Situata nella parte sud-occidentale dell'isola di Ortigia, essa è conosciuta fin dall'antichità. Durante i secoli la sua fama è molto cresciuta, insieme al mito che l'ha sempre accompagnata. La sua storia è intimamente legata a quella di Siracusa, fin dalla nascita avvenuta nel 734 a. C., fin da quando cioè Archia di Corinto della famiglia degli Eraclidi, secondo Tucidide, ricevette una profezia dall'Oracolo che gli indicava il luogo presso il quale fondare una nuova città, una volta abbandonata la sua "polis": una fonte dove le acque di una ninfa sgorgavano accanto al mare su una piccola isola della grande Trinacria.
Erano tempi in cui per la ristrettezza e la povertà del territorio molte genti si mossero dalla Grecia in cerca di nuovi spazi, abbandonando un territorio che, seppure splendido da un punto di vista paesaggistico, poco offriva dal punto di vista alimentare.
La scarsa presenza di pianure e l'abbondanza di terreni montuosi e sassosi, permettevano solo una pastorizia di semplice sussistenza, riservando alle coste una potenzialità maggiore per via del pescato. I Greci, spinti dalla curiosità e, soprattutto, dalla necessità, espatriarono in grande quantità lungo il Mediterraneo, fondando numerose città, diffondendo la loro cultura e seminando conoscenza in vastissime superfici di gran lunga superiori, come estensione, alla modestissima Grecia.
E' interessante notare come, dopo i primi momenti di cruenti contrasti, essi riuscirono ad amalgamarsi con le popolazioni locali, trasformandone in meglio gli usi e le tradizioni, lo stile di vita insomma, non tralasciando mai i rapporti con la madrepatria che rimasero frequenti ed importanti.
Erano navigatori abilissimi, forgiatisi alla grande scuola navale ellenica, profondi conoscitori dei venti che fanno del Mediterraneo un mare a volte difficile da navigare, anche d'estate quando la stagione sembra più propizia. Improvvise tempeste sorprendevano gli equipaggi e anche se la navigazione avveniva soprattutto di giorno e sottocosta, cioè a vista, le navi in balia delle onde andavano spesso a naufragare contro gli scogli delle coste bordate. Lo testimonia la ricchezza dei fondali, paradiso per subacquei e appassionati archeologi.
Tesori inestimabili specialmente per il loro valore storico e documentaristico, giacciono ancora su tanti fondali marini, nonostante una grande quantità di reperti si trovi già nei musei al sicuro insieme, purtroppo ad un'altra quantità, forse maggiore, andata perduta perché frutto di predatori dagli scarsi scrupoli che ne hanno fatto vile commercio.
La profezia, dicevamo, parlava di una piccola isola della più grande Trinacria e di una fonte prodigiosa di acqua dolce a pochi passi dal mare, manifestazione visibile della pietà di una dea che aveva fatto rinascere una ninfa sottoforma di sorgente.
Il mito di Aretusa è uno dei più antichi e belli che la cultura greca ci abbia tramandato e, nonostante siano passati decine di secoli, affascina ancora per quel misto di amore e di dolore che contraddistingue la vicenda dei due protagonisti.
La vicenda ha tutti presupposti di una grande storia d'amore. Ci sono i due protagonisti: Aretusa, ancella di Artemide, la dea della caccia, e Alfeo, dio di un fiume, figlio di Oceano perdutamente innamorato della giovane ninfa. Secondo il mito, Aretusa un giorno s'immerse per il caldo nelle acque del fiume e Alfeo che viveva sulle sue sponde, appena la vide, se ne innamorò. Aretusa spaventata fuggì, invocando Artemide che per salvarla la trasformò in una fonte, facendola sgorgare sull'isola di Ortigia. Alfeo sconvolto dal dolore si trasformò in un fiume e, attraversando il fondo del mare Ionio, riemerse proprio accanto ad Aretusa, mescolando le sue acque con quelle dell'amata ninfa. Vicino ad essa, infatti, esiste un'altra sorgente chiamata l'Occhio della Zillica che la fantasia popolare ha sempre ritenuto essere la presenza di Alfeo.
Secondo un'altra versione Aretusa durante la fuga sarebbe caduta dalle coste dell'Elide e dopo la sua morte sarebbe trasformata in fonte. A me che sono rimasto inguaribilmente romantico, piace ricordare la versione, credo di Shelley, secondo la quale Aretusa ed Alfeo erano due giovani innamorati. Un brutto giorno Aretusa, cadde da una rupe sul mare e morì, ma da Artemide venne trasformata in fonte, sorgente proprio ad Ortigia. Il dolore di Alfeo commosse Zeus che lo trasformò in fiume, permettendogli così, scorrendo sotto il mare Ionio, di raggiungere Aretusa e di mescolare le sue acque con quelle dell'amata ninfa.
Il mito di Aretusa simboleggia, in effetti, il grande legame che univa questa colonia greca alla madrepatria e la voglia dei Siracusani di sottolineare questa appartenenza al di là del tempo e dello spazio. Teocrito nelle "Siracusane" sottolinea questa appartenenza, facendo dire a delle donne di essere fiere di discendere da coloni venuti da Corinto e, per questo, usi a parlare la greca lingua.
Un'ulteriore conferma di questo profondo legame è testimoniato dal fatto che si riteneva vero che quando ad Olimpia avvenivano dei sacrifici le acque della fonte si tingevano di rosso. Siracusa, tra le altre, fu proprio la colonia greca che riuscì a svilupparsi meglio, raggiungendo uno splendore e una potenza paragonabile o, in diversi casi, superiore a quelli di molte città greche. L'arte, la filosofia le scienze e la cultura in generale in questa città vennero favorite da tiranni illuminati, perfino da Dionisio il Vecchio, che partecipava a concorsi letterari in Grecia con tragedie scritte proprio da lui.
Il luogo e il mito hanno ispirato nel corso dei secoli decine di poeti e scrittori come: Ovidio e Silio, Virgilio e Pindaro, Pindemonte, Gregorovius, D'Annunzio, Quasimodo, Carducci, Milton, Shilley, Andrè Gide e Cicerone, per citarne alcuni. Essi si sono ispirati a questo luogo e a questo mito, come se specchiandosi nelle acque della fonte, fossero rimasti ammaliati per incanto da una sottile magia. In una sua poesia Giosuè Carducci così si esprime:
"amore, amor, sussurran l'acque
e Alfeo chiama nei verdi talami Aretusa"
e Salvatore Quasimodo:
"Non un luogo dell'infanzia
cerco, e seguendo sottomare il fiume,
già prima della foce in Aretusa,
annodare la corda
spezzata dell'arrivo."
Per gli antichi l'acqua era un bene prezioso e, soprattutto, per i coloni che per primi avevano attraversato il mare per giorni e settimane e che provenivano da terre notoriamente povere di sorgenti e di fiumi, la scoperta di fonti d'acqua dolce così a ridosso del mare dovette sembrare la manifestazione evidente della benevolenza di qualche divinità.
Per l'ammiraglio inglese Nelson, addirittura, era un luogo portafortuna, perché egli, dopo avere approvvigionato di acqua le sue navi, battè la flotta francese di Napoleone, ad Abukir nelle acque del Mediterraneo, al largo dell'Egitto.
La fonte, descritta anche da geografi arabi come Edrisi vissuto nel XII secolo, insieme ad altre vicine, è stata utilizzata per secoli per la concia delle pelli. A causa di terremoti ed incuria il luogo si era ridotto ad uno squallido lavatoio. Nel tempo, essa ha subito molti rifacimenti. L'aspetto attuale di grande fascino ambientale è dovuto all'ultima sistemazione del 1843, sotto l'Amministrazione del sindaco Borgia.
Lo specchio d'acqua, in una vasca semicircolare, si apre visualmente verso il mare, delimitato da esili ed eleganti ringhierine di ferro; il fondo gorgoglia per il continuo afflusso di acqua dolce. Il verde trionfa grazie ai papiri e alle piante acquatiche, in mezzo alle quali pesci d'acqua dolce nuotano in grande quantità, mentre i piccioni svolazzano goffamente sopra o ai margini di essa. Sgorga a poco più di mezzo metro sul livello dl mare ed è naturalmente soggetta, come tutte le fonti, a variabilità stagionale.
Localmente viene chiamata "'a funtana 're pàpiri" (la fontana delle anatre) per via di quegli uccelli e dei cigni che sfilano come in una passerella, scivolando e galleggiando sulle sue acque.
In effetti, si tratta di una delle numerosissime sorgenti naturali che caratterizzano tutta la costa a sud di Siracusa, frutto della generosissima falda freatica iblea che, durante la stagione delle piogge, accumula grandi quantità d'acqua. Rilasciandola gradatamente nel corso dell'anno, essa da luogo in prossimità del mare a molte polle sorgive, alcune delle quali famose come quella che da origine al breve corso del fiume Ciane, che sfocia nel Porto Grande di fronte all'isola di Ortigia. Un'altra località a quindici chilometri a sud di Siracusa è, addirittura, chiamata Fontane Bianche per la presenza di fonti d'acqua dolce, che scaturiscono da rocce chiarissime, lambite dal mare.
Il territorio degli Iblei, il massiccio montuoso a sud della Sicilia con cime di modesta altitudine (M.te Lauro 984 m.s.l.), interessa ben tre province: Siracusa, Ragusa e Catania. Di natura calcarea, ricco di un'incredibile quantità di fossili, è stato soggetto al fenomeno carsico. Nel tempo questo processo ha trasformato il carbonato di calcio insolubile in bicarbonato, il quale si è sciolto nell'acqua filtrante, lasciando grandi e vuote concamerazioni interne, rendendo il tutto simile ad un enorme gruviera. Questo ha permesso e permette ancora oggi un lento deflusso verso il mare di tutte le acque che in profondità lo attraversano.
Territorio di enorme importanza storica e culturale, sede naturale di numerose popolazioni e di importanti siti archeologici, dichiarato Patrimonio dell'Umanità da parte dell'Unesco, trae la sua origine da fondali marini mediterranei di milioni di anni fa, sollevatisi grazie all'orogenesi alpina.
La fonte, come abbiamo già detto, sorge sull'isola di Ortigia, lunga circa un chilometro, di grande importanza strategica, provvista di due porti naturali il primo, quello grande, ad uso mercantile e militare e il secondo, più piccolo, per le attività di pesca e della cantieristica. Qui sono ancora visibili i resti dell'Arsenale dove venivano prodotte le navi siracusane, alcune delle quali sono passate alla storia della navigazione, come quella fatta costruire da Archimede e che tutt'oggi risulta essere la più grande dell'antichità, una sorta d'ammiraglia, una specie di catamarano con due navi gemelle, unite da ponti trasversali, che poteva contenere una quantità incredibile di soldati e di merci.
Archia il fondatore di Siracusa, trovò l'isola già abitata dai Siculi ed arduo dovette essere il suo compito perché essi, pur non essendo genti molto bellicose, mal si adattarono a questa nuova situazione che li scacciava da un luogo così delizioso, bramato anche in seguito da tante popolazioni. Ogni angolo, infatti, nasconde segni importantissimi del passato. Il sottosuolo, poi, è un'autentica miniera. Sotto edifici già di per sé famosi ci sono vestigia dell'antica Siracusa, come ad esempio il tempio ionico sito sotto lo splendido Palazzo Vermexio, sede del comune. Ortigia è un'isola che conserva, dopo averle mescolate, tutte le impronte delle culture delle genti che l'hanno conquistata: i Greci, i Romani, i Bizantini, gli Arabi, i Normanni, gli Angioini, gli Aragonesi e gli Svevi.
Pochi posti al mondo possono vantare una simile concentrazione di resti di civiltà che, soprattutto nel Mediterraneo, hanno espresso la loro vitalità, contribuendo allo sviluppo del mondo moderno.
Una luce che filtra tra le viuzze e le piccole piazze, quasi nascoste tra gli edifici che incombono serrati su di esse, rende nelle giornate di sole con lo spessore delle forme, contrasti di luminosità di grandissimo effetto. I palazzi che si affacciano sulla Marina del Porto Grande sfavillano con i loro rossori morbidi nel pomeriggio che diventa sempre più sera. Luci ed ombre qui sembrano protagonisti di una titanica lotta che non avrà mai vincitori, ma che permette al tramonto e, soprattutto in prossimità della fonte, panorami di una suggestione profonda, di una malìa che affascina e che non potrà più essere dimenticata da chi ha avuto o avrà la fortuna di ammirarli.
Tino Insolia
dal greco AMPHI’ e THE’ATRON= teatro da ambedue le parti) non è una creazione greca, ma italica, destinata ad ospitare combattimenti di gladiatori, cacce e naumachie. Nel mezzo dell’ impianto c’era l’arena, riservata ai combattenti e circondata da un muro, il podium, da cui iniziavano i gradini che formavano la cavea. Le gradinate, destinate agli spettatori, erano divise in settori da scalinate che conducevano ciascuna ad una porta (vomitorium= uscita). La parte più alta era costituita da un portico chiuso verso l’esterno e con un colonnato verso il lato interno. Sull’arena si aprivano due porte: una per l’entrata dei gladiatori ed una per portare via i corpi di quelli che venivano uccisi. Nei sotterranei c’erano gli alloggiamenti per le fiere. Ogni anfiteatro disponeva di locali per l’addestramento dei gladiatori, di un obitorio per quelli che venivano uccisi, di una cucina e di altri servizi.
L’Anfiteatro Romano di Siracusa è orientato da N. - O. a S. – E. Mentre la parte rivolta a Nord fu scavata nella roccia, la parte Sud fu costruita con blocchi di pietra. Gli scavi di questo edificio, di cui oggi si può ammirare solo la parte più bassa, furono fatti nel 1839.
Il suo asse maggiore è lungo 140 metri, quello più corto 119 metri ed è perciò il più grande fra quelli esistenti in Sicilia. Esso presenta due ingressi, uno sulla curva Nord, l’altro sulla curva Sud. Al centro dell’arena c’era una costruzione coperta collegata, tramite un sotterraneo, all’esterno della curva Sud. Attraverso questo sotterraneo, venivano introdotte nell’arena tutte le cose occorrenti alla realizzazione degli spettacoli. Dietro il muro che racchiudeva l’arena c’era un corridoio sotterraneo, la crypta, e sopra questa i posti a sedere per i personaggi più importanti. A livelli più alti, altri due corridoi permettevano agli spettatori di raggiungere le gradinate.
Nello stesso sito della attuale Cattedrale di Siracusa, tra il 480 ed il 470 a. C., Gelone, per celebrare la vittoria di Himera sui Cartaginesi, fece costruire un tempio dedicato alla dea Athena (Athenaion). Era un tempio periptero, cioè su tutti e quattro i lati circondato da colonne, 6 sui lati più corti e 14 sui lati più lunghi. Era doppiamente IN ANTIS (cioè con pronao ed opistòdomo),(vedi la struttura di un tempio) costruito in pietra calcarea intonacata e dipinta. La sua trabeazione presentava triglifi e metope lisce. L’interno era decorato con pitture e la porta era impreziosita da decorazioni in oro e avorio. Sul frontone splendeva uno scudo d’oro che era la prima cosa che vedeva di Siracusa chi la stesse raggiungendo dal mare. Un acroterio sul frontone era costituito da una statua in marmo di Nike (la dea della vittoria). Verso la fine del VI secolo d. C., l’Athenaion fu trasformato in basilica cristiana a tre navate e nel secolo successivo divenne la Cattedrale di Siracusa. Sotto gli Arabi (dall’878 in poi), la Cattedrale cristiana fu quasi sicuramente trasformata in moschea, per poi tornare ad essere una chiesa cristiana dopo la conquista normanna. Il campanile fu distrutto, una prima volta, nel 1542 da un terremoto e, dopo essere stato ricostruito, rovinò di ancora nel 1580 per effetto di un fulmine. Nel XVII secolo, all’ interno della Cattedrale furono costruite le cappelle del Sacramento e del Crocifisso. Il terremoto del 1693 fece crollare la facciata normanna e, per la terza volta, il campanile. Nella prima metà del XVIII secolo fu iniziata la costruzione della Cappella di Santa Lucia e fu rifatta la facciata su progetto di Andrea Palma.
V. Accarpio