati arduo a saltarsi

e a tragittarsi: perocché dintorno

s'aprìan profondi precipizi, e il sommo

margo d'acuti pali era munito,

di che folto v'avean contro il nemico

confitto un bosco gli operosi Achei,

tal che passarvi non potean le rote

di volubile cocchio. Ma bramosi

ardean d'entrarvi e superarlo i fanti.

Fattosi innanzi allor Polidamante

ad Ettore sì disse: Ettore, e voi

duci troiani e collegati, udite.

Stolto ardire è il cacciar dentro la fossa

gli animosi cavalli. E non vedete

il difficile passo e la foresta

d'acute travi, che circonda il muro?

Di niuna guisa ai cavalier non lice

calarsi in quelle strette a far conflitto,

senza periglio di mortal ferita.

Se il Tonante in suo sdegno ha risoluta

degli Achei la ruina e il nostro scampo,

ben io vorrei che questo intervenisse

qui tosto, e che dal caro Argo lontani

perdesser tutti coll'onor la vita.

Ma se voltano fronte, e dalle navi

erompendo con impeto, nel fondo

ne stringono del fosso, allor, cred'io,

niuno in Troia di noi nunzio ritorna

salvo dal ferro de' conversi Achei.

Diam dunque effetto a un mio pensier. Sul fosso

ogni auriga rattenga i corridori,

e noi pedoni, corazzati e densi

tutti in punto seguiam l'orme d'Ettorre.

Non sosterranno il nostro urto gli Achivi,

se l'ora estrema del lor fato è giunta.

Disse; e ad Ettore piacque il saggio avviso.

Balzò dunque dal carro incontanente

tutto nell'armi, e balzâr gli altri a gara,

visto l'esempio di quel divo. Ognuno

fe' precetto all'auriga di sostarsi

co' destrieri alla fossa in ordinanza;

ed essi in cinque battaglion divisi

seguiro i duci. Andò la prima squadra

con Ettore e col buon Polidamante,

ed era questa il fiore e il maggior nerbo

de' combattenti, desïosi tutti

di spezzar l'alto muro, e su le navi

portar la pugna: terzo condottiero

li seguìa Cebrïon, messo in sua vece

alla custodia dell'ettoreo carro

altro men prode auriga. Erano i duci

della seconda Paride, Alcatòo

ed Agenorre. Della terza il divo

Dëifobo ed Elèno ed Asio, il prode

d'Irtaco figlio, cui d'Arisba a Troia

portarono e dall'onda Selleente

due destrier di gran corpo e biondo pelo.

Capitan della quarta era d'Anchise

l'egregia prole, Enea, co' due d'Antènore

pugnaci figli Archìloco e Acamante.

Degl'incliti alleati è condottiero

Sarpedonte, con Glauco e Asteropèo,

da lui compagni del comando assunti

come i più forti dopo sé, tenuto

il più forte di tutti. In ordinanza

posti i cinque drappelli, e di taurine

targhe coperti, mossero animosi

contro gli Achei, sperando entro le navi

precipitarsi alfin senza ritegno.

Mentre tutti e Troiani ed alleati

al consiglio obbedìan dell'incolpato

Polidamante, il duce Asio sol esso

lasciar né auriga né corsier non volle,

ma vêr le navi li sospinse. Insano!

Que' corsieri, quel cocchio, ond'egli esulta,

nol torranno alla morte, e dalle navi

in Ilio no nol torneran. La nera

Parca già il copre, e all'asta lo consacra

del chiaro Deucalìde Idomenèo.

Alla sinistra del naval recinto

ove carri e cavalli in gran tumulto

venìan cacciando i fuggitivi Achei,

spins'egli i suoi corsier verso la porta,

non già di sbarre assicurata e chiusa,

ma spalancata e da guerrier difesa

a scampo de' fuggenti. Il coraggioso

flagellò drittamente i corridori

a quella volta, e con acute grida

altri il seguìan, sperandosi che rotti,

senza far testa, nelle navi in salvo

precipitosi fuggirìan gli Achivi.

Stolta speranza! Custodìan la porta

due fortissimi eroi, germi animosi

de' guerrieri Lapiti. Era l'un d'essi

Polipète, figliuol di Piritòo,

l'altro il feroce Leontèo. Sublimi

stavan quivi costor, sembianti a due

eccelse querce in cima alla montagna,

che ferme e colle lunghe ampie radici

abbracciando la terra, eternamente

sostengono la piova e le procelle;

così fidati nelle man robuste,

ben lungi dal voltar per tema il tergo,

voltan anzi la fronte i due guerrieri,

d'Asio aspettando la gran furia. Ed esso

coll'Asiade Acamante, e con Oreste

e Jameno e Toone ed Enomào

sollevando gli scudi, il forte muro

van con fracasso ad assalir. Ma fermi

sull'ingresso i due prodi altrui fan core

alla difesa delle navi. Alfine

visti i Teucri avventarsi alla muraglia

d'ogni parte, e fuggir con alto grido

di spavento gli Achivi, impeto fece

l'ardita coppia: e fiero anzi le porte

un conflitto attaccâr, come silvestri

verri ch'odon sul monte avvicinarsi

il fragor della caccia: impetuosi

fulminando a traverso, a sé dintorno

rompon la selva, schiantano la rosta

dalle radici, e sentir fanno il suono

del terribile dente, infine che colti

d'acuto strale perdono la vita;

di questi due così sopra i percossi

petti sonava il luminoso acciaro,

e così combattean, nelle gagliarde

destre fidando, e nel valor di quelli

che di sopra dai merli e dalle torri

piovean nembi di sassi alla difesa

delle tende, dei legni e di se stessi.

Cadean spesse le pietre come spessa

la grandine cui vento impetuoso

di negre nubi agitator riversa

sull'alma terra; né piovean gli strali

sol dalle mani achive, ma ben anco

dalle troiane, e al grandinar de' sassi

smisurati mettean roco un rimbombo

gli elmi percossi e i risonanti scudi.

Fremendo allor si batté l'anca il figlio

d'Irtaco, e disse disdegnoso: O Giove

e tu pur ti se' fatto ora l'amico

della menzogna? Chi pensar potea

contro il nerbo di nostre invitte mani

tal resistenza dagli Achei? Ma vélli

che come vespe maculose in erti

nidi nascoste, a chi dà lor la caccia

s'avventano feroci, e per le cave

case e pe' figli battagliar le vedi:

così costor, benché due soli, addietro

dar non vonno che morti o prigionieri.

Così parlava, né perciò di Giove

si mutava il pensier, che al solo Ettorre

dar la palma volea. Aspro degli altri

all'altre porte intanto era il conflitto.

Ma dura impresa mi sarìa dir tutte,

come la lingua degli Dei, le cose.

Perocché quanto è lungo il saldo muro

tutto è vampo di Marte. Alta costringe

necessità, quantunque egri, gli Achei

a pugnar per le navi; e degli Achei

tutti eran mesti in cielo i numi amici.

Qui cominciâr la pugna i due Lapiti.

Vibrò la lancia il forte Polipète,

e Damaso colpì tra le ferrate

guance dell'elmo. L'elmo non sostenne

la furïosa punta che, spezzati

i temporali, gli allagò di sangue

tutto il cerèbro, e morto lo distese:

indi all'Orco Pilon spinse ed Ormeno.

Né la strage è minor di Leontèo,

d'Antìmaco figliuolo anzi di Marte.

Sul confin della cintola ei percote

Ippomaco coll'asta: indi cavata

dal fodero la daga, per lo mezzo

della turba si scaglia, e pria d'un colpo

tasta Antifonte che supin stramazza;

poi rovescia Menon, Jameno, Oreste,

tutti l'un sovra l'altro nella polve.

Mentre che Polipète e Leontèo

delle bell'armi spogliano gli uccisi,

la numerosa e di gran core armata

troiana gioventude, impazïente

di spezzar la muraglia, arder le navi,

Polidamante ed Ettore seguìa,

i quai repente all'orlo della fossa

irresoluti s'arrestâr dubbiando

di passar oltre: perocché sublime

un'aquila comparve, che sospeso

tenne il campo a sinistra. Il fero augello

stretto portava negli artigli un drago

insanguinato, smisurato e vivo,

ancor guizzante, e ancor pronto all'offese;

sì che volto a colei che lo ghermìa,

lubrico le vibrò tra il petto e il collo

una ferita. Allor la volatrice,

aperta l'ugna per dolor, lasciollo

cader dall'alto fra le turbe, e forte

stridendo sparve per le vie de' venti.

Visto in terra giacente il maculato

serpe, prodigio dell'Egìoco Giove,

inorridiro i Teucri, e fatto avanti

all'intrepido Ettòr Polidamante

sì prese a dir: Tu sempre, ancorché io porti

ottimi avvisi in parlamento, o duce,

hai pronta contro me qualche rampogna,

né pensi che non lice a cittadino

né in assemblea tradir né in mezzo all'armi

la verità, servendo all'augumento

di tua possanza. Dirò franco adunque

ciò che il meglio or mi sembra. Non si vada

coll'armi ad assalir le navi achee.

Il certo evento che n'attende è scritto

nell'augurio comparso alla sinistra

dell'esercito nostro, appunto in quella

che si volea travalicar la fossa,

dico il volo dell'aquila portante

nell'ugna un drago sanguinoso, immane

e vivo ancor. Com'ella cader tosto

lasciò la preda, pria che al caro nido

giungesse, e pasto la recasse a' suoi

dolci nati; così, quando n'accada

pur de' Greci atterrar le porte e il muro

e farne strage, non pensar per questo

di ritornarne con onor; ché indietro

molti Troiani lasceremo ancisi

dall'argolico ferro, combattente

per la tutela delle navi. Ognuno,

che ben la lingua de' prodigi intenda

e da' profani riverenza ottegna,

questo verace interpretar farìa.

Lo guatò bieco Ettorre, e gli rispose:

Polidamante, il tuo parlar non viemmi

grato all'orecchio, e una miglior sentenza

or dal tuo labbro m'attendea. Se parli

persuaso e davvero, io ti fo certo

che l'ira degli Dei ti tolse il senno,

poiché m'esorti ad obblïar di Giove

le giurate promesse, e all'ale erranti

degli augelli obbedir; de' quai non curo,

se volino alla dritta ove il Sol nasce,

o alla sinistra dove muor. Ben calmi

del gran Giove seguir l'alto consiglio,

ch'ei de' mortali e degli Eterni è il sommo

imperadore. Augurio ottimo e solo

è il pugnar per la patria. Perché tremi

tu dei perigli della pugna? Ov'anco

cadiam noi tutti tra le navi ancisi,

temer di morte tu non dei, ché cuore

tu non hai d'aspettar l'urto nemico,

né di pugnar. Se poi ti rimanendo

lontano dal conflitto, esorterai

con codarde parole altri a seguire

la tua viltà, per dio! che tu percosso

da questa lancia perderai la vita.

Si spinse avanti così detto, e gli altri

con alte grida lo seguiéno. Allora

il Folgorante dall'idèa montagna

un turbine destò, che drittamente

verso le navi sospingea la polve,

e agli Achivi rapìa gli occhi e l'ardire,

ad Ettorre il crescendo ed a' Troiani

che nel prodigio e nelle proprie forze

confidati assalîr l'alta muraglia

per diroccarla. E già divelti i merli

delle torri cadean, già le bertesche

si sfasciano, e le leve alto sollevano

gli sporgenti pilastri, eccelso e primo

fondamento alle torri. Intorno a questi

travagliansi i Troiani, ampia sperando

aprir la breccia. Né perciò d'un passo

s'arretrano gli Achei, ma di taurine

targhe schermo facendo alle bastite,

ferìan da quelle chi venìa di sotto.

Animosi dall'una all'altra torre

l'acheo valor svegliando ambo frattanto

scorrean gli Aiaci, e con parole or dure

or blande rampognando i neghittosi,

O compagni, dicean, quanti qui siamo

primi, secondi ed infimi (ché tutti

non siamo eguali nel pugnar, ma tutti

necessari), or gli è tempo, e lo vedete,

d'oprar le mani. Non vi sia chi pieghi

dunque alle navi per timor di vana

minaccia ostil, ma procedete avanti,

e l'un l'altro incoratevi, e mertate

che l'Olimpio Tonante vi conceda

di risospinger l'inimico, e rotto

inseguirlo fin dentro alle sue mura.

Sì sgridando, animâr l'acheo certame.

Come cadono spessi ai dì vernali

i fiocchi della neve, allorché Giove

versa incessante, addormentati i venti,

i suoi candidi nembi, e l'alte cime

delle montagne inalba e i campi erbosi,

e i pingui seminati e i porti e i lidi:

l'onda sola del mar non soffre il velo

delle fioccanti falde onde il celeste

nembo ricopre delle cose il volto;

tale allor densa di volanti sassi

la tempesta piovea quinci da' Teucri

scagliata e quindi dagli Achivi; e immenso

sorgea rumor per tutto il lungo muro.

Ma né i Troiani né l'illustre Ettorre

n'avrìan le porte spezzato e le sbarre,

se alfin contro gli Achei non incitava

Giove l'ardir del figlio Sarpedonte,

quale in mandra di buoi fiero lïone.

Imbracciossi l'eroe subitamente

il bel rotondo scudo, ricoperto

di ben condotto sottil bronzo, e dentro

v'avea l'industre artefice cucito

cuoi taurini a più doppi, e orlato intorno

d'aurea verga perenne il cerchio intero.

Con questo innanzi al petto, e nella destra

due lanciotti vibrando, incamminossi

qual montano lïon che, stimolato

da lunga fame e dal gran cor, l'assalto

tenta di pieno ben munito ovile;

e quantunque da' cani e da' pastori

tutti sull'armi custodito il trovi,

senza prova non soffre esser respinto

dal pecorile, ma vi salta in mezzo

e vi fa preda, o da veloce telo

di man pronta riceve aspra ferita:

tale il divino Sarpedon dal forte

suo cor quel muro ad assalir fu spinto

e a spezzarne i ripari. E volto a Glauco

d'Ippoloco figliuol, Glauco, gli disse,

perché siam noi di seggio, e di vivande

e di ricolme tazze innanzi a tutti

nella Licia onorati ed ammirati

pur come numi? Ond'è che lungo il Xanto

una gran terra possediam d'ameno

sito, e di biade fertili e di viti?

Certo acciocché primieri andiam tra' Licii

nelle calde battaglie, onde alcun d'essi

gridar s'intenda: Glorïosi e degni

son del comando i nostri re: squisita

è lor vivanda, e dolce ambrosia il vino,

ma grande il core, e nella pugna i primi.

Se il fuggir dal conflitto, o caro amico,

ne partorisse eterna giovinezza,

non io certo vorrei primo di Marte

i perigli affrontar, ned invitarti

a cercar gloria ne' guerrieri affanni.

Ma mille essendo del morir le vie,

né scansar nullo le potendo, andiamo:

noi darem gloria ad altri, od altri a noi.

Disse, né Glauco si ritrasse indietro,

né ritroso il seguì. Con molta mano

dunque di Licii s'avviâr. Li vide

rovinosi e diritti alla sua torre

affilarsi il Petìde Menestèo,

e sgomentossi. Girò gli occhi intorno

fra gli Achivi spïando un qualche duce

che lui soccorra e i suoi compagni insieme.

Scorge gli Aiaci che indefessi e fermi

sostenean la battaglia, e avean dappresso

Teucro pur dianzi della tenda uscito.

Ma non potea far loro a verun modo

le sue grida sentir, tanto è il fragore

di che l'aria rimbomba alle percosse

degli scudi, degli elmi e delle porte

tutte a un tempo assalite, onde spezzarle

e spalancarle. Immantinente ei dunque

manda ad Aiace il banditor Toota,

e, Va, gli dice, illustre araldo, vola,

chiama gli Aiaci, chiamali ambedue,

ché questo è il meglio in sì grand'uopo. Un'alta

strage qui veggo già imminente. I duci

del licio stuol con tutta la lor possa

qua piombano, e mostrâr già in altro incontro

ch'elli son nelle zuffe impetuosi.

S'ambo gli eroi ch'io chiedo, in gran travaglio

si trovano di guerra, almen ne vegna

il forte Aiace Telamònio, e il segua

Teucro coll'arco di ferir maestro.

Corse l'araldo obbediente, e ratto

per la lunga muraglia traversando

le file degli Achei, giunse agli Aiaci,

e con preste parole, Aiaci, ei disse,

incliti duci degli Argivi, il caro

nobile figlio di Petèo vi prega

d'accorrere veloci, ed aitarlo

alcun poco nel rischio in che si trova.

Prègavi entrambi per lo meglio. Un'alta

strage gli è sopra: perocché di tutta

forza si vanno a rovesciar sovr'esso

i licii capitani, e di costoro

l'impeto è noto nel pugnar. Se voi

siete in gran briga voi medesmi, almeno

vien tu, forte figliuol di Telamone,

e tu, Teucro, signor d'arco tremendo.

Tacque, ed il grande Telamònio figlio

al figlio d'Oilèo si volse e disse:

Tu, Aiace, e tu forte Licomede

qui restatevi entrambi, ed infiammate

l'acheo coraggio alla battaglia. Io volo

colà allo scontro del nemico, e data

la chiesta aita, subito ritorno.

Partì l'eroe, ciò detto, ed il germano

Teucro il seguiva, e Pandïon portante

l'arco di Teucro. Costeggiando il muro

alla torre arrivâr di Menestèo:

ed entrâr nella zuffa, appunto in quella

che a negro turbo simiglianti i duci

animosi de' Licii avean de' merli

già vinto il sommo. Si scontrâr gli eroi

fronte a fronte, e levossi alto clamore.

Primo l'Aiace Telamònio uccise

il magnanimo Epìcle, un caro amico

di Sarpedon. Giacea sull'ardua cima

della muraglia un aspro enorme sasso,

tal che niun de' presenti, anco sul fiore

delle forze, il potrebbe agevolmente

a due man sollevar. Ma lieve in alto

levollo Aiace, e lo scagliò. L'orrendo

colpo diruppe il bacinetto, e tutte

l'ossa del capo sfracellò. Dall'alta

torre il percosso a notator simìle

cadde, e l'alma fuggì. Teucro di poi

di strale a Glauco il nudo braccio impiaga

mentre il muro assalisce, e lo costrigne

la pugna abbandonar. Glauco d'un salto

giù dagli spaldi gittasi furtivo,

onde nessuno degli Achei s'avvegga

di sua ferita, e villanìa gli dica.

Ben se n'accorse Sarpedonte, ed alta

dell'amico al partir doglia il trafisse.

Ma non lentossi dalla pugna, e giunto

colla lancia il Testòride Alcmeone,

gliela ficca nel petto, e a sé la tira.

Segue il trafitto l'asta infissa, e cade

boccone, e l'armi risonâr sovr'esso.

Colla man forte quindi il licio duce

un merlo afferra, a sé lo tragge, e tutto

lo dirocca. Snudossi al suo cadere

la superna muraglia, e larga a molti

fece la strada. Allor ristretti insieme

mossero contra Sarpedonte i due

Telamonìdi, e Teucro d'uno strale

al petto il saettò. Raccolse il colpo

il lucente fermaglio dell'immenso

scudo, ché Giove dal suo figlio allora

allontanò la Parca, e non permise

che davanti alle navi egli cadesse.

L'assalse Aiace ad un medesmo tempo,

e allo scudo il ferì. Tutto passollo

la fiera punta, ed aspramente il caldo

guerrier represse. Dagli spaldi adunque

recede alquanto ei sì, ma non del tutto,

ché il cor pur anco gli porgea speranza

della vittoria, e al suo fedel drappello

rivoltosi, gridò: Licii guerrieri,

perché l'impeto vostro si rallenta?

Benché forte io mi sia, solo poss'io

atterrar questo muro, ed alle navi

aprir la strada? A me v'unite or dunque,

ché forza unita tutto vince. - Ei disse,

e vergognosi rispettando i Licii

le regali rampogne, s'addensaro

dintorno al saggio condottier. Dall'altro

lato gli Argivi nell'interno muro

rinforzan le falangi, e d'ambe parti

cresce il travaglio della dura impresa.

Perocché né il valor degli animosi

Licii a traverso dell'infranto muro

alle navi potea farsi la strada,

né i saettanti Achei dall'occupata

muraglia i Licii discacciar: ma quale

in poder che comune abbia il confine,

fan due villan, la pertica alla mano,

del limite baruffa, e poca lista

di terra è tutto della lite il campo:

così dei merli combattean costoro,

e sovra i merli contrastati un fiero

spezzar si fea di scudi e di brocchieri

su gli anelanti petti; e molti intorno

cadean gli uccisi; altri dal crudo acciaro

nel voltarsi trafitti il tergo ignudo;

altri, ed erano i più, da parte a parte

trapassati le targhe. Da per tutto

torri e spaldi rosseggiano di sangue

e troiano ed acheo; né fra gli Achei

nullo ancor segno si vedea di fuga.

Siccome onesta femminetta, a cui

procaccia il vitto la conocchia, in mano

tien la bilancia, e vi sospende e pesa

con rigorosa trutina la lana,

onde i suoi figli sostentar di scarso

alimento; così de' combattenti

equilibrata si tenea la pugna,

finché l'ora pur venne in che dovea

spinto da Giove superar primiero

Ettore la muraglia. Alza ei repente

la terribile voce, ed, Accorrete,

grida, o forti Troiani, urtate il muro,

spezzatelo, gittate alfin le fiamme

vendicatrici nella classe achea.

L'udiro i Teucri, ed incitati e densi

avventârsi ai ripari, e sovra il muro

montâr coll'aste in pugno. Appo le porte

un immane giacea macigno acuto:

non l'avrìan mosso agevolmente due

de' presenti mortali anche robusti

per carreggiarlo. A questo diè di piglio

Ettore; ed alto sollevollo, e solo

senza fatica l'agitò; ché Giove

in man del duce lo rendea leggiero.

E come nella manca il mandrïano

lieve sostien d'un arïète il vello,

insensibile peso; a questa guisa

Ettore porta sollevato in alto

l'enorme sasso, e va dirittamente

contro l'assito che compatto e grosso

delle porte munìa la doppia imposta,

da due forti sbarrata internamente

spranghe traverse, ed uno era il serrame.

Fattosi appresso, ed allargate e ferme

saldamente le gambe, onde con forza

il colpo liberar, percosse il mezzo.

Al fulmine del sasso sgangherârsi

i cardini dirotti; orrendamente

muggîr le porte, si spezzâr le sbarre,

si sfracellò l'assito, e d'ogni parte

le schegge ne volâr; tale fu il pondo

e l'impeto del sasso che di dentro

cadde e posò. Pel varco aperto Ettorre

si spinse innanzi simigliante a scura

ruinosa procella. Folgorava

tutto nell'armi di terribil luce;

scotea due lance nelle man; gli sguardi

mettean lampi e faville, e non l'avrìa,

quando ei fiero saltò dentro le porte,

rattenuto verun che Dio non fosse.

Alle sue schiere allor si volse, e a tutte

comandò di varcar l'achea trinciera.

Obbediro i Troiani; immantinente

altri il muro salîr, altri innondaro

le spalancate porte. Al mar gli Achivi

fuggono, e immenso ne seguìa tumulto.