Travestimenti e mutazioni
La pagina "Travestimenti e mutazioni" di Miti3000.it si propone come una raccolta approfondita e ben strutturata dei più significativi episodi di trasformazione e travestimento presenti nella mitologia classica. Attraverso una serie di articoli dettagliati, la pagina esplora come dèi, eroi e mortali abbiano mutato forma - volontariamente o per volere divino - per scopi diversi, dalla seduzione all'inganno, dalla salvezza alla punizione.
Ampia Copertura: La pagina presenta una vasta gamma di miti, dai più noti (come Achille o Aracne) a quelli meno comuni (come Bulis o Enoe), attingendo a fonti primarie fondamentali come Ovidio e Antonino Liberale.
Il travestimento à un espediente narrativo antichissimo, usato per inganno, fuga, seduzione o per raggiungere obiettivi altrimenti impossibili. Ecco alcuni dei più celebri personaggi mitici che ne hanno fatto uso:
Achille
Ἀχιλλεύς, figlio di Peleo, re dei Mirmidoni e della Nereide Teti. È consacrato come l'eroe per antonomasia.
Quando nacque, Teti per renderlo immortale lo immerse nelle acque del fiume Stige tenendolo per i talloni rimanendo così l'unica parte vulnerabile dell'eroe.
La Nereide informata dall'oracolo che il figlio sarebbe morto nella guerra che si stava preparando contro Troia, lo mandò con vesti femminili alla corte di Licomede re di Sciro, la Achille si innamorò di Deidamia (una delle figlie del re) e da lei ebbe un figlio Pirro o Neottolemo.
Intanto l'indovino Calcante incitò i greci alla ricerca di Achille, senza il quale non avrebbero vinto la guerra e rivelò dove era nascosto.
Ulisse si assunse l'incarico di ritrovare l'eroe, e presentatosi come mercante di gioielli e abiti femminili alla reggia di Licomede, individuato con facilità, Achille, dovette seguirlo.
Teti volendo proteggere il figlio pregò il Fato perché mutasse la sorte di Achille e questi allora propose di scegliere fra una vita lunga ed oscura o una morte gloriosa in battaglia: e questa Achille scelse seguendo Agamennone a Troia cinto delle magnifiche armi che la madre aveva fatto fabbricare a Efesto.
L'assedio a Troia durava ormai da anni quando scoppiò una contesa fra lui ed Agamennone la quale si concluse con la provocazione del duce della spedizione che fece rapire dall'accampamento di Achille la schiava diletta Briseide.
Achille sdegnato giurò di non prendere più parte alla guerra e si ritirò nella sua tenda. Mentre i Troiani con l'assenza di Achille riuscivano vincitori in tutti gli scontri.
Intanto Agamennone pentitosi amaramente restituì all'eroe la schiava e gli fece offerta di grandi doni.
Achille rifiutò persino di raccogliere la sfida a duello che Ettore gli aveva lanciato.
Intanto Patroclo (amico di Achille) prese le armi forgiate da Efesto facendo le veci di Achille scontrò Ettore che lo uccise e lo spogliò delle superbe armi.
Teti ottiene dal divino fabbro nuove armi per il figlio il quale rivestitosene si scontrò con Ettore uccidendolo e facendo scempio del cadavere che trascinò sul terreno per tre giorni attorno alle mura di Troia attaccato al suo carro.
Commosso dalle lacrime di Priamo restituì il cadavere per la sepoltura.
Sulla fine di Achille la tradizione più comune dice che egli sarebbe stato ucciso da Paride.
Incantato dalla bellezza di Polissena una delle tante figlie di Priamo che egli aveva veduta un giorno al tempio.
Già da tempo l'aveva chiesta in moglie ad Ettore che però aveva posto la condizione all'eroe di passare dalla parte dei troiani.
Achille avrebbe respinto sdegnato la proposta, ma il volto della ragazza gli sarebbe rimasto impresso nella memoria che dopo aver reso il cadavere di Ettore egli avrebbe chiesto a Priamo la mano della figlia.
Accordatosi con lui l'eroe si sarebbe recato al tempio per la cerimonia nuziale, mentre Deifobo lo accoglieva con gioia, Paride lo avrebbe ucciso scagliandogli una freccia nel famoso tallone.
Secondo un'altra tradizione sarebbe stato ucciso da una freccia scagliatagli sempre nel tallone dal dio Apollo. Intorno al cadavere di Achille si combatte furiosamente finché Ulisse ed Aiace Telamonio riuscirono a portarlo nel loro accampamento.
Teti e tutte le Nereidi lo piansero e lo vegliarono per svariati giorni, infine fu seppellito sul promontorio Sigèo dove Pirro o Neottolemo immolò la vergine Polissena.
L'oracolo di Dodona decretò ad Achille onori divini.
I Tessali gli eressero un tempio dove ogni anno gli venivano offerti giochi funebri e sacrifici.
Omero lo pone come re dell'aldilà:
"Non consolarmi della morte io pria farei servir bifolco per mercede a cui scarso e vil cibo difendesse i giorni, che del mondo defunto aver l'impero." (Odissea, XI).
La sua morte per mano di Paride (Alessandro) con l'aiuto di Apollo è narrata nel poema di ciclo troiano Etiopide di Arctino di Mileto, poeta epico (Mileto VIII sec. a.C.) in questa opera narra gli eventi seguenti l'Iliade (uccisione di Memnone da parte di Achille), La presa di Ilio, e gli avvenimenti sulla conquista di Troia.
Secondo una diversa tradizione (Ditti cretese, Darete Frigio), ucciso Ettore, si recarono da Achille Priamo, Andromaca e Polissena, la figlia più giovane del re di Troia. Achille appena la vide se ne innamorò, e la chiese in sposa promettendo a Priamo che avrebbe abbandonato la guerra. Dopo la morte di Troilo, un altro figlio di Priamo, per mano di Achille, Paride ed Ecuba per vendicarsi gli fecero credere che poteva vedere Polissena nel tempio di Apollo Timbreo. Achille ci andò disarmato e fu ucciso da Paride e Deifobo. A guerra finita, per rientrare in patria senza tempeste i Greci sacrificarono l'innocente Polissena sulla tomba dell'eroe.
Curiosità del mito:
Il nome significa che non è mai stato allattato, infatti la madre subito dopo il parto lo condusse da Chirone che lo allevò,
ed ecco cosa Stazio nell'Achilleide fa dire ad Achille:
... Si dice di me che nei più teneri anni, quando ancora andavo carponi, allorché il vecchio tessalo mi accolse sul gelido monte, non consumavo cibi comuni né saziavo la fame succhiando a feconde mammelle, ma ingerivo grasse viscere di leoni e midolla di lupa ancora palpitanti. Questo fu il mio primo cibo, questi i doni di Bacco giocondo, questo il nutrimento che quel padre mi dava....
Aci o Acilio
Ἂκις ἤ Ἀκίλιος, bellissimo pastore siciliano amato dalla ninfa Galatea, figlia di Nereo e di Doride, la quale per lui aveva sdegnosamente respinto l'amore di Polifemo. Avendo però questi sorpreso l'amoroso abbandono dei due amanti, in un accesso di furore, staccato un pezzo di rupe, la gettò addosso al rivale, La ninfa ottenne da Poseidone che l'amato fosse trasformato nel fiume omonimo, oggi scomparso. Alla sua foce, sarebbe approdato Ulisse.
Anassaretta
Ἀναζαρέτη, o Anassarete, ninfa dell'isola di Cipro o di Salamina, che per non avere compiaciuto Ifi, anzi lo schernì, gli dèi la mutarono in rupe, mentre Ifi si uccideva per la disperazione di essere stato respinto. …Dopo tanto penare Ifi non resse più al dolore e davanti alla porta pronunciò queste estreme parole: "Hai vinto, Anassàrete: smetterò d'infastidirti coi miei lamenti. Prepara in letizia il tuo trionfo, inneggia alla vittoria e incoronati di splendido alloro. Hai vinto e io muoio senza rimpianti. Gioisci, donna di ferro! Una volta almeno sarai costretta a lodare una mia azione: ti faccio cosa gradita e dovrai riconoscermi qualche merito. Sappi però che la mia passione per te si spegnerà solo con la morte e sarà per me come se morissi due volte…, …Ma non appena scorse Ifi disteso sul feretro,.le s'irrigidirono gli occhi, dal corpo velato di pallore dileguò il tepore del sangue e, quando tentò di ritrarsi, rimase inchiodata dov'era, quando tentò di girare il viso, neppure questo poté; e a poco a poco quella pietra che da tempo aveva nel suo duro cuore, le invase tutte le membra. Non mento, credimi: a Salamina esiste ancora la statua che serba la sua immagine e un tempio dedicato a Venere lungimirante. Memore di ciò, ninfa mia cara, tronca, ti prego, la tua cruda ritrosia e unisciti a chi t'ama… (Ovidio, Metamorfosi, XIV). Una storia simile è raccontata da A. Liberale nelle sue “Metamorfosi XXXIX, solo che i protagonisti sono: Arceofonte e Arsinoe.
Apollo
Ἀπόλλων Senza alcun dubbio dopo Zeus è Apollo il dio più importante della mitologia greca. E qui per cantare questo dio mi faccio aiutare dal III Inno omerico “A Apollo” …Come cantarti, se cantato tu sei in tutti gl'inni? Di tua gloria, Febo, dovunque il suono si spande: su la terra nutrice di armenti e su l'isole… Il mito di Apollo è legato a quello di Artemide (sorella gemella di lui) che con le naturali differenze sessuali ha un carattere parallelo. Leto sedotta da Zeus pellegrinò a lungo sulla terra per sfuggire all'ira di Era, nessuno volle ospitarla per timore della vendetta di Era (Era, era molto vendicativa), finalmente giunse a uno scoglio errante sul mare che la ospitò e in prossimità del parto lo scoglio si fissò al fondo marino con delle colonne diventando così l'isola di Delo (…e lieta fu Delo, e rispose: "Leto, di Ceo possente inclita figlia; felice sarei di ospitare del nume arciere la nascita: oscuro è infatti, ignoto quasi il mio nome fra gli uomini; famosa, onorata invece così diverrei… III° Inno omerico a Apollo). Assistita dalla dea Iride Leto partorì i due gemelli, Apollo e Artemide dopo un lungo e laborioso travaglio. Le due divinità hanno un che di misterioso e inavvicinabile che incute rispetto, entrambi munite di arco colpiscono da lontano e chi è colpito dai loro dardi muore senza soffrire. Apollo rappresenta l'autocontrollo, l'autoconoscenza e il senso della misura; nel suo tempio a Delfi stava scritto “Conosci te stesso”. Apollo si occupava anche delle espiazioni, delle purificazioni, mandava malattie come punizione alle colpe ma nello stesso tempo era in grado di guarire e questo potere gli rimase anche dopo avere dato le sue proprietà mediche al figlio Asclepio. Nume profetico, aveva santuari e oracoli in Asia e in Grecia, il più importante era quello di Delfi dove Apollo parlava per mezzo della Pizia. Dio della poesia e della musica è infatti rappresentato con la lira fra le mani e a capo delle Muse, in questa veste era chiamato Musagete. Col nome di Sminteo era protettore delle messi, come Lukoktonos proteggeva i pastori dai lupi, dio del giusto e della purezza, venne identificato o meglio spodestò Elios e veniva immaginato alla guida d'un carro tirato da quattro cavalli e col quale conduceva il Sole per il cielo. Figurato nudo come un giovane bellissimo e dall'aspetto atletico. Il centro del suo culto era Delfi dove c'era anche il suo famoso oracolo e dove ogni quattro anni si celebravano in suo onore i giochi pitici. I romani lo venerarono come protettore della salute e come dio della divinazione: in suo onore si celebravano i giochi detti Ludi Apollinares. Gli erano sacri l'alloro (in modo particolare), la palma e l'ulivo.
Una curiosità: Quando Apollo uccise i Ciclopi colpevoli di avere fornito a Zeus la folgore con la quale gli uccise il figlio Asclepio, Zeus stava per gettarlo nel Tartaro ma, impietosito dalla madre che intercedette per lui, lo punì facendogli servire un mortale come lavoratore alla giornata e così Apollo servì Admeto per un anno come pastore delle sue greggi.
Presenze letterarie:
Aracne
Ἀράχνη, figlia di Idmone di Colofone in Lidia, famoso tintore di porpora. Abilissima nell'arte della tessitura, si vantava di essere più brava di Atena, filatrice ufficiale dell'Olimpo, e per questo la sfidò in una gara. Aracne era una comune fanciulla mortale che si era fatta un gran nome per il talento che dimostrava nel lavorare la lana, un'arte che doveva aver appreso direttamente da Atena. Ma Aracne sosteneva di no, che anzi era lei a poter insegnare qualcosa alla dea. Così Atena apparve accanto al suo telaio nelle fattezze di una vecchia e, sorridendo, le consigliò maggiore prudenza, se non voleva adirare la dea («Non tutto è male da evitare in tarda età: più s'invecchia e più cresce l'esperienza. Ascolta il mio consiglio: aspira pure ad essere la migliore fra i mortali nel tessere la lana, ma inchinati a una dea, e di ciò che con arroganza hai detto chiedi in ginocchio venia: se l'invochi, non ti negherà il perdono»). La fanciulla rispose con parole cattive e sfidò Atena, dovunque fosse, a gareggiare con lei nell'ordito e nel ricamo («Una demente, ecco quello che sei, rimbambita dalla vecchiaia: vivere troppo a lungo nuoce, eccome! Queste chiacchiere propinale a tua nuora o a tua figlia, se per caso ne hai una! Io so cavarmela benissimo da sola e perché tu non creda d'aver frutto coi tuoi moniti, sappi che la penso come prima. Perché non viene qui? Perché non accetta la sfida?»); (e allora la dea: «è venuta!», dice; lascia l'aspetto di vecchia e si mostra come Pallade). Atena rappresentò sulla tappezzeria gli Olimpi in tutta la loro gloria, poi, per ammonire la fanciulla, aggiunse ai quattro angoli della tela altrettanti esempi di superbia umana punita. Aracne, lavorando di lena, disegnò sul suo lavoro gli amori degli dei, quelle unioni che non facevano loro onore: Europa ingannata da Zeus in falsa forma di toro, Leda sdraiata sotto le ali del cigno (Zeus), Poseidone che copre la sorella Demetra in sembianza di stallone. Il lavoro era talmente perfetto che Atena, per la collera, lo fece a pezzi e colpì la rivale con la spola. Umiliata e disperata Aracne si impiccò, (…vedendola pendere n'ebbe pietà Pallade e la sorresse dicendo: «Vivi, vivi, ma appesa come sei, sfrontata, e perché tu non abbia miglior futuro, la stessa pena sarà comminata alla tua stirpe e a tutti i tuoi discendenti». Poi, prima d'andarsene, l'asperge col succo d'erbe infernali, e al contatto di quel malefico filtro in un lampo le cadono i capelli e con questi il naso e le orecchie; la testa si fa minuta e così tutto il corpo s'impicciolisce; zampe sottili in luogo delle gambe spuntano dai fianchi; il resto è ventre: ma da questo Aracne emette un filo e ora, come ragno, torna a tessere la sua tela. Ovidio, Metamorfosi VI)
Arcade
Ἄρϰας, figlio di Zeus e della ninfa Callisto. Insegnò agli uomini a seminare i cereali, a filare la lana e a fare il pane. Diede il nome all'Arcadia. Tramutato in orso fu assunto in cielo insieme alla madre, a sua volta trasformata in orsa, per formare le costellazioni dell'Orsa Maggiore e Minore. …pur essendo un'orsa, si spaventa se scorge un orso sui monti, ha terrore dei lupi, sebbene un lupo fosse suo padre. Ed ecco apparire, sul punto di compiere quindici anni, Arcade, nipote di Licàone, che nulla sapeva della madre. Mentre insegue la selvaggina, sceglie gli anfratti più adatti e circonda con maglie di rete i boschi dell'Erimanto, s'imbatte in sua madre. Quando lo vede, lei s'arresta come se lo riconoscesse; ma Arcade, all'oscuro di tutto, di fronte a quegli occhi che immobili lo fissavano senza sosta, s'impaurisce e arretra; quando poi lei accenna ad avvicinarsi, è lì per trafiggerle il petto con un dardo micidiale. Ma l'Onnipotente l'impedì: rimovendoli entrambi, rimosse il delitto, e sollevatili in aria con un turbine di vento, li pose nel cielo facendone due costellazioni contigue.(Ovidio, Metamorfosi II)
ARCEOFONTE
Ἀρχεοφῶν Arceofonte era un giovane di Cipro (o Cipro-fenicio, a seconda delle interpretazioni), di nobile famiglia e di grande bellezza. Egli si innamorò perdutamente di Arsinoe, una fanciulla originaria di Cipro, la quale, pur essendo amata anche da altri pretendenti, si distingueva per la sua rigidità e il suo orgoglio. Nonostante la sua bellezza e la sua virtù, Arsinoe non ricambiava minimamente l'amore di Arceofonte, anzi, lo disprezzava.
Arceofonte fece di tutto per conquistarla: inviò messaggi, offrì doni sontuosi, fece suppliche, ma Arsinoe rimase impassibile e indifferente, anzi, si fece gioco di lui. n preda alla disperazione e al dolore per il rifiuto, Arceofonte si ammalò gravemente. Il suo amore non ricambiato lo consumò, e egli morì. Dopo la morte di Arceofonte, mentre si trovava in un tempio di Afrodite (o Artemide, a seconda delle versioni e delle traduzioni), Arsinoe fu trasformata in una statua di pietra. Non fu un atto diretto di travestimento o metamorfosi forzata come nel caso di Pico e Circe, ma piuttosto una pietrificazione punitiva, un destino che la condannò all'immobilità e all'insensibilità che aveva mostrato in vita.
Aretusa
Ἀρέϑουσα, Diversi i personaggi:
curiosità di Aretusa oltre che di quella siracusana, che era la più celebre: ne esistevano una nell’Elide, un’altra ad Itaca, e una presso Calcide in Eubea. una ninfa, trasformata in fonte sotterranea da Artemide per sfuggire al fiume Alfeo.
Ascalabo o Ascalafo
Ἀσκάλαφος, famoso indovino figlio di Acheronte e della Notte. Quando Demetra disperata per il ratto della figlia Persefone si rivolse a Zeus perché Ade la restituisse, Il dio acconsentì a condizione che la ragazza non avesse né mangiato né bevuto nulla nell'Averno.
Ma per sfortuna Persefone vinta dalla sete aveva mangiato alcuni chicchi di melagrana ed era stata vista da Ascalafo che aveva palesato il fatto. Demetra indignata lo mutò in barbagianni o gufo (Ovidio, Metamorfosi V, 533 ss.).
Altro Ascalafo fu figlio di Ares e di Astìoche, uno degli argonauti e che partecipò alla guerra di Troia. Innamorato di Elena per averla combattè e morì sotto le mura di Troia.
Aspalide
Ἀσπαλίς, nella città di Melitea, viveva un tiranno violento e arrogante il cui nome le genti ritenevano empio pronunciare e che gli stranieri chiamavano Tartaro. Questo tutte le volte che sentiva vantare la bellezza di una giovane, la faceva rapire e la violentava prima del matrimonio. Un giorno ordinò ai suoi soldati di prelevare Aspalide, figlia di Argeo, uno dei notabili della regione. La ragazza non appena ebbe il sentore di cosa stesse per capitargli, prima ancora che i soldati giungessero, si impiccò. La notizia ancora non si era diffusa, perciò Astigite, fratello della povera Aspalide, giurò di vendicarsi del tiranno prima ancora che il corpo della sorella fosse staccato dalla corda e così indossò rapidamente gli abiti della sorella nascondendone, lungo il fianco sinistro, una spada. Essendo ancora molto giovane, i tratti dolci della gioventù lo aiutarono nel suo travestimento e quindi riuscì a farsi condurre alla presenza del tiranno. Non appena solo col tiranno, lo sorprese senza armi e senza guardie e lo uccise. Gli abitanti di Melitea cinsero Astigite di corone e lo portarono in corteo intonando il peana; quanto al cadavere di Tartaro lo gettarono in un fiume che da allora, prese il nome del tiranno (si tratta dell'attuale Skourisorevma). Poi cercarono il cadavere di Aspalide per renderle gli onori funebri solenni ma invano: era scomparsa per volontà divina e al suo posto, vicino a quella di Artemide, era apparsa una statua. Diedero alla statua il nome di Aspalide Ameilete Ecaerge e tutti gli anni le vergini vi appendono una giovane capra che non si è mai congiunta a un maschio, a ricordo di Aspalide che, quando s'impiccò, era vergine (A. Liberale, Metamorfosi XIII)
Atena
Ἀθήνη, dea della saggezza e della guerra(vedi) spesso assumeva sembianze diverse per aiutare i suoi protetti o per intervenire nelle vicende umane. Tra i suoi travestimenti: Mentore per consigliare Telemaco nell'Odissea;
Vecchio mendicante per aiutare Ulisse.
Giovane donna o guerriero.
Batto
Βάττος, pastore della Tessaglia. Fu testimone del furto subito da Apollo, quando, Zeus scacciatolo dal cielo fu costretto a fare il custode alle mandrie di Admeto, e subì il furto delle vacche più belle da parte di Ermes. Batto, che aveva assistito all'abigeato ricevette da Ermes la vacca più bella a condizione che avesse tenuto la bocca chiusa. Ermes non fidandosi, del pastore, gli si presentò sotto altre spoglie e mostrandosi edotto del furto, gli offrì un bue e una bellissima vacca se lo avesse messo sulla giusta via per acciuffare il ladro. Batto, vinto dall'avidità, svelò senza titubanza il segreto che gli era stato imposto di tacere; allora il dio indignato lo trasformò nella pietra di paragone, che ha la proprietà di misurare la purezza dell'oro perché non venga scambiato con l'orpello.
Altro Batto era un certo Aristotele, volendo fondare Cirene ricevette il seguente oracolo:
«O Batto, vieni ad udire: te il Signore Febo Apollo
invia nella Libia ben coronata
per governare sull'ampia Cirene e ricevere onori regali.
Lì te assaliranno, dal momento in cui sbarcherai in Libia,
barbari rivestiti di pellicce; ma tu, pregando il Cronide
e Pallade dall'occhio ceruleo, che eccita alla battaglia,
e il figlio di Zeus, Febo imberbe, avrai la vittoria in pugno
e felice regnerai sulla Libia ben coronata,
tu e la tua stirpe. Ti è guida Febo Apollo».
Diodoro Siculo, Biblioteca storica 8,29
Bibli
Βίβλις, figlia di Mileto e di Idotea e discendente da Apollo e Acacallide, figlia di Minosse. Bibli aveva un fratello gemello di nome Cauno e del quale era follemente innamorata. Finché ella riuscì a dissimulare questa passione, i genitori non si accorsero di nulla; ma lei si sentiva dominata dalla passione che, giorno dopo giorno, diventava sempre più arduo sopportare: decise allora di precipitarsi di notte dall'alto di una roccia. Si recò verso la vicina montagna e tentò di gettarsi nel vuoto. Ma le Ninfe ebbero pietà di lei e lo impedirono; poi la immersero in un sonno profondo e la trasformarono da mortale in una ninfa Amadriade che chiamarono Bibli e di cui fecero la loro amica e compagna. Le genti del luogo chiamano ancor oggi le gocce che colano da quella roccia Lacrime di Bibli. Il mito che abbiamo appena letto ci è stato tramandato da Nicandro. Sotto riporto la versione molto più poetica che ci è tramandata da Ovidio nelle Metamorfosi, IX, 441-665
...Del resto neppure lui, anche se rinunciassi alle mie speranze, potrà mai dimenticare ciò che ho avuto l'impudenza di fare; e se desisterò, sembrerà che abbia agito da sventata o che abbia voluto metterlo alla prova tendendogli un'insidia; comunque penserà ch'io non sia stata vinta dalla tirannia del nume, che strazia e brucia il mio cuore, ma dalla lussuria. Infine non posso negare d'aver commesso un'infamia: gli ho scritto e l'ho supplicato, mostrando intenzioni perverse; anche se ora mi fermassi, non potrei più dirmi innocente. Lunga la strada che si frappone ai miei voti, ma breve alla colpa». Così dice, e tanta confusione e incertezza v'è nella sua mente, che, pur pentita d'aver tentato, vuol tentare di nuovo, e perde il senso della misura, esponendosi, ahimè, a continui rifiuti. Infine Càuno, poiché lei non gli dà tregua, fugge dalla patria e da quell'abominio e fonda una nuova città in terra straniera. Allora, sì, la figlia di Mileto perde per l'angoscia del tutto la ragione, allora, sì, come una furia si strappa dal petto la veste e si percuote, si dice, le braccia. Ormai è pazza, non c'è dubbio; parla a tutti della sua speranza d'amore ed essendole vietata, lascia la patria e i suoi penati fattisi odiosi, e parte alla ricerca del fratello fuggitivo. La vedono correre urlando per la distesa dei campi le donne di Bùbaso, come quando, ossessionate dal tuo tirso, figlio di Sèmele, le baccanti di Tracia celebrano ogni tre anni i tuoi riti. Lasciata Bùbaso, vaga tra i Cari, tra i Lèlegi e per la Licia. Già s'è lasciata il Crago e il Lìmire alle spalle, i flutti dello Xanto e l'altura sulla quale abitò Chimera, che dal ventre spira fiamme e ha petto e muso di leonessa, coda di serpente. Si diradano i boschi, quando tu, sfinita a forza d'inseguirlo, cadi e rimani distesa con i capelli sparsi, Bibli, sulla dura terra e col viso che preme le foglie morte. Più volte, è vero, con dolcezza le ninfe della terra dei Lèlegi tentano di sollevarla; più volte, per guarirla dall'amore, l'incoraggiano, ma a una mente spenta non serve il loro conforto. Muta giace Bibli, tra le unghie stringe l'erba verde e inonda tutto il prato d'un mare di lacrime. Da quelle, si racconta, le Naiadi fecero sgorgare una polla, che mai si potesse seccare: c'è dono migliore? Subito, come la resina gocciola dalla corteccia incisa, o come vischioso trasuda il bitume dal grembo della terra, o come ai primi lievi soffi del Favonio, l'acqua, cristallizzata dal gelo, si scioglie al sole, così struggendosi in lacrime, Bibli, nipote di Febo, si trasforma in fonte, che ancor oggi in quelle vallate porta il nome della sua signora e sgorga ai piedi di un leccio scuro.
Britomarti
Βριτόμαρτις. Identificata con Artemide, assume talora il nome di Dictinna. Il suo mito è riferito da Callimaco: ninfa cretese, prediletta da Artemide, è inseguita da Minosse; per sfuggirgli si lancia in mare dall’alto del monte, ma è salvata dalle reti distese dai pescatori e per questo protettrice dei cacciatori e dei pescatori.
Bulis
personaggi:
Egipio, Bulis, Neofrone e Timandra: Una Tragedia di Incesto e Vendetta, Trasformati in Uccelli
Il mito è narrato da Antonino Liberale nel Capitolo V
Egipio: Figlio di Anteo e Nomione, un uomo pio, generoso ed equo, ma che si innamora di Timandra.
Bulis ( Βοῦλις): La madre di Egipio.
Timandra: Una vedova, sedotta da Egipio.
Neofrone: Figlio di Timandra e coetaneo di Egipio.
La storia: L'Amore di Egipio per Timandra: Egipio, nonostante la sua pietà, si invaghisce di Timandra, una vedova, e la seduce con doni, stabilendo una relazione segreta.
La Vendetta di Neofrone: Neofrone, il figlio di Timandra, è disgustato dalla relazione tra sua madre e Egipio. Per vendicarsi e tendere una trappola a Egipio, inizia a sua volta a sedurre Bulis, la madre di Egipio, facendola diventare la sua amante.
L'Inganno e l'Incesto Inconsapevole: Neofrone, con l'inganno, riesce a far allontanare sua madre Timandra da casa nel momento in cui Egipio si recava da lei. Al suo posto, fa venire in gran segreto la madre di Egipio, Bulis, promettendole di tornare subito. Egipio, ignaro della trappola e credendo che fosse Timandra, si congiunge al buio con sua madre, Bulis.
La Rivelazione e la Disperazione: Mentre Egipio dorme, Bulis lo riconosce come suo figlio. In preda all'orrore e alla disperazione per l'incesto involontario, afferra un pugnale con l'intenzione di cavargli gli occhi e poi suicidarsi.
L'Intervento Divino e le Trasformazioni: Per volere di Apollo, Egipio si sveglia e comprende l'orribile inganno ordito da Neofrone. Egipio urla al cielo, invocando la distruzione del mondo intero. Zeus interviene, trasformando tutti i protagonisti in uccelli per porre fine alla tragedia e alla disperazione:
Egipio diventa un avvoltoio (di un certo colore).
Neofrone diventa anch'egli un avvoltoio, ma di colore diverso e più piccolo di Egipio.
Bulis (la madre di Egipio) si trasforma in un tarabuso (un uccello simile a un airone), condannata a nutrirsi solo di occhi di pesci, uccelli e serpenti, poiché aveva voluto strappare gli occhi al figlio. Timandra diventa una cinciallegra. La Condanna Eterna: Da quel giorno, questi uccelli (avvoltoi, tarabuso, cinciallegra) non si vedono mai volare insieme, a simboleggiare la loro divisione eterna e le tragiche conseguenze delle loro azioni.
Canente
La Ninfa del Canto Consumata dal Dolore. Canente (in latino Canens, che significa "colei che canta") era una bellissima ninfa laziale, figlia del dio Giano (la divinità romana delle porte, dei passaggi e degli inizi) e della ninfa Venilia (o Stampisi, a seconda delle fonti, associata all'acqua e al mare). Era famosa per la sua straordinaria abilità nel canto, tanto da poter commuovere le selve e i sassi, ammansire le belve, fermare i fiumi e persino trattenere gli uccelli in volo con la sua voce. L'Amore per Pico: Canente sposò il re laziale Pico, un giovane di rara bellezza e virtù, al quale fu estremamente fedele. Insieme ebbero un figlio, Fauno, che divenne anch'egli una divinità agreste. La Scomparsa di Pico: La loro felicità fu spezzata quando Pico, durante una battuta di caccia, fu incontrato dalla maga Circe. Questa, invaghita della sua bellezza, tentò di sedurlo. Pico la rifiutò categoricamente, dichiarando la sua incrollabile fedeltà a Canente. La Vendetta di Circe e la Trasformazione di Pico: La maga Circe, ferita e furiosa per il rifiuto, si vendicò trasformando Pico in un picchio. La Disperazione di Canente: Canente aspettò invano il ritorno del suo amato marito. Quando si accorse della sua prolungata assenza, si lanciò alla sua ricerca, vagando per i boschi del Lazio per sei giorni e sei notti, senza mangiare né bere. La sua voce melodiosa, un tempo fonte di gioia, ora risuonava in lamenti e canti di disperazione.
La Consunzione e la Scomparsa: Stremata dal dolore e dalla fatica, Canente giunse infine sulle rive del fiume Tevere. Qui, consumata dalla sua sofferenza e dal suo ininterrotto canto lamentoso, il suo corpo iniziò a dissolversi. Ovidio descrive poeticamente la sua fine: a poco a poco, il suo corpo svanì nell'aria leggera, e di lei non rimase che la sola voce.
Il luogo lungo il Tevere dove si dissolse mantenne il suo ricordo e, secondo il mito, venne chiamato Canente dalle antiche Camene (divinità romane delle fonti e della poesia, simili alle Muse).
Cicno
Κύκνος, diversi i personaggi e quasi tutti molto violenti:
1) figlio di Apollo e della ninfa Iria, giovane bellissimo. Si gettò nel lago di Conope che da lui prese il nome di Cicneo. Dal padre fu trasformato in cigno.
2) figlio di Poseidone e di Calice figlia di Eolo, regnò a Colone nella Troade. Durante la guerra troiana Achille si battè con lui ma non potè ferirlo perché era, come lui, invulnerabile. Scagliatosi allora in un corpo a corpo, lo strozzò, ma con suo stupore Cicno mentre esalava l'anima, si tramutò in cigno ad opera di Poseidone.
3) figlio di Ares e della ninfa Pelopia, fu ucciso da Eracle in Tessaglia, presso la città di Irone, in una lotta nella quale Ares, intervenuto in difesa del figlio, non riuscì a salvarlo dall'ira dell'indomabile eroe mandatogli contro dal dio Apollo.
4) figlio di Ares e di Pirene, fu ucciso da Eracle. Ares accorse a vendicare il figlio, ma mentre stava per azzuffarsi col fratello intervenne Zeus che li separò.
5) figlio di Stenelo. Re dei Liguri, fu parente e amico di Fetonte e, avendolo disperatamente pianto quando morí, gli dei lo mutarono in cigno.
6) guerriero argivo, figlio di Ocito e di Aurofila. Partecipò alla guerra troiana al comando di dodici navi.
Cragaleo
Κραγαλεύς Cragaleo: Il Giudice Imparziale Trasformato in Pietra. Cragaleo era un eroe locrese, figlio di Triopa (secondo alcune genealogie, un figlio di Poseidone, che lo rende di stirpe divina). Era conosciuto per la sua saggezza, la sua giustizia e la sua integrità, doti che lo rendevano un arbitro rispettato nelle dispute. La Disputa Divina: Il mito di Cragaleo si svolge intorno a una contesa tra tre delle più potenti divinità dell'Olimpo:
Apollo: Il dio della luce, della musica, della profezia.
Eracle: L'eroe divino, figlio di Zeus.
Poseidone: Il dio del mare. La disputa riguardava il possesso e la sovranità su una porzione di terra, nello specifico il territorio di Corinto o comunque una regione costiera della Tessaglia o della Locride.
Incapaci di risolvere la questione tra di loro, le tre divinità scelsero Cragaleo come loro arbitro, fidandosi della sua rinomata imparzialità e saggezza. Cragaleo ascoltò attentamente le argomentazioni di ciascun dio. Alla fine, emise il suo verdetto: assegnò la terra a Poseidone. La sua motivazione fu che il territorio, essendo costiero e naturalmente connesso al mare, ricadeva giustamente sotto il dominio del dio del mare. Apollo ed Eracle, ovviamente, non accettarono di buon grado la decisione. Furiosi per il verdetto sfavorevole, si vendicarono di Cragaleo. Per la sua imparzialità che non li aveva favoriti, Apollo ed Eracle trasformarono Cragaleo in una pietra. La sua giustizia e la sua incrollabile decisione gli costarono la sua stessa forma umana, pietrificandolo.
Ctesilla
Κτησιλλῆς, Antonino Liberale, nelle "Metamorfosi" ci narra di questa fanciulla figlia di Alcidamante, nata a Ceo. Che in occasione delle feste Pitiche di Cartea, un certo Ermocare da Atene, la vide danzare presso l'altare di Apollo e se ne innamorò perdutamente. Desiderandola come sposa il giovane (e qua la storia si fa simile a quella di Aconzio e Cidippe) prese una mela e scrivendoci la famosa formula d'amore: «Io giuro ad Artemide di sposare Ermocare d'Atene», la lanciò a Ctesilla, la quale la prese e lesse ad alta voce quello che c'era scritto. (Ed ecco che si ripropone la scena) In preda alla collera, Ctesilla gettò via la mela. Intanto Ermocare dichiarò al padre di Ctesilla Il suo amore e questi acconsentì alle nozze: facendo giuramento toccando l'alloro e prendendo Apollo a testimone. (ecco che il diavolo ci mette la coda) Terminate le Pitiche, Alcidamante dimenticò del giuramento che aveva prestato e preparò per sua figlia un altro fidanzamento. Ermocare afflitto di veder fallire le sue nozze, accorse all'Artemisio, dove Ctesilla stava sacrificando alla dea. Nel vederlo, la giovane fu colta, per volontà divina, d'amore per lui. I due pianificarono di fuggire e, con l'aiuto della nutrice, Ctesilla aggirò di notte la vigilanza del padre e s'imbarcò per Atene dove sposò Ermocare. Qua il solito dio invidioso castigatore di innocenti, per vendicarsi sullo spergiuro Alcidamante, fa morire di parto la tenera Ctesilla. Durante il funerale dal letto funebre si alzò una colomba in volo e il corpo di Ctesilla scomparve. Dopo questo avvenimento Ermocare consultò l'oracolo e il dio rispose che doveva fondare a Iulide un santuario dedicato a Ctesilla e lo stesso ordine diede a tutti gli abitanti dell'isola di Ceo. Così nel tempo continuarono a offrire sacrifici a Ctesilla con gli epiteti di Ecarege e Afrodite.
Dafne
Δάφνη, ninfa, figlia di Penèo e di Gea. Quando inseguita dal dio Apollo che voleva possederla a tutti i costi, pregò la madre Gea di salvarla. Allora Gea, la mutò in alloro. Apollo, innamorato staccò un ramo dalla pianta, se ne fece un serto e volle che la pianta le fosse consacrata.
..."Ninfa penea, férmati, ti prego: non t'insegue un nemico; férmati! Così davanti al lupo l'agnella, al leone la cerva, all'aquila le colombe fuggono in un turbinio d'ali, così tutte davanti al nemico; ma io t'inseguo per amore! Ahimè, che tu non cada distesa, che i rovi non ti graffino le gambe indifese, ch'io non sia causa del tuo male! Impervi sono i luoghi dove voli: corri più piano, ti prego, rallenta la tua fuga e anch'io t'inseguirò più piano. Ma sappi a chi piaci. Non sono un montanaro, non sono un pastore, io; non faccio la guardia a mandrie e greggi come uno zotico. Non sai, impudente, non sai chi fuggi, e per questo fuggi. ..."Aiutami, padre", dice. "Se voi fiumi avete qualche potere, dissolvi, mutandole, queste mie fattezze per cui troppo piacqui"... ...il volto svanisce in una chioma: solo il suo splendore conserva. Anche così Febo l'ama e, poggiata la mano sul tronco, sente ancora trepidare il petto sotto quella nuova corteccia e, stringendo fra le braccia i suoi rami come un corpo, ne bacia il legno, ma quello ai suoi baci ancora si sottrae. E allora il dio: "Se non puoi essere la sposa mia, sarai almeno la mia pianta (Ovidio, Metamorfosi, I).
Bacco
Βάϰχος, uno dei tanti nomi per indicare il dio Dioniso figlio di Zeus e di Semele. Fu dio della forza fecondatrice della natura, venerato particolarmente dalle donne e universalmente riconosciuto come orgiastico dio del vino. Adesso vediamo come avviene la nascita di questo dio alquanto allegro e festoso: Zeus si innamorò di Semele, e si unì in amore con lei, avendo cura di nascondersi agli occhi della gelosa Era. In un momento di generosità (di quelle generosità che si hanno solamente quando si è a letto a giuggiolare), Zeus disse alla fanciulla di chiedergli tutto ciò che voleva che l' avrebbe esaudita; Semele, seguendo un consiglio ingannatore di Era (che sotto le sembianze della sua nutrice Beroe le disse: "Figliola, chiedi a Zeus che venga da te come va da Era, perché tu conosca quale piacere è giacere con un dio"), così la povera Semele ingannata, chiede al dio di andare da lei proprio nello stesso aspetto di quando si avvicinava in amore a Era.
Zeus non potendo venire a meno alla sua solenne promessa a malincuore (considerato che sapeva così di perdere un suo trastullo e sollazzo) si accostò al letto di Semele sul suo carro, tra folgori e saette, e scagliò il suo fulmine. Semele morì per il terrore e per il fuoco generato dal fulmine, allora Zeus tirò fuori dal fuoco il bambino di sette mesi che la fanciulla portava in seno, ancora immaturo, e se lo cucì in una coscia. Morta Semele, le altre figlie di Cadmo misero in giro la voce che la sorella si era unita a un uomo qualsiasi, e che Zeus, tirato falsamente in causa, l'aveva fulminata per la sua menzogna. Trascorso il tempo dovuto, Zeus si scucì la coscia, partorì Dioniso e lo affidò a Ermes (oggi avrebbe riscosso quel famoso ed enorme premio in denaro per il primo uomo che riuscirà a partorire). Questi lo portò a Ino e Atamante convincendoli ad allevarlo come se fosse stata una bambina. Ma la dea Era, sdegnata, li colpì con la follia. Atamante diede la caccia al suo figlio maggiore, Learco, e scambiandolo per un cervo lo uccise; Ino gettò Melicerte in un pentolone d'acqua bollente e poi, stringendo il cadavere del figlio, si gettò nel profondo del mare (Atamante aveva avuto la grande sfortuna di essere un discendente di Cadmo e Armonia. Dovete sapere che quando nacque Armonia, Atena e Efesto le regalarono una veste ricamata con scene di delitto ed ecco perché i suoi discendenti furono predisposti al delitto).
Infine Zeus, per nascondere Dioniso alla rabbia di Era, lo trasformò in capretto, ed Ermes lo portò dalle ninfe che abitavano a Nisa, in Asia: più tardi Zeus le trasformò in stelle, e le chiamò Iadi. ...lui le ninfe chiomate nutrirono a loro affidato dal nume suo padre e con ogni riguardo le crebbero nelle valli di Nisa; per volere del padre egli crebbe in un antro odoroso e fu ammesso fra gli dèi immortali... (XXVI Inno omerico a Dioniso). Al Dio gli erano sacre le foreste, i vigneti e le vallate dove viveva freneticamente in compagnia di Menadi, Ninfe e Satiri. Per approfondimenti (Euripide, Ciclope 3 ss.; Baccanti 13 ss e 58 ss. e 78 ss.). Secondo una delle tante storielle, Dioniso scese nell'Ade attraverso il lago di Lerna, ritenuto privo di fondo e quindi in diretta comunicazione con l'Oltretomba. Si dice che il dio chiese la strada a un contadino, tale Prosinno o Polinno, il quale gli domandò come ricompensa i suoi favori sessuali, quando fosse ritornato. Dioniso promise, ritornò dall'Ade, ma intanto Prosinno era morto. Allora il dio piantò sulla sua tomba un bastone di fico a forma di fallo, e pagò il suo debito a quello, per onorare l'ombra dell'uomo. Giunto all'Ade, Dioniso ottenne la liberazione di Semele, dando in cambio a Plutone la pianta di mirto, che gli era cara e poi portò la madre in cielo, con il nuovo nome di Tione, come segno del suo nuovo stato divino. La leggenda della liberazione di Semele dall'Ade era oggetto di culti assai antichi: uno dei più importanti era la festa delfica dell'Eroina, celebrata dal collegio delle fedeli di Dioniso chiamate Tiadi.
Per concludere una bellissima poesia di Anacreonte
Sopra Bacco
Quando Bacco mi scorre le vene
Alle pene — alle cure dà bando;
Di dovizie allor mi pare
Agguagliare — il re di Lidia,
E men vo lietamente cantando.
Ghirlandetta al crin mi faccio
Intrecciata di fresch'edere,
E riposatamente indi mi giaccio;
E coll'animo scarco e giocondo
Vo di sopra alle cose del mondo.
Altri adopri aste e corazze,
lo guerreggio colle tazze;
O fanciul, dammi il bicchiere,
Mesci, mesci di quel nettare,
Io voglio, anzi che morto, ebbro giacere.
Presenze letterarie
Iconografia
Egipio
Αἰγύπιος, figlio d'Anteo. Viveva in Tessaglia e fu caro agli dèi per la sua pietà e agli uomini per la generosità ed equità.
Un giorno però conobbe Timandra e ne restò fulminato (amore a prima vista).
Apprendendo che era vedova la sedusse col danaro.
Neofrone, figlio di Timandra e coetaneo di Egipio, fu giustamente disgustato da questo legame e cercò di rendere a Egizio pan per focaccia.
Iniziò a sua volta a sedurre Buli (madre d'Egipio), e offrendole molti doni la fece sua amante.
Conosciuta l'ora in cui Egipio abitualmente andava a trovare Timandra, trovò un pretesto per allontanare la madre da casa e al suo posto fece venire in segreto la madre di Egipio promettendole di tornare subito.
Nulla sospettando di quel che Neofrone aveva ordito, Egipio giunse nella casa e al buio si congiunse inconsapevole con la propria madre credendo si trattasse di Timandra.
Ma quando si addormentò, Buli riconobbe in lui il figlio e, afferrato un pugnale, si accinse a cavargli gli occhi e darsi poi la morte.
Ma per volere d'Apollo, Egizio si svegliò e compresa l'orribile trappola che Neofrone gli aveva teso, urlò al cielo che l'intero mondo sprofondasse assieme a lui.
Zeus mutò tutti in uccelli: Egipio e Neofrone divennero entrambi avvoltoi ma di colori diversi, e Neofrone più piccolo dell'altro.
Buli si trasformò in un tarabuso che non poteva nutrirsi di nulla di quel che la terra produce ma solo di occhi di pesci, uccelli e serpenti, dato che aveva voluto strappare gli occhi al figlio.
Timandra divenne una cinciallegra. Tutti uccelli che, da quel giorno, non si vedono mai volare insieme (A. Liberale, Metamorfosi V).
Elena
Ἑλένη, Zeus in forma di cigno si unì a Leda, ma nella stessa notte anche col marito Tindareo, così Leda ebbe Polluce e Elena da Zeus e Clitennestra e Castore da Tindareo.
Si dice che Elena sia nata dall'unione di Zeus (sempre nella forma di cigno) con Nemesi, la dea depose un uovo che un pastore trovò e portò a Leda.
Leda pose l'uovo in una cassa e passato il tempo, dall'uovo nacque Elena che fu allevata da Leda come figlia sua.
Simbolo della bellezza femminile, generatrice involontaria d'odio e distruzione. Nata dall'uovo di Leda assieme a Castore e Polluce e Clitennestra.
Elena ancora undicenne viene rapita da Teseo e non avendo l'età per amare, Teseo la nascose in un luogo sicuro in attesa che la ragazza crescesse (intanto la sodomizzava, come acconto per quanto sarebbe divenuta adulta).
Nel frattempo Teseo assieme a Piritòo partì per rapire Persefone dall'Ade, ma rimase prigioniero.
Durante l'assenza di Teseo i Diòscuri trovarono Elena, loro sorellina, e la riportarono nella casa paterna di Tindareo.
Matura andò in sposa a Menelao e qui la narrazione si complica.
Omero, 0dissea IV, 12 ss. che Saffo fr. 23 V., attribuiscono a Elena la maternità della sola Ermione, mentre Esiodo Elettra 539 (anche Apollodoro, Biblioteca III, 11) sostiene che dal suo matrimonio con Menelao sia nato anche il maschio Nicostrato.
Ditti Cretese, La guerra di Troia 5, 5, racconta invece che dall'unione con Paride nacquero a Elena i figli Bunomo, Corito e Ideo.
Secondo la tradizione, Pausania 2, 22, 6 ss.; Antonino Liberale, Metamorfosi 27, Elena, inoltre, avrebbe avuto da Teseo la figlia Ifigenia, che Clitennestra allevò e fece passare per sua.
Nel frattempo si era svolto il giudizio di Paride, nel quale Afrodite per l'assegnazione del pomo aveva promesso in sposa Elena.
La dea mantenendo la promessa, sistemò le cose in modo che Paride si recasse alla corte di Menelao mentre questi si trovava ai funerali del nonno a Creta.
Così Paride ebbe la possibilità di circuire e rapire Elena che portò con sé il figlio Plistene e parte del tesoro di Menelao.
Menelao, non ottenendo con la diplomazia la restituzione della moglie, dichiarò guerra contro Troia.
La guerra muoveva in favore di Menelao e morto Paride, altri figli di Priamo si contesero la mano di Elena, la ottenne di forza Deifobo.
Ma il destino di Troia ormai era segnato ed Elena, per riconquistare la fiducia degli ateniesi, quando Troia nella notte cadde aiutò attivamente Menelao ad uccidere Deifobo.
Perdonata dal marito finalmente fece ritorno a Sparta.
Eliadi
Ἡλιάδης, due i miti:
Elìadi o Fetontiadi, le tre ninfe figlie del Sole e della
Ninfa Climene. Sorelle di Fetonte, lo piansero tanto disperatamente dopo ch'egli precipitò nell'Eridano, che, Zeus impietosito dal loro dolore, le trasformò in pioppi, e le loro lacrime divennero ambra.
2) Eliadi, i sette figli maschi della ninfa Rodhos; venerati come protettori della navigazione, furono considerati gli inventori delle stagioni e coloro che divisero il tempo in giorni e in ore erano anche degli esperti astrologi.
GÈRANA o ENOE
Γεράνα ἤ Οἰνώη, regina dei Pigmei (Πυγμαῖος), poiché aveva peccato d'orgoglio nei confronti degli dei, fu tramutata da Artemide in gru …Poi gettò i semi del timore che questo animale solleva fra i Pigmei. Per il desiderio di vedere il figlio Mopso, Enoe sorvolava di continuo le abitazioni dei Pigmei: brandendo le armi, essi si sforzavano di tenerla lontana. Da ciò deriva l'eterna lotta che c'è fra Pigmei e gru.
(A. Liberale, Metamorfosi XVI). Ebbe così origine la guerra tra questo popolo e le gru.
Ematidi o Pierie o Pieridi
Πιερίδων, Pieridi erano nove sorelle, figlie di Piero, re della Tessaglia (o Emazia, da cui il nome alternativo di Ematidi). Erano giovani donne di grande bellezza, ma anche di smisurata arroganza e presunzione, in particolare per quanto riguarda le loro doti nel canto e nella musica. Mosse da una superbia smisurata, le Pieridi osarono sfidare le divine Muse in una gara di canto sul Monte Elicona (o sul Parnaso). Questa sfida era un atto di hybris, poiché metteva in discussione la superiorità artistica e divina delle Muse. Le Pieridi proposero che la sconfitta portasse alla trasformazione in uccelli. Le Muse accettarono la sfida, stabilendo che le vincitrici avrebbero privato le sconfitte del loro luogo sacro (come il Monte Elicona o la fonte Ippocrene). e Pieridi si esibirono per prime, e il loro canto fu descritto come rozzo, irriverente e blasfemo. In diverse versioni, il loro canto narrava miti in modo sprezzante o raccontava le sconfitte e le trasgressioni degli dài, spesso in modo irrispettoso. Ovidio descrive il loro canto come un'ode ai Giganti e a Tifone, cercando di sminuire gli dài olimpici. Successivamente, fu il turno delle Muse. Ovidio fa cantare Calliope, la musa della poesia epica, che narra la storia del rapimento di Proserpina da parte di Ade. Il loro canto era sublime, divino e incantò ogni cosa. Le ninfe che fungevano da giudici proclamarono unanimemente la vittoria delle Muse. Le Pieridi, infuriate e non accettando la sconfitta, iniziarono a inveire e a insultare le Muse. Le Muse, stanche della loro insolenza, decisero di punirle severamente per la loro hybris e la loro insolenza. Le trasformarono in uccelli chiassosi e loquaci, che gli uomini ancora oggi chiamano colimbo, torcicollo, cencride, ghiandaia, verdone, cardellino, anatra, picchio e draconte: questo spiegherebbe il loro continuo cianciare e la loro incapacità di produrre canti melodiosi, ma solo suoni sgradevoli e ripetitivi, come un'eco della loro arroganza. La loro trasformazione à una punizione per aver osato gareggiare con le vere voci divine. Le fonti indicano che anche se tentano di cantare, non riescono a produrre melodie, ma solo gracchiare.
Ermes
Ἑρμῆς, figlio di Zeus e di Maia (la più grande delle Pleiadi). Ermes veniva considerato come la personificazione del vento e come tale ne aveva le caratteristiche: la velocità, la leggerezza, l'incostanza, la monelleria e l'umore scherzoso. Caratterizzato da astuzia (ma, quell'astuzia che rasenta la disonestà) e abilità, gli furono date dai Greci le attribuzioni più varie: messaggero degli dèi, dio delle relazioni pacifiche, del commercio, della navigazione, dei viaggi, dell'eloquenza, capo delle Cariti o Grazie, protettore dei ginnasi, dei concorsi degli efebi, dei ladri, degli sportivi, degli araldi e dei navigatori. Inventore e propagatore delle scienze (specie della matematica e dell'astronomia). Sulla base di quanto narra il IV Inno omerico, Ermes inventò il modo di accendere il fuoco:molte legna raccolse e provò l'arte del fuoco. Prese un bel ramo di lauro e ne attorse un ramo di melagrano, stretto in mano tenendolo: un caldo fiato allora ne usciva. Ermes in vero il fuoco per primo svelò e il modo inventò per accenderlo.
Ermes nacque in una grotta del monte Cillene. Appena nato si liberò da solo dalle fasce in cui era avvolto e furtivamente uscì dalla caverna.
Fatti pochi passi incontrò una tartaruga, la raccolse, le tolse il guscio e sulla cavità di questo tese sette corde inventando così la cetra che dava un suono dolcissimo.
Ma subito gli venne in mente un'altra idea: rubare la mandria di buoi ad Apollo.
Il piccolo dio, allora, si precipitò in Tessaglia giungendovi di notte; senza perdere tempo si impossessò di cinquanta buoi e tirandoli per la coda li fece camminare all'indietro per dare l'impressione che le bestie invece di allontanarsi si avvicinavano al pascolo. Giunto che fu nell'Elide in prossimità del fiume Alfeo, scoprì una grotta e là vi nascose la mandria, facendo attenzione a mimetizzare per bene l'ingresso. Stava per spuntare l'alba quando il piccolo dio fece ritorno alla sua culla sul monte Cillene, quindi rimessosi le fasce fece finta di dormire.
(...Nato sul far dell'aurora, a mezzo del giorno suonava la lira e di sera le vacche di Apollo arciere rubava: il medesimo giorno, quarto del mese, uscito dal grembo di Maia... ... IV° Inno omerico a Ermes).
Ecco come la madre Maia richiama il piccolo furfante:Perché mai, astutello, a quest'ora di notte giungi, e di dove? Svergognato! Ben credo che fra poco, legato nei fianchi, dovrai varcare di nuovo la soglia, spinto da Febo, e d'ora in poi vagar per le valli rubando. Va', tristo, in malora! Tuo padre ha in te generato un malanno per gli uomini mortali e per gli dèi immortali…
Appena giorno Apollo, accortosi del furto delle bestie, essendo il dio dei vaticini e degli indovini, seppe subito chi era il ladro. Si presentò quindi da Ermes imponendogli la restituzione delle bestie.
Costui sembrò cadere dalle nuvole, poiché ignorava cosa fossero i buoi e chiese, meravigliato, come potesse un lattante di appena un giorno rubarne cinquanta e come avesse potuto andare in Tessaglia non sapendo ancora camminare. Apollo, sforzandosi di non ridere nell'udire come quell'infante gli rifilava una bugia dietro l'altra, lo minacciò di grandi punizioni se non avesse ubbidito immediatamente. Ermes, senza scomporsi, presa la cetra, si mise a suonarla ad Apollo.
Egli che era il dio della musica, apprezzò tanto il suono della cetra, da desiderarla per sé. Ermes, che aveva uno spiccato senso degli affari, gli propose allora lo scambio: la cetra in cambio dei buoi. Effettuato lo scambio Ermes, mentre pascolava la mandria, costruì uno zufolo e si mise a suonarlo.
Apollo desiderò avere anche quello. In cambio dello zufolo, però, Ermes richiese la verga d'oro, che Apollo usava per guidare le sue mandrie, e l'arte della divinazione: così Apollo gli insegnò la divinazione.
La verga venne chiamata Cadùceo e fu il principale attributo di Ermes e degli araldi. Dato che era rapido come il vento, Zeus lo nominò araldo degli dèi, non semplice messaggero, ma un messaggero speciale: egli infatti riceveva gli incarichi più delicati e li portava a termine con la massima libertà d'azione.
Come messaggero degli dèi egli era anche il dio dei sogni, perché i sogni erano considerati come messaggi divini, e per portare i sogni anche a chi non dormiva con la sua verga magica aveva il potere di addormentare i mortali. Era lui che accompagnava le ombre dei morti nell'Erebo e in questa sua funzione era chiamato Psicopompo.
Questo compito gli viene dal fatto che l'anima era considerata un soffio di vento (Vento che lui personificava).
Fu lui a liberare Ares imprigionato in un vaso di bronzo dagli Aloadi. Sempre lui come protettore dei mercati, mise all'asta Eracle.
Fu lui a donare la falce d'acciaio a Perseo e la spada a Eracle. Suoi attributi erano: il Cadùceo, i calzari alati e la cappa che rende invisibile.
Fra le sue avventure amorose c'è la casta Chione; Ermes con la sua bacchetta magica la addormentò per possederla tranquillamente.
Un'altra volta si innamorò di Apemosine, ma la fanciulla non appena lo vedeva fuggiva e il dio non riusciva a raggiungerla dato che era velocissima; allora l'astuto Ermes stese sulla sua strada delle pelli non ancora conciate: Apemosine, di ritorno dalla fonte, scivolò, e Ermes la violentò.
Altro suo amore fu Erse che gli diede il figlio Cefalo.
Una curiosità: secondo Cicerone nella “Natura degli dèi”, il dio Pan è figlio di Ermes e Penelope, la sposa di Ulisse.
Presenze letterarie di maggiore rilevanza:
Iconografia:
Galinzia o Galanti
Γάλανϑις ἤ Γαλινϑιάς, vergine figlia di Prèto, Era la mutò in donnola per averla ingannata e derisa il giorno della nascita di Eracle. La dea Era per ritardare il parto ad Alcmena, si era presentata nelle spoglie di vecchia nella casa di Anfitrione in compagnia delle Moire e di Ilizia, ma Galinzia avendo notato la sgradevole presenza, disse che già Alcmena aveva partorito un figlio.
Frastornate da questa notizia, le dee alzarono incautamente le mani e Alcmena diede i natali a Eracle. Le dee ne provarono dispetto e privarono Galinzia della sua natura di donna perché, pur essendo mortale, aveva preso in giro gli dèi.
Eracle divenuto adulto eresse una statua a Galinzia presso la quale era solito offrirle
dei sacrifici.
Glauco
1) Γλαῦκος, figlio di un pescatore della Beozia, un giorno vide che i pesci da lui presi se posati su una certa erba, riprendevano la vita e il movimento. Così provò a mangiarla e si ritrovò trasformato in divinità marina. Amava Scilla e per farla sua ricorse alla magia di Circe ma questa, che era innamorata di lui, per gelosia mutò la ragazza in un orribile mostro.
2) Figlio di Minosse e di Pasifae, da bambino cadde in un vaso di miele soffocando ma Asclepio lo fece rivivere. Un'altra versione del mito narra che Glauco, da bambino, dando la caccia a un topo morì cadendo in una giara piena di miele. Minosse, allora, lo cercò ovunque e alla fine ricorse alla divinazione. Chiamato l'indovino Poliido, Minosse gli ordinò di cercare il bambino; Poliido trovò il cadavere del bambino ma Minosse gli ordinò di renderglielo vivo e lo imprigionò insieme al cadavere di Glauco. L'indovino non sapeva proprio che pesci pigliare; quando vide un serpente che si avvicinava al cadavere, temendo per la sua vita, prese un sasso e uccise l'animale. Ma subito arrivò un altro serpente che guardò il serpente morto e se ne andò via ritornando poco dopo con un'erba che appoggiò sul corpo del serpente morto. Non appena quell'erba lo toccò, il serpente riprese a vivere. Poliido, stupefatto di quanto aveva visto, immediatamente prese quell'erba, la pose sul corpo di Glauco e il bambino tornò in vita.
3) Figlio di Sisifo e di Merope, era il padre di Bellerofonte, morì durante i giochi funebri in onore di Pelia, nella gara equestre, travolto e divorato dalle proprie cavalle, da lui tenute lontane dall'accoppiamento e nutrite con carne umana
IERACE - Ἱέραξ
Famoso per essere un uomo giusto, viveva in Bitinia dove aveva fondato diversi santuari in onore di Demetra, ovviamente la dea lo ricambiava dandogli raccolti eccezionali. Vediamo adesso cosa ha di straordinario per essere menzionato fra i miti: i Teucri per negligenza si scordavano di sacrificare a Poseidone, allora il dio adirato, distrusse i frutti della terra e fece emergere dal mare un terribile mostro che scagliò contro di loro. I Teucri non potendo resistere alla fame e assediati dalla bestia, inviarono dei messaggi a Ierace perché li salvasse dalla sicura morte per fame. Ierace immediatamente approntò dei carichi enormi di viveri e li fece pervenire ai Teucri.
A questo punto Poseidone estremamente arrabbiato con Ierace, per vendetta lo mutò in sparviero in modo che mutasse il consesso che fino a quel momento avevo ricevuto: ovvero, mentre gli uomini nutrivano per lui grande stima e attrazione, lo fece detestare dagli uccelli di cui faceva strage.
Ifigenia
Ἰφιγένεια, il mito più diffuso narra che era figlia di Agamennone e di Clitennestra.
Secondo altre versioni, Ifigenia era figlia di Elena e di Teseo.
Adesso vi racconto i fatti: quando la bella Elena, era ancora una bambina fu rapita da Teseo, (il lurido porco e depravato, perché la piccola aveva un’età compresa dai 7 ai 12 anni, mentre il pedofilo ne aveva 50 di anni e in un frammento di Aristofane si dice che la ragazza fu addirittura sodomizzata.) che la violò e da questo atto ignobile, nacque Ifigenia.
Dopo essere stata liberata dai Dioscuri, Elena riferì di essere ancora vergine e la sorella Clitennestra allevò Ifigenia facendola passare come figlia sua.
Ora ritorniamo al mito più diffuso: quando Agamennone con la sua flotta doveva partire nella spedizione contro Troia, aveva dei forti venti contrari che gli impedivano di prendere il largo.
Interpellato Calcante ebbe come responso quello di dover offrire in sacrificio ad Artemide la più bella delle sue figlie (Artemide, infatti, era infuriata contro di lui, perché un giorno, tirando a un cervo, aveva detto: «Neanche Artemide ci sarebbe riuscita! »).
In caso contrario non ci sarebbe stata nessuna possibilità di salpare.
Così l’ignobile padre mandò Odisseo e Taltibio da Clitennestra, con l'ordine di consegnare a loro Ifigenia, perché venisse data in sposa ad Achille come riconoscimento al suo valore.
Clitennestra, felice per lo sposalizio, consegnò la fanciulla.
L’infame padre, allora, pose la fanciulla sull'altare e stava già per sgozzarla, quando Artemide la rapì, la portò in Tauride e la fece sacerdotessa del suo culto.
Al posto della ragazza, la dea pose sull'altare un cervo.
Licaone
1) Λῠκάων, figlio di Pelasgo, re di Arcadia e grande blasfemo. Licaone, ebbe molte spose con le quali generò cinquanta figli. Tentò assieme a questi di dare in pasto a Zeus carni umane. Molte sono le varianti di questo mito, ma tutte concordano nell'indicare, quale causa del barbaro atto dei figli di Licaone, la loro volontà di provare se l'ospite fosse effettivamente un dio. I figli di Licaone superavano tutti gli uomini in superbia ed empietà. Zeus li volle mettere alla prova: si travestì da mendicante e andò da loro. Essi lo ospitarono, poi uccisero un bambino del paese, mescolarono le sue carni alle carni del sacrificio, e gliele offrirono. Zeus, disgustato, rovesciò la tavola, fulminò i figli di Licaone, tranne Nittimo, il più piccolo, perché Gea lo fermò. Licaone fu trasformato in lupo (e il suo nome stesso rivela infatti una connessione con lykos, "lupo"). Nittimo salì al trono, ma durante il suo regno avvenne il diluvio di Deucalione. Si dice che il diluvio fu causato proprio dall'empietà dei figli di Licaone.
Licàone prima si fa beffe dei devoti, poi dice: "Voglio accertare, con prova lampante, che questo dio non sia un mortale; e il vero sarà indubitabile". Di notte, immerso nel sonno, m'avrebbe ucciso a tradimento: questa era la prova della verità che intendeva. Non contento, sgozza col pugnale un ostaggio inviatogli dalla gente di Molossia, e quelle membra ancora palpitanti nell'acqua bollente parte le lessa e parte le arrostisce al fuoco. Non ha il tempo d'imbandirmele, che con la fiamma vendicatrice su sé stessa io faccio crollare quella casa degna del padrone. Atterrito fugge e raggiunta la campagna silenziosa lancia ululati, tentando di parlare. La rabbia gli sale al volto dal profondo e assetato come sempre di sangue si rivolge contro le greggi e tuttora gode del sangue. Le vesti si trasformano in pelo, le braccia in zampe: ed è lupo, ma della forma antica serba tracce.(Ovidio, Metamorfosi I 163 e ss.); anche Igino, Favole 176 e 225; Eratostene, Catasterismi 8; Nonno, Dionisiache XVIII, 20 ss).
Curiosità:
ci sono delle discordanze che riguardano invece la figura di Licaone stesso: alcuni autori lo considerano, al contrario dei suoi figli, uomo di grande devozione, che gli dèi in persona frequentavano, scatenando l'empia incredulità dei figli.
Il racconto è certamente correlato con la presenza di sacrifici umani nei rituali in onore di Zeus Licio, in Arcadia, di cui si ha testimonianza ancora in epoca storica.
2) Figlio di Priamo e di Ecuba, fu catturato e in seguito ucciso da Achille. A quanto pare il numero 50 non è fortunato per coloro che si chiamano Licaone.Io
Ἰώ, figlia di Inaco (o di Iaso o di Pireno), primo re di Argo.
La bella Io, principessa di Argo, nonostante fosse sacerdotessa della dea Era, fu impalmata da Zeus che si unì a lei avvolgendola in una fitta caligine.
Il fatto non sfuggì alla sospettosa Era che, calata dal cielo, ordinò alle nebbie di ritirarsi; ma Zeus, che aveva previsto l'arrivo della consorte, fece in tempo a mutare la figura di Io in quella di una bella giovenca bianca.
(Un'altra versione del mito narra che Zeus aveva ispirato alla fanciulla dei sogni erotici che la invitavano a recarsi sulle rive del lago di Lerna e lì abbandonarsi alle brame del dio.
Inaco fece interrogare gli oracoli di Delfi e di Dodona e apprese che per evitare la distruzione della casa e il divino furore, la bella Io doveva sottostare alle voglie di Zeus).
Comunque sia Zeus, mentendo, giurò alla sposa di non essersi mai accostato a Io.
Da questo mito nasce il “Giuramento di Afrodite”, secondo il quale gli spergiuri nelle questioni di cuore non hanno valore.
Era, fingendo di non sapere, lodò l'aspetto dell'animale e costrinse il marito a fargliene dono, quindi la affidò alla custodia dei cento occhi di Argo.
Ma Zeus, che non sopportava di vedere Io così umiliata, chiese a Ermes di liberarla e il giovane dio, pur essendo il più abile dei ladri, dovette addormentare Argo al magico suono di un flauto prima di mozzargli il capo.
Era fissò i cento occhi di Argo nelle penne del pavone, animale a lei sacro, poi perseguitò la giovenca Io con le intollerabili punture di un tafano e la costrinse a vagare da una regione all'altra del mondo in preda alla frenesia.
L'infelice trovò finalmente ristoro e riposo sulla riva del Nilo, dove ritornò alle sue fattezze originarie e generò a Zeus il figlio Epafo.
Le genti egiziane venerarono Io col nome di Iside.
La storia di Io e del suo tormentato vagabondare è mirabilmente narrata da Eschilo nel (Prometeo incatenato 561 ss.).
Meleagridi
Le Meleagridi (Μελεαγρίδες) erano le sorelle dell'eroe Meleagro, figlio del re Oineo di Calidone e di Altea. I loro nomi variano leggermente nelle diverse fonti, ma spesso sono menzionate Gorghe e Deianira (quest'ultima la futura sposa di Eracle, pur non essendo inclusa tra le Meleagridi trasformate). La loro storia di metamorfosi è direttamente collegata alla tragica fine di Meleagro e alla maledizione che gravava su di lui a causa della sua stessa madre, Altea. Il re Oineo aveva offeso Artemide non includendola nei sacrifici annuali. La dea, per vendetta, inviò un gigantesco e feroce cinghiale a devastare la regione di Calidone. Meleagro radunò i più valorosi eroi della Grecia per dare la caccia alla bestia. Durante la caccia, Meleagro si distinse per il suo valore e uccise il cinghiale. A seguito della caccia, sorse una disputa sulla pelle del cinghiale. Meleagro la donò ad Atalanta, l'eroina cacciatrice di cui si era invaghito. Questo scatenò l'ira degli zii materni di Meleagro (i fratelli di Altea), che reclamavano la pelle. Meleagro, per difendere Atalanta, li uccise. La madre di Meleagro, Altea, aveva ricevuto dalle Moire (Parche) al momento della nascita del figlio una predizione: la sua vita sarebbe durata finché un certo tizzone di legno, che in quel momento stava bruciando nel focolare, non si fosse consumato. Altea aveva accuratamente spento e conservato quel tizzone. Quando scoprì che Meleagro aveva ucciso i suoi fratelli (i suoi zii), in un impeto di dolore e rabbia materno-fraterna, Altea gettò il tizzone nel fuoco. Appena il tizzone si consumò, Meleagro morì tra atroci sofferenze. Le sorelle di Meleagro, le Meleagridi, piansero disperatamente e ininterrottamente la morte del fratello. Il loro lutto era così profondo e incessante che superò ogni limite umano. Vagavano nei boschi, urlando e lamentandosi, graffiandosi il volto e battenzando il petto in segno di dolore. La dea Artemide, sebbene fosse stata la causa indiretta di gran parte della tragedia (con l'invio del cinghiale), ebbe pietà del loro dolore smisurato. Tuttavia, non potendo sopportare le loro continue e strazianti lamentele, o forse per onorare il loro legame con Meleagro (o per punirle ulteriormente per il lutto eccessivo in alcune interpretazioni minoritarie), decise di trasformarle. Le Meleagridi furono trasformate in galline faraone (o galline numidiche, o meleagri, da cui il loro nome). Si dice che conservarono il loro lamento sotto forma del verso caratteristico e stridulo di questi uccelli, e che le lacrime che versavano si fossero trasformate in quelle macchie bianche che ornano il piumaggio scuro di queste galline. Ovidio specifica che rimasero in forma umana solo due di loro, Deianira e Gorghe, che non furono trasformate. A. Liberale (Metamorfosi, II), racconta che due figlie di Altea - Gorga e Deianira ripresero la forma umana grazie all’intervento di Dioniso, cui Artemide concesse questo favore.
Metioche e Menippe
Metioche: Μετιόχη - Menippe: Μενίππη. Le Sorelle Sacrificate per la Patria e Trasformate in Comete
Metioche e Menippe erano le figlie di Orione, il famoso cacciatore gigante. La loro storia è ambientata in Beozia, nella città di Tanagra. Erano famose per la loro bellezza e la loro eccezionale abilità nel tessere.
La città di Tanagra, dove vivevano Metioche e Menippe con il loro padre Orione, fu colpita da una terribile carestia e una devastante pestilenza. La terra era sterile, le malattie si diffondevano e la popolazione soffriva immensamente.
Di fronte a questa calamità, i cittadini consultarono l'oracolo di Apollo per trovare una soluzione. Il responso fu terribile: per placare gli dèi e porre fine alle sofferenze, la città doveva sacrificare due vergini che si fossero offerte volontariamente per la salvezza della patria. Questo sacrificio avrebbe placato la divinità responsabile della pestilenza.
Metioche e Menippe, spinte da un profondo amore per la loro patria e per i loro concittadini, decisero coraggiosamente di offrirsi volontariamente per il sacrificio. Nonostante la loro giovane età e la loro bellezza, affrontarono il destino con fermezza.
Dopo il loro sacrificio (in alcune versioni, si trafiggono da sole con la conocchia o vengono giustiziate dal popolo), Persefone (la dea degli Inferi) e Ade (il dio dei morti), commossi dal loro altruismo e dal loro nobile gesto, decisero di onorarle in un modo straordinario. Non le lasciarono semplicemente morire, ma le trasformarono in comete (o stelle, o astri luminosi) che brillavano nel cielo.
In onore del loro sacrificio, gli abitanti di Tanagra istituirono un culto per Metioche e Menippe, che venivano venerate come eroine o divinità, e annualmente venivano offerti sacrifici in loro memoria.
A differenza di molte metamorfosi che sono punizioni, quella di Metioche e Menippe è un onore divino. La loro trasformazione in corpi celesti simboleggia la loro immortalità e il loro ricordo eterno, un premio per la loro virtù e il loro sacrificio.
Miniadi
Μινυάδες, erano le figlie di Minia figlio di Orcomeno, esse erano: Leucippe, Arsippe e Alcatoe. Le tre ragazze erano eccessivamente laboriose e (passatemi il termine) zitellose, non facevano altro che cardare la lana e disprezzare le altre donne che festeggiando, lasciavano la città per andare appresso a Dioniso e alle baccanti. Un giorno Dioniso, preso l'aspetto di un giovane, esortò le figlie di Minia a non disertare e a non disprezzare il culto di Dioniso e i suoi misteri. Le ragazze non vollero prestargli attenzione dicendo che erano fedeli a una dea migliore, Atena. Allora il dio, irritato dal loro comportamento, si mutò prima in toro, poi in leone e poi ancora in pantera, mentre dai telai in suo onore colavano latte e miele. Di fronte a questi eventi le tre zitellone furono prese dalla paura e dalla follia, quindi Leucippe che in preda a questa follia aveva fatto voto di offrire una vittima al dio, con l'aiuto delle sorelle, fece a pezzi il proprio figlioletto Ippaso. Infine, pervase dal furore del dio, lasciarono la casa paterna e andarono sui monti al seguito delle Baccanti. Ma il dio non ancora contento della punizione che aveva inferto alle sventurate, le mutò in uccelli: una di loro divenne nottola, l'altra civetta, la terza gufo. E tutt'e tre fuggirono la luce del sole. Secondo Ovidio furono mutate in pipistrelli:
Le sorelle cercano un riparo nella casa invasa dal fumo,
chi in un luogo chi in un altro, per evitare le vampe del fuoco;
e mentre corrono al rifugio, fra gli arti atrofizzati si stende
una membrana e imprigiona loro le braccia in un velo sottile.
Le tenebre non permettono di capire come abbiano perso
l'aspetto primitivo. Non si librano con l'aiuto di penne,
eppure si sostengono con ali trasparenti,
e quando tentano di parlare emettono un verso fievole
a misura del corpo e si lamentano con sommessi squittii.
Abitano sotto i tetti, non nei boschi; odiando la luce,
volano di notte e prendono il nome dal vespro inoltrato (Metamorfosi IV)
Per approfondimenti A. Liberale, Metamorfosi N° 10; Eliano, Storie varie III, 42.
Nereidi
Νηρηΐδες, le cinquanta figlie del dio Nereo, Ninfe marine del Mediterraneo, distinte dalle Naiadi, che erano le Ninfe delle acque dolci, e dalle Oceanine, Ninfe dell'Oceano. La più celebre delle Nereidi fu Tetide, madre di Achille.
Offese da Cassiopea, le Nereidi furono vendicate da Poseidone che pretese il sacrificio di Andromeda.
Ecco i loro nomi (secondo Apollodoro, sono 45, contro le 51 riportate nella Teogonia di Esiodo, però lo stesso Esiodo afferma che esse sono 50.
Anche Omero afferma che sono 50 Iliade XVIII 39-49): Cimotoe, Speio, Glauconome, Nausitoe, Alie, Erato, Sao, Anfitrite, Eunice, Teti, Eulimene, Agave, Eudore, Doto, Ferusa, Galatea, Actea, Pontomedusa, Ippotoe, Lisianassa, Cimo, Eione, Alimede, Plessaure, Eucrante, Proto, Calipso, Panope, Cranto, Neomeris, Ipponoe, Ianira, Polínome, Autonoe, Melite, Dione, Nesea, Dero, Evagore, Psamate, Eumolpe, Ione, Dinamene, Ceto e Limnoria.
Niobe
1) Νιόβη, figlia di Tantalo e sposa di Anfione. Madre di 14 figli, sette femmine e sette maschi. A quanto pare la sua è stata una famiglia di blasfemi peccatori: il padre di lei, aveva osato imbandire carni umane agli dèi, invece Niobe peccò nei confronti di Leto, madre di Apollo e di Artemide. Ma vediamo come fu che attirò su di lei la tremenda vendetta divina: Niobe orgogliosa di una prole numerosa, osò interrompere un rito dedicato alla dea, scacciando via dal tempio i fedeli che stavano sacrificando in onore a Leto, dicendo:Chiedetevi ora se il mio orgoglio non abbia ragione d'essere,
e non permettetevi di preferirmi Latona,
nata da Ceo, un Titano qualunque,
Latona, a cui per sgravarsi
la terra pur vastissima negò a quel tempo il più piccolo luogo.
Né in cielo né in terra né in mare fu accolta la vostra dea;
bandita dal mondo, se ne andava errabonda, finché impietositasi
Delo le disse: "Straniera tu vaghi sulla terra, io sul mare",
e le offrì un malfermo approdo. Così divenne madre
di due figli:
un settimo di quelli che ho partorito io!
Sono felice: chi mai potrebbe negarlo? e sempre lo sarò:
anche di ciò chi può dubitarne? L'abbondanza mi rassicura.
Troppo grande sono perché la Fortuna mi possa nuocere:
anche se molto mi togliesse, molto di più dovrebbe lasciarmi.
La mia prosperità allontana i timori. Mettiamo pure
che da questa folla di figli me ne venga sottratto qualcuno:
per quanto spogliata, mai sarò ridotta ad averne solo due,
come Latona. Che differenza c'è fra lei e chi non ha figli?
Via, andatevene da questa cerimonia, e toglietevi il lauro
dai capelli!». (Ovidio, Metamorfosi VI, 146 ss.)
Dopo essersi così vantata i due divini figli di Leto, sdegnati della sua insolenza, uccisero la sua numerosa prole. Tutte le femmine vennero uccise nel palazzo dalle frecce di Artemide; e tutti i maschi furono uccisi da Apollo mentre erano a caccia sul monte Citerone.
Dall'eccidio si salvarono solo un maschio e una femmina che in tempo pregarono Leto affinché li perdonasse. Dopo l'eccidio la sfortunata sacrilega lasciò Tebe e si rifugiò dal padre per averne conforto ma, in piena crisi di dolore, invocò la pietà divina.
Zeus, impietosito, la ascoltò e la mutò in pietra; da allora quella pietra giorno e notte versa delle lacrime che alimentano un ruscello che bagna la pianura.
Gli autori antichi davano differenti versioni sia del numero dei figli di Niobe (come ricorda anche Apollodoro), che del luogo della loro uccisione: e in Apollodoro sembra peraltro restare traccia di una certa confusione.
Per la famosa leggenda di Niobe, Omero, Iliade XXIV, 602 ss.; Diodoro Siculo 4, 74; Pausania 1, 21, 3; 2,21, 9; 5, 11,2; 8, 2,5-7; Eschilo e Sofocle dedicarono entrambi alla storia di Niobe una tragedia, di cui rimangono alcuni frammenti.
Anche l'arte figurata si ispirò spesso all'uccisione dei Niobidi: di grande importanza il gruppo statuario scoperto sull'Esquilino nel 1583, e ora conservato agli Uffizi, copia romana di un originale di Scopa o di Prassitele.
2) Niobe, figlia di Foroneo, era una sorta di madre primordiale, generatrice delle cose viventi; si diceva infatti che da lei e dal suo sposo Ecateo fossero derivati i Satiri e i Cureti.
Pelope
Πέλοψ, figlio sventurato di Tantalo.
Per onorare gli dèi durante un festino, Tantalo uccise Pelope, lo cucinò, e lo offrì ai suoi divini ospiti per sfidare l'onniveggenza divina.
Gli dèi riconobbero quella carne e non la mangiarono, tranne Demetra, (la dea sconvolta per il rapimento di sua figlia Persefone), assaggiò un pezzetto di spalla. Gli dèi dopo avere sprofondato Tantalo nel Tartaro e lanciato una maledizione alla sua stirpe, risuscitarono Pelope che ritornò in vita più bello di prima, al posto della spalla mancante gliene venne adattata una d'avorio.
Poseidone attratto dalla bellezza del giovane ne volle fare il suo amato e per comprare i suoi favori gli donò un carro volante che poteva correre anche sul mare, senza nemmeno bagnare le ruote.
Un malaugurato giorno si innamorò di Ippodamia, figlia di Enomao re di Pisa, che possedeva dei cavalli invincibili nella corsa. A Enomao un oracolo gli aveva predetto la morte per mano del genero.
Possiamo quindi immaginare la gioia che provava quando la figlia veniva chiesta in sposa. Per evitare che ci fossero pretendenti alla mano della figlia Enomao li sfidava a una gara sul cocchio e dopo averli battuti li uccideva.
Pelope per amore della ragazza partecipò alla gara e con l'inganno, riuscì a vincere. Infatti aveva convinto l'auriga del re (un certo Mirtilo) a segare parzialmente l'asse del carro, durante la gara l'asse si spezzò causando la morte di Enomao. Pelope sposò Ippodamia, ma un giorno mentre si era allontanato per prendere dell'acqua, Mirtilo tentò di violentarla.
Quando la donna riferì i fatti allo sposo, Pelope buttò Mirtilo in mare e mentre precipitava, Mirtilo ebbe il tempo di lanciare una maledizione contro la stirpe di Pelope (con questa è la seconda maledizione che riceve).
Raggiunto che ebbe l'Oceano fu da Efesto purificato, poi prese il trono di Pisa e diede il nome di Peloponneso a tutta la regione.
Fra i suoi maledetti figli ci furono Tieste, Atreo capostipite della maledettissima stirpe degli Atridi.
(Omero, Odissea XI, 582 ss.; Pindaro, Olimpiche I, 36 ss.; Euripide, Oreste 4 ss..
Curiosità
Amato da Posidone, Pelope fu trasportato all’Olimpo, dove servì il dio come coppiere, ma fu rinviato tra i mortali quando Tantalo venne punito dagli dei.
Perifante
Περίφας, questo mito ci è stato tramandato da Antonino Liberale nelle Metamorfosi, VI
autoctono dell’Attica, visse prima di Cecrope, il figlio di Gea. Regnò sugli uomini di quel tempo e fu giusto e pio. Offriva molti sacrifici ad Apollo ed era giusto giudice in molti processi. Il suo governo era da tutti ben accolto e il merito delle sue opere indusse gli uomini a compiere per lui i sacrifici e il culto destinati a Zeus: fondarono in suo onore santuari e templi e lo acclamarono come Zeus Salvatore Epopsio Meilichio. Zeus indispettito per questo aveva deciso di ridurre in cenere Perifante fulminandolo quando intervenne Apollo a pregarlo di non annientare un uomo che gli rendeva lauti onori. Il dio si rassegnò alla preghiera di Apollo e si recò da Perifante sorprendendolo in dolci atteggiamenti con la moglie Phene: lo strinse fra le mani e lo trasformò in aquila. La donna non volendo vivere senza il marito, pregò Zeus di trasformare anche lei in uccello e Zeus esaudendola la mutò in gipeto. Dato che in vita era stato un uomo giusto e pietoso, Zeus accordò a Perifante alcuni onori: gli diede la regalità su tutti gli uccelli, il compito di far la guardia allo scettro sacro. Alla moglie trasformata in gipeto accordò di manifestarsi ai viventi come buon presagio delle loro azioni.
Perseo
Περσεύς, figlio di Danae e di Zeus e nipote di Acrisio re di Argo.
Polidette re di Serifo, aveva accolto Danae quando il padre l’aveva chiusa in una arca e buttata in mare.
Polidette voleva sposare Danae e considerava d'impaccio il giovane Perseo che era contrario a questo matrimonio, allora il re pensò di toglierselo dai piedi spingendo il giovane ad imprese impossibili.
Perseo, con l'incoscienza della gioventù, dichiarò che era capace di portare la testa della Medusa a Polidette e questi lo prese in parola.
Perseo si avviò dunque senza nemmeno sapere dove trovare la Gorgone, ma Atena ed Ermes lo misero sotto la loro protezione, il dio gli regalò una scimitarra seghettata, dei calzari alati che lo facevano volare e un elmo che rendeva invisibili chi lo indossava e gli disse di chiedere alle Graie, che abitavano a nord ed erano in possesso di notizie utili.
Perseo, raggiunse le Graie, si impossessò dell’unico occhio delle tre dee e con quello, ricattandole si fece dire dove trovare le Gorgoni.
Poco lontano dal giardino delle Esperidi oltre l'Oceano, Perseo trovò le Gorgoni addormentate, per evitare l'effetto pietrificante della loro vista si avvicinò voltato guardando attraverso lo scudo che Atena gli aveva donato e che reggeva come uno specchio; la dea gli guidò la mano quando con la scimitarra tagliò la testa a Medusa.
Dal collo mozzato assieme al sangue uscirono il cavallo alato Pegaso e Crisaore.
Senza guardare mise la terribile testa nella bisaccia e grazie ai calzari alati, volando, fece ritorno a casa; durante il viaggio, dalla bisaccia cadevano delle gocce di sangue: quelle che cadevano nel deserto diventavano vipere e quelle che finivano in mare si trasformavano in corallo.
Le altre Gorgoni al risveglio, vedendo la sorella decapitata, si precipitarono a inseguire Perseo, che grazie all'elmo dell'invisibilità riuscì a sfuggire alla vendetta delle Ninfe Stigee.
Stanco di volare, chiese ospitalità ad Atlante che rifiutò; allora Perseo, irato, prese la testa di Medusa e mostrandogliela lo mutò nella montagna che anche oggi ne porta il nome.
La mattina dopo Perseo riprese il volo verso casa ma non giunse tanto presto a causa della sua avventura con Andromeda. Pur non avendo colpa della morte del nonno, Perseo non volle succedergli sul trono di Trezene e lo scambiò con quello di Tirinto e nei pressi fondò Micene.
Le mura della città furono edificate dai Ciclopi.
Dopo moltissimi anni di regno sereno gli toccò affrontare l'invasione di Dioniso con i suoi Satiri e menadi, che volevano introdurre il culto orgiastico del dio, ma né Perseo né i suoi sudditi volevano saperne. Dioniso, allora, colpì le loro donne con la pazzia che incominciarono ad uccidere i loro figli.
Perseo, incoraggiato da Era che detestava Dioniso (figlio bastardo di Zeus), incontrò l'orda in battaglia campale e mutò in pietra Arianna; Dioniso, infuriato per la perdita della sposa, distrusse Micene.
A quel punto intervenne Zeus che inviò Ermes per ricordar loro di essere entrambi figli suoi e placò l'animo di Dioniso dicendogli che Arianna sarebbe stata posta fra le stelle.
Alla sua morte Perseo fu posto fra le stelle dell’emisfero boreale.
Pico
Pico era un'antica divinità italica e, in alcune tradizioni, viene considerato uno dei primi re del Lazio, spesso associato alla città di Laurentum (l'odierna Pratica di Mare). Era figlio di Saturno (o Stercolo, una divinità legata alla fertilità della terra) e sposo della ninfa Canente. La sua bellezza era proverbiale, e si diceva fosse anche un grande amante dei cavalli e un abile cacciatore. Pico era un uomo di rara bellezza e di grande virtù, e la sua fedeltà alla moglie Canente era incrollabile. Un giorno, mentre era a caccia di cinghiali nei boschi del Monte Circeo (vicino alla dimora di Circe), fu notato dalla maga. Circe, famosa per la sua bellezza e le sue arti magiche, si innamorò perdutamente di Pico non appena lo vide. Desiderosa di averlo per sé, cercò di sedurlo con lusinghe e incantesimi. Pico, tuttavia, fedele a Canente, respinse le avances di Circe in modo categorico. La maga, ferita nel suo orgoglio e infuriata per il rifiuto, decise di vendicarsi. Con i suoi poteri, colpì Pico con la sua verga magica e recitò incantesimi, trasformandolo in un picchio ed ancora oggi l'uccello picchia i tronchi degli alberi perché non riesce a sciogliere l'incantesimo che lo lega a quelle forme.
Proteo
Πρωτεύς, dio marino che per incarico di Poseidone custodiva le foche e i vitelli marini. Come tutte le divinità marine aveva il dono della divinazione e capacità metamorfiche.
Era molto difficoltoso ottenere i suoi vaticini e per questo bisognava sorprenderlo nel sonno, legarlo ben stretto e non avere paura delle sembianze di leone, pantera, drago, cinghiale, di fuoco ardente o di albero che assumeva per sfuggire alle domande che gli venivano rivolte.
Solo se il dio non riusciva a liberarsi concedeva di svelare il futuro.
Abitava l’isola di Faro in prossimità dell’Egitto.
Fu lui a predirre a Teti che Achille sarebbe morto nella guerra di Troia.
Scilla E Cariddi
1) Σκύλλᾰ καί Χάρυβδις, le due rupi poste tra l'Italia peninsulare e la Sicilia, affacciate sullo stretto di Messina, note fin dall'antichità per il pericolo che rappresentavano per la navigazione e ritenute sede di due terribili mostri chiamati con quei nomi.
Scilla viveva sulla rupe posta in prossimità di Reggio Calabria, figlia di Crateide e Trieno, oppure di Forco e di Ecate.
Si dice che prima era una ragazza bellissima; innamoratasi di Glauco fu mutata, per gelosia, da Circe in un essere mostruoso.
Aveva, infatti, il volto e il petto di donna ma ai fianchi aveva dodici piedi e sei lunghi colli sormontati da altrettante teste di cane; in ognuna delle sei bocche aveva tre file di denti e latrava.
Cariddi era figlia di Poseidone e di Gea, era un mostro voracissimo; per avere rapito una mandria a Eracle, Zeus la punì fulminandola e facendola cadere sulla costa siciliana di fronte a Scilla.
Stava appostata invisibile sotto un alto albero di fico e tre volte al giorno inghiottiva le acque dello stretto e dopo le rivomitava in mare.
2) Altra Scilla, era figlia di re Niso, del quale ne causò la morte.
Siringa
Σῦριγξ, ninfa Naiade votata alla castità e compagna di Artemide con la quale passava il tempo a cacciare.
Era riuscita a sfuggire più volte agli assalti di Satiri e dèi, un giorno però accadde qualcosa di diverso.
Pan si era innamorato di lei e la inseguiva per farla sua; Siringa per potere mantenere la sua verginità, fuggendo inseguita da quella specie di dio caprone, giunse in prossimità del Ladone:
impedendole il fiume di correre oltre, invocasse le sorelle dell'acqua di mutarle forma; come Pan, quando credeva d'aver ghermito ormai Siringa, stringesse, in luogo del suo corpo, un ciuffo di canne palustri e si sciogliesse in sospiri: allora il vento, vibrando nelle canne, produsse un suono delicato, simile a un lamento e il dio incantato dalla dolcezza tutta nuova di quella musica: «Così, così continuerò a parlarti», disse e, saldate fra loro con la cera alcune canne diseguali, mantenne allo strumento il nome della sua fanciulla. (Ovidio, Metamorfosi I).
Quando Pan giunse al fiume usando quel giunco, costruì il flauto e lo chiamò Sirynx per ricordare la sua amata.
Smirna
Smirna Σμύρνα (o Mirra Μύρρα): L'Amore Incestuoso e la Trasformazione nell'Albero di Mirra
Smirna (o Mirra, come è più comunemente conosciuta in diverse tradizioni) era la figlia di Cinira, re di Cipro (o dell'Assiria, a seconda delle versioni), e della regina Cencreide (o di Metarme). La sua storia è un monito contro l'amore proibito e le conseguenze devastanti della hybris e del destino. Smirna fu colpita da un'insana e irresistibile passione per il proprio padre, Cinira. Questo amore incestuoso era un'aberrazione, una maledizione inviata da Afrodite (o Venere) come punizione per aver trascurato i suoi riti, o a causa di un destino ineluttabile. Smirna lottò disperatamente contro questo desiderio innaturale, ma fu sopraffatta dalla sua intensità. Consumata dalla sofferenza e dal tormento, Smirna confessò la sua passione alla sua vecchia nutrice. La nutrice, sconvolta, cercò inizialmente di dissuaderla, ma di fronte alla determinazione della ragazza (che minacciava il suicidio), acconsentì a aiutarla, seppur con riluttanza Approfittando dell'oscurità e con l'aiuto della nutrice, che mantenne il segreto e agì come intermediaria, Cinira fu indotto a congiungersi con una donna sconosciuta, credendo che fosse una serva o un'altra amante, senza sospettare che fosse sua figlia. Questo accadde per diverse notti. Dopo un certo tempo, Cinira, mosso dalla curiosità di vedere il volto della sua amante misteriosa, accese una lampada. Con orrore, scoprì che la donna con cui aveva giaciuto era sua figlia Smirna. Accecato dalla rabbia e dalla vergogna, Cinira brandì una spada per ucciderla. Smirna fuggì disperatamente dal padre, invocando gli dèi di liberarla dalla vita, che ormai le sembrava un'onta insopportabile, e di trasformarla in qualcosa che non fosse né viva né morta, per sfuggire alla sua colpa e alla vendetta paterna. Gli dèi, mossi a pietà (o per sottrarre il suo peccato alla vista umana), la esaudirono. Mentre Cinira stava per raggiungerla, Smirna fu trasformata in un albero di mirra. La trasformazione non fu immediata: Ovidio descrive come i suoi piedi si radicarono, la pelle si trasformò in corteccia, le braccia in rami, ma le sue lacrime continuarono a scorrere dalla corteccia, formando la resina profumata della mirra. Nove mesi dopo la sua trasformazione, dalla corteccia dell'albero di mirra si schiuse un neonato bellissimo: era Adone, frutto dell'unione incestuosa. Fu allevato dalle ninfe e divenne poi l'amato di Afrodite e Persefone.
Teseo
Θησεύς, figlio di Egeo re di Atene e di Etra figlia di Pitteo re di Trezene.
Nella stessa notte ad Etra si accoppiarono sia Poseidone che Egeo legittimo sposo, ma la donna fu ingravidata solo dal dio, che lasciò ben volentieri ai due mortali, la gravosità di allevare il piccolo che sarebbe nato.
Per motivi a noi sconosciuti Pitteo volle che il matrimonio tra Egeo e Etra restasse segreto.
Intanto Egeo dovendo ritornare ad Atene per curare gli affari di stato, disse ad Etra che il figlio che sarebbe nato doveva essere chiamato Teseo e quando avrebbe avuto la forza e l'età per conoscere il padre doveva portarlo dinanzi all'enorme macigno sotto il quale Egeo aveva riposto la sua spada e i suoi sandali: il figlio avrebbe dovuto sollevare il macigno con le proprie forze e se fosse stato capace di tanto avrebbe dovuto prendere spada e sandali e andare dal padre ad Atene.
Qualche tempo dopo nacque Teseo.
A sedici anni fu condotto dalla madre dinanzi al macigno sotto il quale il padre aveva riposto la spada e i sandali.
Il giovane senza sforzo sollevò il macigno e presi sandali e spada li indossò e partì alla volta di Atene per andare a conoscere il padre Egeo.
Per recarsi dal padre, Teseo affrontò delle imprese che lo resero famoso in tutta la Grecia.
La strada che da Trezene portava ad Atene era infestata dai briganti (in realtà eroi locali, talora parenti dello stesso Teseo e spesso figli di dei) e nei pressi di Epidauro s'imbatté nel terribile gigante Perifete che con una mazza di bronzo assaliva e uccideva i passanti per derubarli. Il brigante si slanciò contro Teseo ma stavolta fu Perifete ad avere la peggio e caduto a terra morto, Teseo gli levò la mazza di mano facendone la sua arma preferita.
Più avanti si imbatté in un altro gigante, Sini (che gli era cugino) che uccideva tutti i viandanti. Costui legava i passanti alle cime di due pini che aveva preventivamente piegato, quindi mollava le cime che, riprendendo la posizione originaria, squartavano il malcapitato. Teseo gli fece fare la stessa fine che egli riservava alle sue vittime. (e per sovrapprezzo si unì con la figlia di Sini, Perigune e generando Melanippo.)
Oltre Megaride, Teseo nel passare per uno stretto sentiero di montagna che correva sul ciglio di un precipizio si imbatté in un altro brigante, Scirone (Anche Scirone, secondo una tradizione, era cugino di Teseo, essendo figlio di Enioche figlia di Pitteo.) che fermava i viaggiatori li costringeva a lavargli i piedi e poi con un calcio li precipitava nel burrone. Anche a costui Teseo inflisse la stessa fine.
Nelle vicinanze di Eleusi, Teseo dovette affrontare Procuste. Questi fermava i passanti e dopo averli derubati li faceva stendere su un letto e tagliava tutto quello che fuoriusciva dal letto se invece non arrivavano alla misura del letto, legandoli con delle corde, li stirava finché non arrivavano a toccare la sponda inferiore. Teseo anche questa volta vendicò tutti i malcapitati facendo fare al bandito la stessa fine delle sue vittime.
In parole povere rendeva pan per focaccia.
Finalmente, dopo queste imprese Teseo giunse ad Atene e si recò subito a corte. Egeo lo ricevette e lo accolse benignamente e siccome il giovane gli riuscì simpatico ordinò per il giorno successivo un banchetto in suo onore.
Medea che era moglie di Egeo, da brava maga aveva capito chi fosse l’ospite e nel timore che Egeo affidasse il regno a Teseo e non a suo figlio, convinse il vecchio re che il giovane era venuto per ucciderlo e così preparò una coppa di vino avvelenata che durante il banchetto Egeo offrì al giovane. Teseo, presa la coppa in mano, nell'alzarsi per fare il brindisi con la spada urtò il tavolo attirando così l'attenzione dei presenti sulla spada, Egeo riconobbe subito la spada e capì che Teseo era suo figlio, allora gli fece cadere la coppa fatale e abbracciò teneramente il figlio.
Egeo riconosciuta così la malvagità di Medea la allontanò dal paese.
Teseo, finalmente riconosciuto erede al trono si avvalse del potere per consolidare il trono che con suo padre era diventato vacillante.
Teseo liberò Atene dal tributo che doveva pagare al re di Creta Minosse, mandando periodicamente sette fanciulli e sette fanciulle per essere dati in pasto al Minotauro. Prima della partenza per questa impresa disse al padre di tornare con una vela bianca sulla nave; nel caso in cui fosse morto la nave avrebbe avuto la vela nera. Aiutato da Arianna, la bella figlia del re Minosse, Teseo riuscì a entrare nel Labirinto, uccidere il mostro e portare in salvo gli ostaggi e promettendo ad Arianna di sposarla.
Invece nel viaggio di ritorno, abbandonò la giovane dormiente nell'isola di Nasso. Dimenticatosi di sostituire la vela nera della nave con una bianca, lasciò credere al padre Egeo che il figlio fosse morto; il vecchio dalla disperazione si gettò nel mare che da allora porta il suo nome.
Teseo fece una spedizione contro le Amazzoni e s'impadronì di molte di queste donne col tradimento. Sposò poi una di esse, Antiope da cui ebbe un figlio, Ippolito.
Morta Antiope, Teseo sposò Fedra la quale s'incapricciò di Ippolito; poiché questi la respinse, la perfida donna l'accusò presso il padre. Teseo maledisse il figlio che per effetto di tale maledizione subì una tragica fine; Fedra vinta dai rimorsi, si uccise.
Fatta amicizia con Piritoo, re dei Lapiti, Teseo prese parte alla lite dei Lapiti coi Centauri. Accompagnò poi Piritoo nell'Erebo, quando costui vi scese per rapire Persefone.
L'impresa finì male e Teseo venne poi liberato da Eracle. Tornato ad Atene scoprì che il suo trono era occupato da un usurpatore ed il suo popolo non lo voleva più. Triste si rifugiò a Sciro dove Licomede, re dell'isola, lo uccise a tradimento.
Dopo secoli le sue spoglie furono riportate ad Atene e il popolo lo venerò come l'eroe della stirpe ionica.
Curiosità del mito
Secondo una versione razionalizzante di Filocoro di Atene, Teseo, giunto a Creta, partecipò ai giochi istituiti in suo onore, e nel corso di essi si scontrò nella lotta con l'amante di Pasifae, detto Toro per la sua forza, suscitando l'ammirazione di Minosse stesso, che era contento di veder punito l'amante della moglie, e che perciò liberò il giovane e i suoi compagni.
Tifeo o Tifone
Τῠφωεύς, Personificazione del vento impetuoso del Sud. Dopo che Zeus aveva sconfitto i Giganti, Gea sempre più furibonda per la triste sorte dei figli, con l'intento di vendicarsi si accoppiò con Tartaro e generò questo essere mostruoso. Ecco come Esiodo lo descrive nella Teogonia:
Tifeo fortissimo: aveva
cento gagliarde mani, disposte ad ogni opera, e cento
infaticabili piedi di Nume gagliardo; e di serpe
aveva cento capi, d'orribile drago, e vibrava
cento livide lingue da tutte le orribili teste,
sotto le sopracciglia di fuoco: brillavano gli occhi,
ardevan fiamme , quando guardava, da tutte le teste.
E avevan tutte quante favella le orribili teste,
voci emettevan meravigliose, di tutte le specie.
Ora parlavan sí da intenderle i Numi: muggiti
alti mandavan poi di tauro, d'immenso vigore,
di fiera voce; poi di leone dall'animo crudo;
poscia sembravan guaiti di cuccioli, e a udirli stupivi:
eran boati poi, n'echeggiavano l'alpi sublimi.
Con gli occhi che sprizzavano fiamme, in tutta la sua mostruosa enormità, Tifeo passò all'attacco del cielo, fra urla e sibili, dalla sua bocca sgorgavano torrenti di fuoco.
Gli Olimpi annichilirono a quella visione e mutatisi in animali per non farsi riconoscere fuggirono in Egitto.
L'unico che rimase fu Zeus che armatosi delle sue folgori e del famoso falcetto d'acciao, iniziò a colpire il mostro con le sue saette. Tifeo ferito fuggì via ma Zeus, imprudentemente, vedendolo ferito si avvicinò col suo falcetto per finirlo. Non l'avesse mai fatto; infatti, non appena Zeus fu a tiro delle sue spire, Tifeo lo avvolse e lo immobilizzò, quindi gli strappò il falcetto dalle mani e con lo stesso gli recise i tendini di tutti gli arti rendendolo simile a una marionetta senza fili. Poi Tifeo legò bene il sommo dio e lo condusse in Cilicia nell'antro Coricio dove lo affidò alla custodia della mostruosa Delfine che era una fanciulla metà donna e metà animale.
A questo punto si potrebbe pensare che tutto sia finito qui, invece la storia continua: Ermes e Pan che si erano ripresi dallo spavento iniziale, usando uno stratagemma distrassero Delfine, si impossessarono dei tendini che riadattarono a Zeus.
Il divino Zeus ritornato nel pieno della sua forma, stavolta salì sul suo carro trainato da cavalli alati e dall'alto bombardò di saette Tifeo che iniziò una lunga fuga; quando si trovò a passare sul monte Nisa, le Moire lo ingannarono e gli offrirono, per indebolirlo, i frutti della morte, mentre Zeus lo incalzava.
Allora Tifeo attraversò il mare per rifugiarsi in Sicilia ma Zeus gli gettò addosso l'altissimo monte Etna, schiacciandolo: è da quel giorno, dicono, che l'Etna erutta fuoco, ogni qual volta Tifeo tenta di scrollarsi di dosso la montagna.
Una versione alternativa, anch'essa arcaica, fa di lui invece un figlio di Era, nato per partenogenesi, come contrappasso per il parto monogenetico di Atena.
La sua figura è associata anche alle attività vulcaniche (Omero, Iliade II, 781; Eschilo, Prometeo incatenato 351 ss.)
Gli Egizi lo chiamarono Set o Seteh (Plutarco, Iside e Osiride 351 f e 367 d).
Ulisse
Ὀλισεύς, figlio di Laerte e di Anticlea. Il vero nome di questo eroe era Odisseo (Ὀδυσσεύς), nome dal significato formidabile datogli dal nonno.
Ulisse, che significa lo zoppo in riferimento alla ferita riportata alla coscia in una battuta di caccia, fu l'epiteto che si preferì usare per questo personaggio.
Da parte materna Ulisse è nipote di Ermes. Re della pietrosa Itaca, aveva saputo da un oracolo che se si fosse recato alla guerra di Troia, il suo rientro sarebbe durato molti anni e avrebbe vissuto tutta una lunga serie di avventure penose sia per lui che per il suo equipaggio e per questo si finse pazzo, ma fu smascherato da Palamede e quindi costretto a partire.
Ulisse a sua volta smascherò Achille che il padre aveva nascosto nella corte di Sciro, inoltre si vendicò di Palamede facendolo incriminare con l’accusa di tradimento.
A Troia si distinse per la sua astuzia, peraltro già nota in tutto il mondo greco. Escogitò il trucco del cavallo di legno, che causò la caduta di Troia.
Dopo tante vicissitudini e tanti anni di sofferenze riuscì a ritornare nella sua Itaca dove secondo una leggenda, diversa da quella omerica, Ulisse, dopo l'uccisione dei Proci, avrebbe lasciato il regno a Telemaco e si sarebbe esiliato nelle selve dell'isola, per sfuggire alla profezia dell'oracolo secondo la quale sarebbe morto per mano di un suo figlio. Ulisse, infatti voleva evitare che Telemaco si macchiasse d'un delitto tanto atroce.
Ma il Fato non può essere ingannato e la profezia, si avverò ugualmente, poiché Ulisse fu ucciso da Telegono, figlio suo e di Circe, che non aveva riconosciuto in lui il padre.
Zeus
Ζεύς In tutta la tradizione letteraria greca, e successivamente nel mondo latino dove assunse il nome di Giove, Zeus appare come il più importante e potente tra gli immortali, colui al quale tutti devono obbedienza.
Per sua volontà il bene e il male era distribuito tra gli uomini che Prometeo aveva creato col fango, ma anche Zeus era sottoposto al Fato.
La sua sede naturale era la vetta del monte Olimpo; armato del tuono e del fulmine il Tuonante o il Saettatore, Zeus poteva scatenare la tempesta scuotendo il proprio scudo, e al suo intervento diretto furono attribuiti, almeno fino all'età classica, molti fenomeni naturali. Gli era sacra la quercia e attraverso lo stormire delle sue fronde egli si manifestava nel santuario oracolare di Dodona.
Altro suo oracolo era il boschetto di Olimpia chiamato Altis. Figlio del titano Crono e di Rea, Zeus apparteneva alla seconda generazione divina.
Crono, messo in guardia da un oracolo che uno dei suoi figli lo avrebbe spodestato, divorava la sua prole man mano che veniva al mondo, ma Rea, dopo avergli dato in pasto Poseidone, Ade, Estia, Demetra ed Era, quando doveva mettere alla luce Zeus, si rivolse a Urano e Gea perché lo aiutassero a salvare la vita del nascituro.
Gli antichi dei trasferirono perciò Rea a Lictos, nell'isola di Creta, dove la madre partorì il bambino divino nel segreto di una grotta del monte Ida; Secondo Esiodo (Teogonia 484) Zeus nacque a Creta in una grotta del monte Egeo, "il monte delle capre", peraltro di difficile identificazione; la tradizione posteriore si divide nell'individuare tale luogo sul monte Ida o sul Ditte, come sostiene Apollodoro.
Dopo la nascita di Zeus, Rea trasse in inganno Crono presentandogli una grossa pietra avvolta in un panno, che egli inghiottì convinto di essersi liberato di un altro possibile rivale. I sacerdoti di Rea chiamati Cureti, eseguivano una rumorosa danza con le armi chiamata prylis (in ricordo appunto della loro "azione di disturbo" a favore del piccolo Zeus) per non fare sentire a Crono le strilla del piccolo dio. La ninfa (o la capra) Amaltea allevò il futuro re degli dei col latte, mentre la ninfa Melissa lo nutriva col miele.
(Si narra che il dio, desiderando conservare un ricordo immortale della sua familiarità con le api, cambiò il loro colore e lo rese simile al rame dai bagliori dell'oro e, poiché la regione è ad un'altitudine eccezionale, dove i venti sono violenti e cade molta neve, fece sì che le api non si accorgessero neppure di questi fenomeni e non ne patissero, pur pascolando per contrade esposte ai freddi più rigidi).
In ottemperanza allo oracolo, raggiunta l'età adulta, Zeus volle impadronirsi del potere detenuto da Crono. Su consiglio di Gea o di Metide, fece ingerire al padre una droga che lo obbligò a vomitare i figli che aveva inghiottito, e primo fra tutti il sasso che gli era stato presentato al suo posto.
Tale macigno venne successivamente posto dallo stesso Zeus a Delfi dove divenne oggetto di venerazione come omphalos, ombelico o centro della terra e del mondo. Appoggiato dai fratelli e dalle sorelle riportati in vita, Zeus spodestò Crono, quindi combatté i Titani; dopo la vittoria ebbe in sorte il cielo, mentre ai fratelli Poseidone e Ade andarono rispettivamente il mare e il regno dei morti; la terra rimase dominio comune.
Dopo aver domato la rivolta dei Giganti che avevano attaccato il cielo, come ultima prova e per ottenere il dominio assoluto sul mondo, Zeus affrontò in una lotta grandiosa il mostro Tifone.
Dio provvidenziale, cosciente della propria responsabilità, Zeus non si lasciava trasportare dai propri capricci come gli altri dei dell'Olimpo, a meno che non si trattasse di capricci amorosi (clicca qui per il lungo elenco).
Dalle sue unioni divine nacquero dei e dee che sedettero nel gran consesso degli Olimpi; i suoi amori con donne mortali generarono altri dei o stirpi di eroi. La prima delle spose di Zeus in ordine di tempo fu Metide, quindi venne Temi. Quest'ultimo matrimonio ha un evidente valore simbolico perché generò l'Ordine eterno e la Legge.
Una tradizione vuole Zeus unito a Dione che gli avrebbe partorito Afrodite.
Le unioni divine continuano con Ermione, Demetra, Persefone (di lui figlia, e per sedurla assunse l'aspetto di serpente), Mnemosine e Latona. Soltanto a questo punto si pose il matrimonio sacro di Zeus con la sorella Era, la sposa ufficiale. Anche le passeggere unioni di Zeus con donne mortali furono innumerevoli.
Tra i figli avuti, i più famosi, a parte Eracle e Dioniso che vennero accolti tra gli Olimpi, furono gli eroi Tantalo e Perseo. Non vi era regione del mondo ellenico che non si vantasse di avere come eponimo un figlio nato dagli amori di Zeus: i Lacedemoni si dicevano discendenti del dio e della ninfa Taigete; gli Argivi si riconoscevano in Argo, i Cretesi vantavano la loro origine dai figli di Europa.
Allo stesso modo i grandi protagonisti delle leggende e molti degli eroi si ricollegavano a lui: è il caso di Menelao che discendeva da Tantalo, o di Achille discendente di Eaco.
Il padrone del mondo spesso sceglieva a capriccio le sue amanti e le prendeva con grande malizia e furbizia, cambiando aspetto o forma, lasciando poi le sue vittime esposte alla vendetta della gelosa e oltraggiata moglie Era.
E' quanto accadde alla tenera Io, a Callisto, o a Europa; accadde anche a Semele che pure gli concepì il divino Dioniso. Altre volte, nella volontà di Zeus di dare figli a donne mortali, i poeti e i mitografi hanno voluto ricercare un atto provvidenziale: Leda che egli fecondò sotto forma di cigno, doveva partorire Elena affinché provocasse un conflitto sanguinoso che facesse diminuire la popolazione troppo numerosa della Grecia e dell'Asia; dall'inganno perpetrato nei riguardi di Alcmena nascerà Eracle, l'eroe destinato a liberare il mondo dai mostri.
Ho il piacere di elencarvi, con uno passo tratto dalle Dionisiache, 7, 117 e ss. di Nonno di Panopoli, chi furono le amanti e la causa di questi amori:
Eros, pastore della vita,
batte alle porte tenebrose del Caos primordiale,
portando un'unica faretra forgiata da un dio,
in cui erano conservate in numero di dodici le frecce nutrici di fuoco
destinate a suscitare in Zeus il desiderio incostante di unioni terrene;
e per ciascuna incide di volta in volta
un verso in lettere d'oro sul dorso della faretra che saetta amore:
«La prima spinge il Cronide al letto di Io dagli occhi bovini».
«La seconda dà in sposa Europa al toro rapitore.»
«La terza porta il signore dell'Olimpo alle nozze con Plutò.»
«La quarta convoca da Danae uno sposo d'oro.»
«La quinta prepara a Semele nozze fiammeggianti.»
«La sesta offre ad Egina un'aquila, che è sovrana del cielo.»
«La settima unisce Antiope ad un Satiro non vero.»
«L'ottava conduce al corpo nudo di Leda un cigno che ragiona.»
«La nona porta un cavallo come sposo a Dia di Perrebia.»
«Con la decima Alcmena affascina il suo amante per tre lune. »
«L'undicesima persegue il matrimonio di Laodamia.»
«La dodicesima trascina da Olimpia uno sposo, che le si
avvolge intorno tre volte.»
L'iconografia ci presenta il dio in vari atteggiamenti: nudo mentre scaglia la folgore; tranquillo mentre impugna la folgore e si appoggia allo scettro; eretto col corpo parzialmente avvolto nelle vesti; seduto, impugnante con la destra lo scettro sormontato da un'aquila e recante con la sinistra protesa una Nike.
Zeus aveva numerosi nomi e con i seguenti era adorato nelle seguenti zone: Zeus Marnas nell'antica Minoa, significa (nostro signore); Atimno a Gortina; Talo a Festo; Giacinto a Tilisso; Tallaio a Lato e nella regione di Viannos Arbio.
Presenze letterarie: